L’evoluzione della cucina italiana dagli anni 60 a oggi

La Cucina Italiana

Il primo segnale del salto di qualità nell’aspirazione ad assaggiare piatti inimmaginabili in una trattoria fu il Savarin di riso di Mirella Cantarelli: una preparazione di alta cucina accompagnata da grandi vini francesi in un’osteria tra le nebbie della pianura parmense, a Samboseto. Poco dopo, sono gli anni Sessanta, gli italiani, guidati dalle nascenti guide gastronomiche, percorrono centinaia di chilometri per il piacere di sedere in un ambiente arredato dai protagonisti dell’«arte come mestiere», come il designer Bruno Munari definiva il suo lavoro; di essere serviti con stile; di assaggiare cibi raffinati. 

Non più i piatti degli  anni Cinquanta, ma la sciccheria degli  gnocchi gratinati di semolino, tanto più sofisticati della teglia di lasagne di dieci anni prima. Poi la svolta. Nella primavera del 1977, a Sanremo, si sfidano in singolar tenzone Gualtiero Marchesi Giorgio Gioco del Dodici Apostoli di Verona con un pranzo che metteva a confronto le virtù della cucina tradizionale e quelle della nascente «nuova cucina», improntata al decalogo francese della Nouvelle Cuisine. Vinse Marchesi e la rivoluzione. Una rivoluzione, di cui in parte già avevamo i principi nel nostro Dna, che genera una nuova forma di comunicazione tra il bello e il buono nella proporzione tra la circonferenza del piatto e la porzione individuale. Ed è la nascita del  food design.

Arrivano gli anni  Ottanta. I cuochi italiani, ormai usciti dal provincialismo, viaggiano, assorbono, sperimentano, inventano. E la divaricazione dell’evoluzione a tavola aumenta. Da un lato c’è la cucina raffinata, ma tradizionale, di Nadia Santini al Pescatore a Canneto sull’Oglio, dall’altro i Vissani e i Pierangelini, capostipiti del filone che crea e provoca con combinazioni a prima vista azzardate, ma che pochi anni dopo, con lo spagnolo Ferran Adrià, troveranno spiegazione nei laboratori scientifici. Nasce la «Nuova Cucina Italiana», che riassume in sé tutti gli elementi del suo prestigio gastronomico: la tipicità ridosata e ricomposta, il percorso dal prodotto alla ricetta e non viceversa, la freschezza, la leggerezza. Alcuni di quei piatti entrano nella storia della nostra tavola e sopravvivono sotto forma di copie o varianti diventando i «nuovi classici» degli anni Novanta. 

Poi l’universo gastronomico diventa un fenomeno di moda e gli stili, gli ingredienti, l’integrazione delle tradizioni a livello planetario si moltiplicano. Ora possiamo scegliere tra un sushi tradizionale e un sushi alla milanese, tra un’anguilla allo spiedo e un’anguilla laccata. È la gastronomia dello stato d’animo: libera, ispirata, giocosa. Tra piatti diventati di moda e piatti che non ne sono mai usciti; tra la cena dallo star chef e quella alla trattoria veloce, elegante, non cara. Finalmente buon gusto e gusti buoni coincidono.

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