Pit’sa a Bergamo, dove la pizza è sostenibile e inclusiva

La Cucina Italiana

Sono 7, accolgono i clienti, apparecchiano la tavola, danno consigli sul menù. I ragazzi con la sindrome di Down che lavorano da Pit’sa, la nuova pizzeria di Bergamo, hanno dai 18 ai 25 anni e sono un vero punto di forza per il locale. I clienti apprezzano la solerzia e la cordialità di cui arricchiscono il servizio, e seguono i loro suggerimenti appassionati su quale pizza scegliere. 

L’imprenditore Giovanni Nicolussi è stato lungimirante, quando ha deciso di fondare Pit’sa, nonostante molti cercassero di dissuaderlo dal suo progetto: a un mese dall’apertura, il locale fa sempre il «pienone», e le recensioni sono a 5 stelle. Un risultato eccezionale, soprattutto perché le pizze di Pit’sa sono realizzate con materie prime sostenibili e solo di origine vegetale, ottenute da agricoltura genuina e non da allevamenti intensivi. Giovanni ci confida le due grandi motivazioni che lo hanno incoraggiato.

Intervista a Giovanni Nicolussi di Pit’sa

Quali sono le motivazioni che ti hanno spinto a portare avanti questo progetto?
«Ho un fratello disabile al 100%, e lo zio di mia moglie ha la sindrome di Down: forse anche per questo motivo sono particolarmente sensibile all’inclusività. Inoltre, alla mia mamma, cinque anni fa, è stato diagnosticato un brutto male, per cui ha dovuto immediatamente escludere dalla sua alimentazione la carne e i derivati. A lei piaceva tanto la pizza crudo e burrata. Grazie a consulenze particolarmente efficaci, abbiamo messo a punto delle pizze molto appaganti, anche e soprattutto per chi è abituato a mangiare carne, e tra l’altro anche super digeribili».

Come avete contattato i ragazzi interessati a lavorare per Pit’sa?
«Pit’sa è stata supportata dall’associazione CoorDown che, con il programma Hiring Chain e la sua piattaforma online, ha già creato l’opportunità di numerose assunzioni e tirocini per giovani e adulti con sindrome di Down in Italia e nel mondo. Gli inserimenti nella nostra pizzeria sono stati seguiti dall’associazione Aipd di Bergamo».

Come sono stati formati questi ragazzi?
«Prima dell’apertura del locale, hanno seguito corsi di formazione sulla ristorazione, sull’accoglienza, sulla preparazione dei tavoli, sul servizio. Sono ragazzi preparati e sempre più autonomi. E, sia chiaro, questa è un’azienda profit: sono soprattutto loro che aiutano noi fornendoci il loro lavoro. Poi, sicuramente, grazie a questa esperienza di lavoro, realizzano uno stile di vita sempre più autonomo: il nostro Paolo, ad esempio, arriva in autobus, si cambia, prova molta soddisfazione nel rapportarsi ai clienti e ha sempre meno bisogno di aiuto. Il segnale che vogliamo dare è che questi ragazzi possono lavorare tranquillamente e con profitto, in ambienti non ghettizzanti».

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