Un viaggio a Villa Tasca

Un viaggio a Villa Tasca

C’erano vassoi e vassoi di cupole di  brioche salate, farcite di crema di formaggio, besciamella e prosciutto; c’erano grandi pâté di fegato in gelatina tempestati di rondelle di tartufo; c’erano le «uova alla monacale», con il tuorlo impastato con la salsa bianca, poi impanate e fritte. Più avanti troneggiava il timballo di cappellini, gli spaghetti molto sottili docili nel seguire ogni fantasia culinaria; poi i grandi pesci e i pasticci di carne riccamente decorati. Ma la cosa straordinaria era che tutto era stato fatto in casa. D’altra parte, per quanto imponente l’impegno, bisogna dire che in famiglia tra fratelli, sorelle, cugini, figli, nipoti, siamo una quarantina, e che del pranzo di Natale, che ci vede riuniti ogni due anni, si comincia a parlare già a metà novembre. Particolarmente coreografica era la sezione dei dolci. Una grande bavarese dava il tono alla presentazione. Seguivano le sfince di San Giuseppe, le frittelle palermitane coperte di crema di ricotta, gocce di cioccolato, pistacchi tritati, ciliegie e scorze d’arancia candite. C’erano, soprattutto, i cannoli farciti con la ricotta delle pecore di Regaleali, davanti ai quali non c’era invitato che riuscisse a resistere, e – last but not least – la gelatina di mandarini di Mario (ricetta gelosamente custodita) ottenuta con una miscela di Almerita Brut, succo e buccia di mandarino tritata, presentata nel frutto svuotato.
Abbado era a tavola coi nonni e la zia Costanza. Io, cercando di essere conversevole, riuscii a fare in pochi secondi un paio di gaffe. Ma grazie all’opportuno calcio sotto il tavolo di una mia amica e alla magia della villa e dei brindisi col Nozze d’Oro con cui il nonno aveva celebrato nel 1984 i cinquant’anni di matrimonio e la storia della Tenuta, confido siano passate inosservate.

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