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Il professor Montanari e la candidatura della cucina italiana all’Unesco: «Non è solo una questione di ricette»

La Cucina Italiana

Magari litigando su piccole modifiche nelle ricette?
«Ci si confronta, al limite si litiga, ma si condivide. Parliamo di biodiversità culturale, di cultura immateriale. Non stiamo parlando di prodotti, di ricette, anche se in questo senso le ricette sono già patrimonio mentale, relativamente immateriale. Dal punto di vista metodologico è importante il modo in cui si è formato l’insieme della cucina italiana, non come somma, ma piuttosto integrazione, moltiplicazione. Questa è la cifra distintiva che merita di essere proposta perché rappresenta anche al di là del tema cucina un modello di condivisione e di non imposizione».

Quindi la cucina italiana come valore universale: perché unisce, identifica, dà senso al cibo e quindi al rapporto con la natura, il paesaggio, il territorio; rappresenta un modello esemplare di coesione fra uomo e ambiente.
«Qui entriamo nel secondo tema, quello della sostenibilità. La ricerca storica dimostra che la componente popolare della cucina italiana ha avuto un ruolo importante, decisivo. Le minestre, la pasta, le verdure, i legumi, indicano una radice popolare forte e quindi grande attenzione all’uso delle risorse, all’esigenza di non sprecare. Pratica che è diventata patrimonio comune degli italiani, anche nell’alta cucina che ha ripreso e rielaborato questi modelli».

Così oggi, ma così anche nel passato.
«Certo: intendiamo la cucina non come patrimonio elitario, ma di tutti i ceti. Lo stesso gusto – pensiamo al quinto quarto amato da papi e nobili quanto dal popolo – nasce come abitudine a mettere a frutto tutto. Il gusto è costruzione culturale».

Lei usa la parola sentimento dei luoghi.
«Mi piace chiamarlo così, perché proprio alla cucina gli italiani hanno affidato l’espressione della propria identità collettiva. Al di là dei singoli prodotti o delle singole ricette, è il rapporto col cibo (intenso, profondo, pieno di significati sociali oltre che di straordinarie tecniche e saperi) a caratterizzare gli italiani, tutti. Non c’è altro popolo che, come gli italiani, sappia rappresentare sé stesso, la propria vita, la propria storia parlando di cibo».

Un esempio sono i quaderni dei soldati italiani al fronte o prigionieri durante la Prima guerra mondiale che ricordano il cibo di casa.
«In quei momenti non c’era uno che si metteva in cattedra, c’era uno scambio reciproco, un racconto collettivo, nulla a che vedere con la ricchezza o la povertà di ciascuno. Un fatto identitario collettivo, più importante della dimensione politica».

Insomma, cucina è cultura.
«Lo è in tutte le fasi del percorso che porta dalle risorse al piatto. È cultura quando si produce, quando si trasforma, quando si conserva, quando si condivide il momento del pasto, arricchendolo di valori extranutrizionali, cioè di profonde valenze sociali».

Intervista di Carlo Ottaviano

Antonia Klugmann e la cucina italiana all’Unesco: «Evviva le peculiarità regionali»

La Cucina Italiana

Abbiamo chiesto ad Antonia Klugmann un commento sulla notizia della candidatura della cucina italiana tra sostenibilità e diversità bioculturale. 

Ecco che cosa ci ha detto.

«È stata una grande gioia apprendere che la cucina italiana è definitivamente candidata come Patrimonio immateriale dell’umanità per l’Unesco. Ne sono felicissima. Noi cuochi, da sempre, sappiamo e conosciamo la straordinarietà della nostra cucina, fonte inesauribile sia dal punto di vista culturale, sia dal punto di vista degli ingredienti. Grazie alla biodiversità del nostro Paese abbiamo un radicamento al territorio unico nel mondo, regione per regione, basta pensare alle pratiche agricole e di allevamento e alla dieta mediterranea, equilibrata e salutare. E già riconosciuta come Patrimonio dell’umanità». 

Continua Antonia Klugmann: «Quello che trovo veramente straordinario della cucina italiana è proprio la varietà che esiste a livello regionale. Le tradizioni culinarie che si sono stratificate nel corso dei secoli, i territori molto diversi l’uno dall’altro, tutto questo è un unicum. Raccontare questa diversità fa parte del compito che noi cuochi abbiamo e il fatto che i nostri ristoranti siano situati in luoghi molto diversi l’uno dall’altro si riflette nelle nostre cucine impedendo un appiattimento dell’offerta, piuttosto valorizzando le differenze.

La promozione del nostro patrimonio di ingredienti e di tradizioni in cucina non può che essere accompagnato da un percorso legato alla sostenibilità a tutto tondo. Penso alle grandi emergenze di oggi: innanzitutto alla crisi idrica e all’impoverimento dei suoli. Il mio augurio è che ci si impegni nel sensibilizzare su questi temi. E che i cuochi ne siano veri ambasciatori.

Spero che la candidatura consenta a un pubblico, sempre più ampio nel mondo, di entrare in contatto con la nostra cucina, superando i cliché che talvolta la accompagnano, così da scoprirne tutta la complessità e la ricchezza, declinate oggi anche nelle nostra cucina contemporanea più innovativa».

La candidatura della cucina italiana all’Unesco: e adesso?

La Cucina Italiana

Cosa possiamo fare ora per aiutare la candidatura?
«Pensare e realizzare iniziative continue, senza mai stancarsi. La cucina italiana, si dice, è il rito collettivo di un intero popolo. Dentro ci sta dalla cucina di casa all’alta cucina. Ecco, forse mi piacerebbe creare un “dream team” con i più grandi chef italiani che ci aiutino a rappresentare, in modo anche spettacolare, tutto il movimento».

Il Sottosegretario alla Cultura con delega all’Unesco Gianmarco Mazzi  (ph Gorzegno)

ANDREAGORZEGNO

Il cibo è cultura? Questo è il messaggio che vogliamo dare?
«Certo, senza ombra di dubbio. Il cibo è un elemento culturale che contribuisce a formare l’identità di un popolo, di una nazione. Pellegrino Artusi scriveva di “cucina di casa italiana” sin dalla seconda metà dell’Ottocento. Il senso del periodo storico non mi sfugge».

Il titolo è “La cucina italiana tra sostenibilità e biodiversità culturale”: cosa significa?
«Significa che la cucina italiana è un florilegio di saperi e tradizioni di tanti territori diversi e riflette la ricchezza bioculturale del nostro Paese. È un’espressione di creatività che si tramanda tra generazioni. Il rispetto della natura e della sostenibilità è, poi, un valore fondamentale, non negoziabile».

Cosa significa per il comparto agroalimentare?
«Una grande, orgogliosa opportunità di poter promuovere sempre più la nostra cucina a livello internazionale, anche difendendola da chi, nel mondo, la minaccia con prodotti che copiano i prodotti italiani e creano un danno incalcolabile al nostro Paese. Lo testimoniano i segnali di apprezzamento giunti dai grandi della cucina italiana. Mi hanno fatto molto piacere, Massimo
Bottura mi ha emozionato. Li ringrazio tutti, faremo un grande lavoro insieme».

Quale valore ha un riconoscimento all’Unesco?
«Un valore inestimabile, che non è commerciale o economico, è soprattutto culturale e serve a qualificare la nostra cucina come elemento vivo e attuale dell’italianità per cui siamo così amati nel mondo».

Come si sente oggi?
«Molto bene».

Vuole fare un appello?
«“Stiamo uniti”, come dice sempre Gianni Morandi, mio caro amico».

Qual è il suo piatto preferito?
«Spaghetti al pomodoro con una foglia di basilico. Molto al dente, come piacciono a Morandi».

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