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Come fare una frittata alta: la ricetta infallibile

Come fare una frittata alta: la ricetta infallibile

Come fare una frittata alta?
Le soluzioni sono diverse e in questo articolo vi sveleremo tanti trucchi per non sbagliare.

Come fare una frittata

Per fare la frittata alta dovete usare tante uova. Sembra un consiglio scontato, ma non lo è.
In alternativa fate una frittata in una padella molto piccola.
Una volta stabilita la quantità di uova, considerando che la porzione a persona per una frittata è di 2 uova, decidete se volete una frittata normalmente soffice, ma non troppo alta, oppure una frittata compatta e spessa.

Prima di parlare di spessore della frittata, sapete come si fa una frittata perfetta?
La frittata perfetta non va sbattuta molto, semplicemente le uova vanno mescolate con un pizzico di sale e pepe, poco parmigiano, se volete, e latte, facoltativo. Usate semplicemente la forchetta, mai le fruste. Il risultato non deve essere un uovo montato, ma semplicemente mescolato grossolanamente.
Versate il composto dopo aver aggiunto un filo d’olio extravergine di oliva in una padella calda.

Per una frittata classica attendete che la base si rapprenda e dopo qualche minuto girate sull’altro lato aiutandovi con il coperchio.

Per fare una frittata alta, invece, procedete come per fare le uova strapazzate. All’inizio mescolate un po’ tutto sul fuoco e pian piano che le uova prenderanno consistenza lasciatele ricompattarsi e poi, una volta creato lo spessore giusto alla base, lasciate cuocere un paio di minuti e poi girate sempre con l’aiuto di un coperchio.
Questo procedimento vi farà ottenere una frittata alta e ben cotta, anche se potreste avere qualche problema a girarla, soprattutto se la padella è grande, perché le uova sono state mescolate. Però vi invitiamo a provare perché il risultato è ottimo.

Come fare una frittata alta e compatta

Un’altra soluzione per ottenere una frittata alta è la cottura in forno, sempre con tante uova, oppure con una teglia non troppo grande. La cottura in forno renderà la frittata più asciutta e alta e non rischierete di romperla perché non sarà necessario girarla.
Cuoce in circa 10 minuti a 180° e lo spessore può essere di circa 4-5 cm.
Potete anche arricchirla con la ricotta per un risultato simile a un tortino ricco, molto gustoso e da tagliare a cubetti.

Frittata con le verdure

Altra soluzione, se amate la frittata alta, è arricchirla con tanti altri ingredienti, come le verdure per esempio. Cucinate una bella quantità di verdure in padella o in forno e poi mescolatele con le uova sbattute e ripassate tutto in padella o in forno.
Potete provare la frittata con le cipolle, che ha un gusto intenso e dolce allo stesso tempo e si può arricchire anche con dei cubetti di pancetta. Oppure una frittata con le zucchine trifolate, da profumare con erbe aromatiche come menta e basilico.
Se amate la frittata con le patate non potete che provare la classica tortilla spagnola, che altro non è che una frittata alta con le patate, a fette e precedentemente fritte.

Frittata con formaggi e affettati

Un altro modo per rendere bella alta e gustosa la frittata è arricchirla con formaggi e affettati. Abbiamo già suggerito la ricotta che rende le frittate compatte e saporite, ma potete utilizzare anche il formaggio semi stagionato che in parte si scioglierà in cottura e in parte no rendendo il risultato finale davvero molto goloso.
Per quanto riguarda gli affettati, potete inserirli in qualsiasi frittata, perché stanno bene un po’ con tutto e danno spessore.
E una frittata con il pesce come la vedete? Abbinamento tonno e cipolla assolutamente da provare secondo noi, così come la frittata con il salmone affumicato e la ricotta.

Ricette per fare ottime frittate

Alta Badia: 5 rifugi dove mangiare

Alta Badia: 5 rifugi dove mangiare

Rifugio Alpino Pralongià 

Dieter è l’oste che tutti desiderano: dolce, premuroso e simpatico. I cieli immensi e l’orizzonte con le cime dolomitiche sono il premio per chi arriva al Rifugio Alpino Pralongià in Alta Badia, il primo e il più alto (2157 m s.l.m.) sull’altipiano del Pralongià tra CorvaraLa Villa e San Cassiano, detto anche l’anfiteatro delle Dolomiti per la stupefacente bellezza dei panorami.
È dal 1932 che il Rifugio Pralongià, situato sull’Alta Via dell’Alta Badia e sull’Alta Via n.9 (Trasversale), propone delizie gastronomiche e la possibilità di alloggiare nelle camere.
Antichi sapori ladini si mescolano a ricette mediterranee e a piatti gourmet. Gestito ormai dalla terza generazione della famiglia Pescollderungg-Niederkofler, il Rifugio Alpino Pralongià in Alta Badia vanta una lunga tradizione di ospitalità. Oggi è Dieter Niederkofler e la sua famiglia a condurlo assieme alla mamma Erica.

Rifugio Ütia Lé

Una Volta arrivati a Badia, prendete la seggiovia quadriposto S. Croce e trovate il Rifugio Ütia Lé a destra della stazione a monte dell’impianto. Cucina che offre specialità tradizionali ladine del Sudt Tirolo con ingredienti tipici come patata, orzo, carne, latticini che vengono valorizzati dalle ricette locali, utilizzando prevalentemente prodotti di qualità dell’Alto Adige. Ad arricchire il tutto alcune ricette gourmet, per apportare un’evoluzione creativa alla nostra cucina.

Rifugio Ütia de Bioch

Una baita di montagna, la tipica ütia ladina appena ristrutturata. Il rifugio Ütia de Bioch è a gestione familiare, sempre comodamente raggiungibile con l’omonima seggiovia, il rifugio dispone di una grande terrazza soleggiata con servizio di bar e ristorante. Da aperitivi a piatti semplici e genuini della cucina ladina, altoatesina e mediterranea, dolci fatti in casa, una grande scelta di vini, nonché i piatti gourmet “Sciare con Gusto” e “PicNic Gourmet” dello chef Norbert Niederkofler, 3 stelle Michelin del ristorante St. Hubertus (Hotel Rosa Alpina di San Cassiano). D’estate, servendosi degli impianti di risalita e dopo una breve e salutare passeggiata sugli alpeggi dolomitici, si arriva facilmente sia da San Cassiano che da La Villa o da Corvara. 

Ütia I Tablá

Ambiente informale, stile rustico e una cucina verace e saporita ecco gli elementi che si trovano al Rifugio I Tablà in Alta Badia sia d’estate sia d’inverno. Il rifugio I Tablà in Alta Badia è ubicato sull’altipiano tra Corvara, La Villa e San Cassiano, a un’altezza di 2040 m s.l.m. che consente un’unica e insuperabile vista sulle circostanti Dolomiti. Il rifugio si trova direttamente sulle piste da sci dell’Alta Badia, nonché al centro di una rete di sentieri escursionistici e ciclabili. 
All’interno, un’accogliente stube tirolese arredata con una tipica stufa e mobili in legno. All’esterno, rustiche tavolate e, d’estate, un curatissimo prato con sedie a sdraio e un recinto con conigli e caprette. Il vero segreto di questa atmosfera genuina ed accogliente è l’autentica gestione familiare, con tutti i membri della famiglia impegnati in diversi ruoli. 

Rito di casa e nuove visioni di alta cucina: la pasta resta una magia

Rito di casa e nuove visioni di alta cucina: la pasta resta una magia

«La vita è una combinazione di pasta e magia». Lo diceva Federico Fellini, amante della buone tavolate e meno del fine dining. Fu lui il regista del celebre spot per Barilla intitolato Alta Società e prodotto nel 1985, che vede protagonista una coppia d’amanti a cena in un lussuoso ristorante. Al momento delle ordinazioni al loro tavolo si avvicinano alcuni camerieri e il maître inizia a consigliare raffinati piatti della cucina francese. Durante la lettura del menù i due sembrano più interessati a scambiarsi sguardi ammiccanti quando improvvisamente la donna ordina: «Rigatoni», fra la sorpresa generale di tutti i presenti. Provocazione pura, al tempo in cui la contrapposizione tra Nouvelle Cuisine e Tradizione era al massimo. E Fellini, genialmente, si divertì nello schierarsi sul primo fronte, ma considerando il committente dello spot – Barilla, simbolo stesso del prodotto popolare – finiva per stimolare il bisogno di nuove idee sulla pasta nei locali di classe. Tanti non si ricordano, ma sino agli inizi del 2000, nell’alta cucina la pasta secca era impensabile, soppiantata da quella fresca. Insostenibile, poi, il confronto inconscio tra una pasta preparata da uno chef pure famoso e «quella che fa mamma» (o faceva la nonna, la zia, la cuoca di casa). 

Pasta vuol dire casa

A un italiano “di serie”, l’associazione tra pasta e magia piace tantissimo (che sia la combinazione della vita è meno dimostrabile) perché – scopriamo l’acqua che bolle – è famiglia e amicizia, condivisione e piacere solitario, quotidianità ed eccezione, esaltazione e consolazione, sotto il sole e a notte fonda. Potremmo andare avanti per molte righe, che confermerebbero il dogma eterno, quasi religioso: pasta vuol dire casa. Non è più così, per noi fortunatamente. Senza volerlo distruggere, e ci mancherebbe, il totem è stato messo in discussione. È stata una rivoluzione di nicchia che ha arricchito la nostra cucina, lo ripetiamo, senza togliere il piacere dei “due spaghi” dopo la partita di calcetto o in famiglia. Ma ha tolto (era ora) pregiudizi clamorosi. 

Un tema da congresso

Come la cottura obbligatoria al dente: diversi gradi di cottura hanno una loro dignità e la pasta surcotta (non scotta, si badi bene, che indica invece un errore del cuoco) può prestarsi ad altri utilizzi. O la preparazione risottata che sta regalando delle ricette clamorose nei ristoranti. O, ancora, l’aspetto più importante: la possibilità di non considerarla solo prima piatto. È giusto rendere giustizia alla pasta, come alimento ed elemento complesso. Come materia le cui potenzialità e sfaccettature presentano ancora ampi margini di esplorazione. Va benissimo che sia non una base su cui mettere un sugo, una salsa, una preparazione di altri condimenti, ma è anche materia prima da riconsiderare. In questo senso, va reso merito che Identità Golose, il convegno italiano per eccellenza, ha affrontato il tema sin dai primi anni, creando un contenitore quale Identità di Pasta, giunto alla tredicesima edizione, dove sono sfilati (e sfilano) tutti i migliori cuochi italiani. E non solo loro.

In giro per il mondo

Identità di Pasta 2022, in effetti, si è spinta oltre lanciando un bel tema: E se la pasta che cucinano gli altri fosse buona? Ed ecco la Fideua con gli spaghettini spezzati di Matias Perdomo e Arianna Consiglio, le Fettucine Alfredo con la pera di Michele Casadei Massari che lavora a New York, gli Spätzle alla valtellinese di Pietro Leemann e Sauro Ricci, i Lamian all’astice di Gong che è il più raffinato locale di cucina orientale a Milano. È giusta la considerazione di Riccardo Felicetti, AD del Pastificio Felicetti che sponsorizza l’evento nonché presidente dei pastai italiani. «È vero, siamo i maggiori produttori di pasta secca al mondo; la cottura italiana, il concetto di “al dente” si divulgano per il mondo e i nostri formati sono presenti in tutte le cucine e in tutti gli scaffali del pianeta. Però non ci possiamo permettere l’arroganza di affermare che la nostra via di mangiare il risultato dell’impasto di grano e acqua sia l’unico accettabile per diritto divino», sottolinea l’imprenditore trentino.

Camanini e Bottura

Tornando in patria, ci piace la fantasia al potere. Quella di Riccardo Camanini che ha ragionato se bisogna evolvere o involvere la pasta. «Non sappiamo se sarà un cambiamento positivo o negativo, ma si può lavorare per cercare un nuovo gusto e collocarla in modo nuovo nel piatto». Lo ha fatto riprendendo un progetto iniziato nel 2018 chiamato 84 ore di pasta che ha portato a creare una pasta alla mostarda. Ne sono nate quattro “idee gastronomiche” dove la pasta si fa contorno, attrice non protagonista, ma necessaria nello svolgimento della trama. Si può andare oltre. Sì, il piatto simbolo del congresso è stato Immagine e somiglianza di Massimo Bottura, che evoca qualcosa di noto, di italiano, ma in realtà è solo un “quasi” spaghetto al pomodoro che diventa dessert, unendo elementi italianissimi e contrastanti: pasta di mandorle, peperoni, amarene. capperi siciliani… «Sono andato contro le barriere, ho raccontato il nostro Paese anche attraverso una riflessione sulla pasta», dice lo chef modenese. Del resto, il genio assoluto Ferran Adrià ebbe a dire che lo spaghetto al pomodoro – nel caso specifico quello di Elio Sironi quando cucinava al Bulgari – era un frammento di cultura italiana. Quindi se non discutiamo noi la pasta, non può farlo nessun altro.

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