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Dolci natalizi calabresi, un trionfo di bontà in 3 ricette

La Cucina Italiana

Uvetta, fichi, frutta secca, agrumi, vino cotto e tanto tanto miele. Sono questi alcuni dei principali ingredienti con cui si preparano i dolci natalizi calabresi. Come ogni piatto tipico che si rispetti, anche in questo caso le ricette variano leggermente da paese a paese e anche di famiglia in famiglia. Ma non la tradizione: quella rimane sempre uguale. E così sulle tavole delle feste di Natale in Calabria non possono mancare  i mostaccioli, i petrali o la pitta ‘nchiusa o pitta ‘mpigliata, per citarne solo alcuni.

Dolci natalizi calabresi: i mostaccioli

Dai matrimoni ai battesimi fino al Natale, i mostaccioli in Calabria sono da sempre sinonimo di festa. Realizzati con ingredienti semplici, sono famosi per la loro consistenza dura e perché si conservano a lungo. Per prepararli bastano 500 grammi di farina 00, 500 grammi di miele millefiori, 10 grammi di lievito in polvere per dolci e tre tuorli d’uovo. Una volta setacciata la farina in una ciotola, aggiungere il lievito, i tuorli e una parte del miele. A questo punto amalgamare gli ingredienti, aggiungere la restante parte di miele e impastare il tutto. Trasferire la massa su una spianatoia, dividerla in parti uguali di circa 100 grammi ciascuna e modellare a filoncino o secondo la forma preferita. Disporre i mostaccioli su una leccarda ricoperta con carta da forno e infornare a 180° per 35-40 minuti. Una volta sfornati, spennellarli ancora caldi con il miele e decorarli con dei confettini colorati.

A Reggio Calabria non è Natale senza i petrali

A Reggio Calabria a Natale non possono proprio mancare: sono i petrali, piccole mezzelune di pasta frolla con un dolce ripieno a base di frutta secca. Per l’impasto occorrono 500 grammi di farina, tre uova, 200 grammi di zucchero, 100 grammi di burro, mezza bustina di lievito, mezza bustina di vaniglia e la scorza grattugiata di un limone. Per il ripieno, che andrebbe preparato con due giorni di anticipo, servono 250 grammi di fichi secchi, 140 grammi di mandorle, 100 grammi di noci, 100 grammi di uvetta, cannella, la buccia di una arancia e di un mandarino, caffè, vino cotto e due cucchiai di cacao amaro. Per la decorazione un uovo e zuccherini colorati. Su una spianatoia fare una fontana con la farina setacciata con il lievito. Al centro mettere le uova, iniziare a mescolare e aggiungere man mano lo zucchero, la vaniglia e la scorza grattugiata del limone. Amalgamare il tutto fino a formare un impasto omogeneo, avvolgerlo con la pellicola e lasciarlo riposare in frigorifero per mezz’ora. Nel frattempo tagliuzzare i fichi, metterli in una ciotola, versare una tazzina di caffè zuccherato, il vino cotto e lasciarli ammorbidire. Tritare anche le noci, le mandorle, la buccia di arancia e quella di mandarino. A questo trito unire anche l’uvetta, un pizzico di cannella e il cacao amaro. Mescolare e lasciare riposare in frigorifero. Su una spianatoia stendere una sottile sfoglia di pasta frolla da cui ricavare dei dischi di 10 centimetri di diametro. Sulla metà di ciascuno disporre un cucchiaio di ripieno e richiudere l’altra metà. Quando tutte le mezzelune sono pronte, infornare a 180° per circa 10 miniti. Una volta sfornate, spennellare la superficie con uovo sbattuto e decorare con le palline di zucchero colorate.

Pitta ‘mpigliata o ‘nchiusa, la torta delle feste

Un altro dolce tipico calabrese che si prepara a Natale e a Pasqua è la pitta ‘mpigliata, originaria di San Giovanni in Fiore e molto diffusa in tutta la provincia di Cosenza. In quella di Catanzaro è nota, invece, con il nome di pitta ‘nchiusa. Anche in questo caso si tratta di una sfoglia farcita con un ripieno di frutta secca e miele. Per la pasta occorrono 500 grammi di farina 00, due uova, 100 ml di olio extra vergine di oliva, 100 ml di vino dolce, 100 ml di spremuta di arancia dolce, due cucchiai di zucchero, un bicchierino di Vermut, cannella, la buccia di un’arancia, una bustina di lievito in polvere e un pizzico di sale. Gli ingredienti per il ripieno sono 250 grammi di miele, 200 grammi di gherigli di noci, 200 grammi di uva sultanina, 60 grammi di pinoli, un pizzico di chiodi di garofano in polvere, uno di cannella, la scorza grattugiata di un’arancia, una di limone e un bicchierino di Vermut. Per un risultato a prova di nonna, sarebbe meglio iniziare a preparare il ripieno con un po’ di anticipo. Tritare la frutta secca, unire l’uva sultanina precedentemente ammollata e strizzata, la cannella, la polvere di chiodi garofano, le scorze degli agrumi grattugiate, il liquore e lasciare macerare per un paio di giorni. Dopodiché preparare la sfoglia. Setacciare la farina con il lievito, creare una fontana sulla spianatoia e mettere al centro le uova, il liquore, il vino, l’olio, un cucchiaio di zucchero, il sale, la cannella, il succo e la buccia d’arancia. Amalgamare il tutto, fino a ottenere un composto omogeneo. Con un terzo dell’impasto creare un disco e foderare il fondo della teglia (28 cm), spennellarlo con dell’olio e del miele e spolverare con un cucchiaio di zucchero. Con il resto della pasta creare delle strisce sottili non più larghe di 7 centimetri. Disporre al centro il ripieno, piegare le strisce per il lungo, facendo combaciare i due bordi ed arrotolarle su se stesse fino a ottenere delle roselline da sistemare sul disco. Sollevarne poi i bordi e farli aderire alla sagoma che si è creata. Infornare per 40 minuti circa a 180° e sfornare quando la pitta sarà dorata e croccante.

Amari Calabresi: i migliori del mondo

Amari Calabresi: i migliori del mondo

Se l’Italia fosse un liquori, sarebbero gli amari. Gli amari sono infatti i liquori identitari della cultura italiana e l’amaro è il gusto che più rappresenta la nostra cucina. Dai vini aromatizzati con erbe e spezie degli antichi romani fino ai monaci medievali e poi ai bitter come il Campari, amaro è una parola italiana che non viene neppure tradotta all’estero e che descrive una peculiare tipologia di liquori alle erbe. Li beviamo in Italia, in Europa e anche negli Stati Uniti: «La tradizione europea di fare liquori agrodolci, chiamati amari in italiano, esiste da secoli. Ma è solo di recente che questi digestivi erbacei sono passati dal retro di bar polverosi al centro della scena negli Stati Uniti e sono diventati un ingrediente chiave nelle liste dei cocktail nei migliori bar e ristoranti del paese», scrive Brad Thomas Parsons nel best seller Amaro: The Spirited World of Bittersweet, Herbal Liqueurs with Cocktails, Recipes, and Formulas

Il ritorno al gusto italiano

L’Italia ha una propria geografia di amari: ci sono gli amari di montagna, quelli dei Carabinieri, della Polizia, dei monaci e quelli dei ciclisti. Quelli che permettono di assaporare il gusto pieno della vita e quelli che non sai perché perché perché non bevevi prima, come Raz Degan nel celebre spot degli anni Novanta. Ma se si dovesse dire oggi la regione regina degli amari, questa sarebbe senza dubbio la Calabria, patria dell’amaro più bevuto in Italia e di un rinascimento di micro produzioni e nuove bottiglie. «In Italia, tutta la crescita del comparto Amari è trainata da Vecchio Amaro del Capo come dimostrano in modo inconfutabile i dati ufficiali», aveva dichiarato Caffo in occasione del Vinitaly 2022 facendo riferimento al primato che vuole l’etichetta di punta della Distilleria F.lli Caffo coprire il 35% delle vendite degli amari al supermercato. Nel 2021, secondo i dati IRI, l’intero segmento Amari cresce del 6,7%, trainato proprio dal +12.2%. C’è in atto un revival dei liquori vintage e di bottiglie appannaggio dei salotti della nonna che oggi sono al centro di un rilancio commerciale e di consumi di liquori a base di liquirizia, anice, amaretto e sambuc; e, giurano gli analisti, non è colpa (o mertito) del lockdown, bensì di un ritorno al gusto italiano di un tempo.

Gli specialisti degli amari

La storia di Caffo comincia in Sicilia, alle pendici dell’Etna, come produttori di liquori ottenuti da antiche ricette e oggi dopo un secolo si confermano gli specialisti degli amari e detengono il 40% (dato Iri Infoscan) dei consumi degli amari in Italia. Merito dell’Amaro del Capo, che deve il nome a una località poco distante dalla sede della distilleria, Capo Vaticano. A Limbadi in Calabria Caffo ha il più grande stabilimento per la produzione di alcolici del meridione. Ma Caffo ha anche acquisito marchi storici come l’olandese Petrus Boonekamp, Ferro China Bisleri, liquore usato per la malaria e l’anemia, l’Elisir S.Marzano Borsci, Specialità Orientale, insieme all’aquila bicipite, simbolo dell’Albania, patria di origine della famiglia Borsci prima di trasferirsi in Puglia, e l’ultima sfida, il ligure Amaro di Santa Maria al Monte. Tradizione e innovazione, perché la nuova Red Hot Edition di Amaro del Capo, piccante, vola con un +1238% raggiungendo, in un anno circa, il quattordicesimo posto nella classifica nazionale degli amari.

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7 cocktail per svuotare le bottiglie dimenticate

Biodiversità e monachesimo

Se Amaro del Capo sta tirando un intero settore, la storia degli amari in Calabria è ben più radicata, strettamente connessa alle tinture medicinali prodotti dai monaci nei monasteri e dai primi farmacisti quando la scienza era solo quella erboristica. Perché in Calabria c’è questa tradizione così radicata? L’ho chiesto al botanico, etnobotanicocalabrese Carmine Lupia, consulente per il foraging nelle cucine del Praia Art Resort di Capo Rizzuto e come consulente botanico dalle distillerie. «C’è una sovrapposizione di ragioni. La Calabria è una terra con una grande biodiversità e con una grande tradizione storico culturale dovuta alla presenza del monachesimo orientale, ossia quello proveniente dalla Siria, dalla Turchia, dalla Grecia e dal Nord Africa, e quella del monachesimo latino». Questi due fattori sono alla base del primato della Calabria come terra di amari. «La Calabria ha una grande biodiversità: è stretta è lunga, ha due mari, montagne alte duemila metri, spiagge; ma soprattuto in una regione condensa tutte le fasce fito-climatiche del pianeta. Si va dal palmetum, la fascia tropicale, fino al faggetum e poi all’alpinetum proprio dei territori polari e dell’alta montagna». Si va quindi dal microclima tropicale umido fino ai boschi di sempreverdi, e le erbe che si possono raccogliere sono moltissime. Ma non solo: è ricca di piante endemiche, esclusive di queste terre, il che rende possibile fare amari molto diversi da quelli delle altre regioni.

Il rilancio degli amari: freddi e miscelati

Gli amari tornano in auge, ma la storia non si ripete mai uguale a se stessa: infatti se le formule antiche restano sempre le stesse, cambiano le modalità di consumo e di servizio. Meno bar e partite a briscola e invece temperature gelide e miscelazione. L’Amaro del Capo si è imposto sul mercato servito a una temperatura ghiacciata, dal freezer, e per stimolare i consumi e la diffusione si guarda alla miscelazione. Si è svolta a luglio 2022 la prima edizione dell’evento “Amara Calabria” che si è tenuto a Reggio Calabria al Piro Piro, lido tra i più belli del Sud Italia sul lungomare Falcomatà. «L’Amaro Silano ha più di 150 anni , è dal 1884 che l’Amaro Calabrisella tramanda una ricetta benedettina, la Tedesco Liquori è un marchio che esiste e resiste dal 1908 mentre risale al 1915 la nascita del Gruppo Caffo e, ancora, l’Azienda Moliterno dal 1938 perpetua il lavoro delle Reali Distillerie Borboniche. E questi sono solo degli esempi», mi spiega Giovanna Pizzi, che ha ideato l’iniziativa. «Prima che siano gli altri, fuori dai confini regionali, ad accorgersene e comunicarlo, si è deciso di focalizzare questa tendenza produttiva, quella degli amari in Calabria, organizzando un contest che rendesse giustizia a una tradizione che affonda le radici nei secoli scorsi e che negli ultimi anni sta rivivendo una sorta di nuova giovinezza», spiega la promotrice del concorso. «Sapori in grado di stupire, grazie all’infinita tipologia di erbe officinali, agrumi unici, spezie, semi e radici, appunto, che permettono di comporre ricette fantastiche e mai banali». 
Davanti a una giuria di esperti si sono sfidati venti bartender: vincitore Valerio Cutellè con il drink Trigulu a base di rum Sailor Jerry, Amaro del Capo, una banana in osmosi col pimento e gassosa al caffè (altro prodotto tipico calabrese). «È in vero e proprio fenomeno quello della produzione degli amari in Calabria che ha visto negli ultimi anni nascere decine di aziende, piccole, medie o grandi che siano, che hanno affiancato quelle storiche che raccolgono l’eredità delle produzioni del Regno Borbonico o le ricette delle abbazie dei monaci o quelle delle antiche farmacie».

Sfatiamo un mito: non sono digestivi

Gli amari sono ottimi da bere, ma non fanno bene. L’Amaro Partigiano fa digerire tutto meno i fascisti? La leggenda che li vuole digestivi purtroppo non è realtà. Al contrario: l’alcol è un potente irritante per lo stomaco, e, parlando di erbe, genziana, tarassaco, achillea e altri ingredienti che spesso si trovano negli amari hanno effettivamente proprietà digestive, ma andrebbero assunte prima dei pasti, non dopo. Per digerire, i consigli degli esperti dicono meglio evitare alcolici o bibite gassate e meglio invece fare una passeggiata. In quanto a tisane, però, proprio un marchio storico come quello dell’amaro Bisleri firma oggi una linea di bibite con agrumi di Calabria, acque toniche a base di china e sei diversi tipi di tisane alle erbe, fra cui quella (davvero) digestiva.

Una selezione di bottiglie, pluripremiate, di amari calabri

Dolci di Pasqua calabresi | La Cucina Italiana

La Cucina Italiana

Quando si avvicina la Pasqua, in ogni angolo di Italia, si preparano i dolci tradizionali. In Calabria i dolci pasquali hanno origini molto antiche, sono simbolo di rinascita e regalarli è considerato un gesto d’amore.

I dolci di Pasqua calabresi

I dolci di Pasqua calabresi si chiamano, a seconda della zona della regione dove ci si trova, cuzzupe, gute (a Reggio Calabria, più morbide e simili a delle brioches) o cudduraci. Si tratta di biscotti a forma di pesce, di cuore, di gallina o intrecciati, preparati qualche giorno prima della domenica di Pasqua.

Meglio con l’uovo?

Questi dolci dalle forme svariate hanno una decorazione particolare: uno o più uova con il guscio, che in forno diventeranno sode. L’uovo fa parte della ricetta tradizionale delle cuzzupe: in alcuni paesi della costa jonica calabrese questi dolci, in passato, rappresentavano l’amore di ogni donna per il proprio uomo. Si preparavano per regalarli al fidanzato il giorno di Pasqua e più grandi e numerose erano le uova, più era grande l’amore che si provava.

La ricetta delle cuzzupe

Per preparare le cuzzupe, montate due uova con 200 grammi di zucchero. Rendetele spumose, aromatizzando con una scorza di limone grattugiata e un po’ di vanillina; amalgamate bene e aggiungete un bicchiere di olio di oliva e un po’ di latte. Poi incorporate lentamente 500 grammi di farina setacciata, fate sciogliere dieci grammi di ammoniaca per dolci in un po’ di latte e unite al composto. L’impasto sarà perfetto quando non si attaccherà alle mani: suddividetelo allora in piccole forme e disponete i biscotti su una teglia; spennellateli con un rosso d’uovo e cospargeteli di mompariglia e zucchero, prima di infornare per 20 minuti a 180°C.

Gli ‘ncinetti, i biscotti con la glassa

In alcuni paesi calabresi, soprattutto in provincia di Vibo Valentia, per Pasqua si preparano anche gli ‘ncinetti, deliziosi biscotti ricoperti di glassa di zucchero. Per prepararli occorre un chilo di farina, disposta a fontana, a cui aggiungerere 200 grammi di zucchero e 200 di burro ammorbidito. Unite la buccia grattugiata di un limone, cinque uova e una bustina di lievito sciolta in due cucchiai di latte, realizzando un composto omogeneo. Preparate dei biscotti a forma di ciambelline, poi foderate una teglia con la carta da forno e adagiateli sopra. Gli ‘ncinetti vanno cotti per 15 minuti a 150 gradi, mentre per la glassa occorrono 500 grammi di zucchero, acqua e succo di limone.

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