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Festival Franciacorta 2023: tra vino, cibo, arte e cultura

Festival Franciacorta 2023: tra vino, cibo, arte e cultura

Cibo e vino sono elementi chiave della cultura italiana. Ecco perché Franciacorta, Destination Partner della Guida MICHELIN Italia da tre anni, ha voluto organizzare nell’ambito del palinsesto di eventi per Bergamo Brescia Capitale della Cultura il dibattito “Terra, le radici della cultura”. Un momento importante per porre l’attenzione su due elementi che affondano le proprie radici nel territorio e che ne esprimono ideali, identità e stilli di vita, e che introduce il 14° Festival Franciacorta in Cantina in programma il 16 e 17 settembre.

«Un patrimonio culturale da difendere»

Il “miracolo Franciacorta” è sotto gli occhi di tutti: la Franciacorta negli anni è diventata un esempio da seguire. «Non c’è solo il vino in Franciacorta. È un territorio fatto di esperienze e cultura, che è il saper fare e la voglia di fare bene. In questo i cuochi sono gli interpreti d’eccellenza che valorizzano la cucina italiana, un patrimonio di cui siamo orgogliosi», dice Silvano Brescianini, presidente del consorzio Franciacorta.

«Tutti vorrebbero la nostra cultura culinaria, noi dobbiamo essere i primi a portare avanti la nostra identità con orgoglio», continua la nostra direttrice, Maddalena Fossati Dondero, promotrice in prima linea della candidatura de «la cucina italiana tra sostenibilità e diversità bioculturale» come Patrimonio Immateriale all’Unesco. «La nostra cucina merita la candidatura Unesco perché è speciale: non è fatta solo di ricette ma anche di tutta quella gestualità, quelle abitudini consolidate nei secoli e quel ritrovarsi a tavola che diamo per scontato ma invece appartiene strettamente a noi italiani».

Franciacorta in cantina: oltre 60 cantine aprono le loro porte

Il territorio franciacortino è pronto ad aprire le porte al grande pubblico con più di 60 cantine aperte e oltre 170 eventi distribuiti nei 19 comuni dell’areale.

Quelli del 16 e 17 settembre saranno due giorni consacrati alla conoscenza non solo del vino ma anche di questa regione che ha dedicato tutta se stessa all’enogastronomia e all’ospitalità di alto livello.

Tra le iniziative proposte non mancheranno le visite in cantina con degustazione, le cene di gala, e i picnic nelle vigne e le degustazioni verticali di Franciacorta di annata. Se invece siete amanti dello sport e delle esperienze adrenaliniche di certo troverete quello che fa per voi: passeggiate a cavallo, tour in bicicletta e cacce al tesoro tra i vigneti sono solo alcune delle proposte tra cui potrete scegliere. E siccome, si sa, l’appetito vien mangiando e la sete vien bevendo, i ristoratori franciacortini saranno pronti a sollevare da ogni fatica i propri ospiti, accompagnandoli per incredibili itinerari gastronomici a base di prodotti tipici della tradizione del territorio accompagnati dai vini di Franciacorta nelle loro diverse tipologie ed espressioni.

Non solo vino

Nell’anno in cui Brescia e Bergamo sono state onorate del titolo di Capitale italiana della Cultura, la Franciacorta farà conoscere l’immenso patrimonio secolare su cui fonda le proprie basi. I musei del territorio saranno pronti ad accogliere un pubblico nazionale ed internazionale, con il supporto di diverse guide turistiche disponibili ad organizzare tour personalizzati, e i Tour in Bus, che quest’anno torneranno con un format innovativo, proporranno pacchetti composti da visite in cantina e in siti di interesse storico e cultuale con partenze da Rovato, Brescia, Bergamo e Milano sia nella giornata di sabato che nella giornata di domenica.

Non resta che navigare nel sito www.festivalfranciacorta.wine per trovare le esperienze o i pacchetti più adatti. Rispondendo alle semplici domande che appariranno sullo schermo una volta atterrati sul sito si verrà indirizzati su un itinerario adatto alle proprie passioni ed esigenze, oppure si potranno scoprire singolarmente le iniziative più accattivanti.

Gragnano Città della pasta, 3 giorni di festa e cultura

La Cucina Italiana

18:15 – Inaugurazione e saluti istituzionali presso il Pasta Hub Piazza Giovanni Amendola

18:30 – Consegna del premio “Gragnano Città della Pasta” 2ª Edizione

19:00 – Talk “La Cucina Italiana patrimonio di tutti: Dalla buona tavola alla candidatura UNESCO”

                 Relatori:

•  Maddalena Fossati
•  Prof. Pier Luigi Petrillo
•  Chef Marianna Vitale

20:00 – Showcooking – I Primi d’Italia

Sabato 9 Settembre

18:00 – Convegno “MUPAG: Il museo della pasta di Gragnano, un racconto, un’esperienza creativa, la ricerca, documenti”

19:00 – Convegno “10 anni di pasta IGP Gragnano. A Gragnano siamo di buona pasta. Tre elementi, un solo luogo, un’unica arte”

19:00 – Laboratorio “Un Gioiello di Pasta”
Dedicato esclusivamente ai bambini/ragazzi diversamente abili

20:00 – Showcooking

 Chef Antonio Ciotola, Taverna degli Archi – Belvedere Ostrense

Domenica 10 Settembre

18:00 – Convegno “Pasta e cinema: La pasta nel cinema, un’icona dell’Italia nel mondo. Gragnano città di pasta e cinema”

19:00 – Convegno “Progetto Alè. L’impegno di Gragnano contro il cyberbullismo”

20:00 – Showcooking
Pastry chef Angelo Mattia Tramontano

Modera: Monica Caradonna, giornalista, conduttrice televisiva ed esperta di enogastronomia.

Laboratorio Ludico – Creativo
Durante il laboratorio della durata di circa 1 ora, i bambini* realizzeranno con vari formati di pasta a loro disposizione, bracciali e collane che saranno dipinti come veri e propri gioielli da indossare. 

*Dedicato a bambini dai 5 ai 10 anni.

Per prenotare i laboratori scrivere a: casascaricacookingclass@gmail.com

19:00 – Laboratorio “Un Gioiello di Pasta”
Dedicato esclusivamente ai bambini/ragazzi diversamente abili

20:00 – Laboratorio “Un Gioiello di Pasta”

21:00 – Laboratorio “Un Gioiello di Pasta”

Torino a tavola: la guida fra piatti storici e cultura contemporanea

La Cucina Italiana

Dal primo ristorante d’Italia alle piole

Nel libro si parte dalla gastronomia dai tempi dei Romani, lungo la via che scendeva verso la Liguria per scambiare grano e vino con sale, olio e acciughe, di quella del cuoco medioevale Francesco Chapusot che prevedeva una cottura della pasta di minimo mezz’ora, condita poi con burro e formaggio grattugiato, del vermouth e del peperone di Carmagnola. Nei primi capitoli – realizzati anche grazie all’archivio de La Cucina Italiana – si scava nelle opere storiche, dove non mancano le curiosità, come il fatto che nella Torino di Carlo Alberto esistesse già la pentola a pressione (le pentole autoclavi con coperchio a vite) e si parlasse di importare funghi allevati, ma anche di quali fossero i migliori macellai torinesi. In epoca moderna, più che i ricettari dei cuochi di nobili e signori, sono i ristoranti ad aver testimoniato l’evoluzione e la crescita anche sociale ed economica delle città. A Torino c’è il primo ristorante d’Italia, Del Cambio, che dal 5 ottobre 1757 si rinnova ciclicamente rimanendo sempre fedele a se stesso, ma c’erano anche le osterie popolari e le piole. Tra le più antiche, in città c’è quel Caffè Vini Emilio Ranzini che è in via Porta Palatina sin dagli anni Sessanta, ma anche il ben più “anziano” ristorante trattoria Ponte Barra che si trova in corso Casale 308, e vecchie fotografie testimoniano la sua esistenza già nel 1902. Nel volume si ripercorre la storia dei grandi ristorati del passato, la maggior parte oramai chiusi, dei loro menù che fondevano cucina francese e piemontese.

L’arrivo di prodotti e gastronomie dal Sud

Tra il 1958 e il 1963 più di 1.300.000 meridionali abbandonarono le proprie case per trasferirsi nel Centro e nel Nord Italia; tra essi sono più di 800.000 coloro che si dirigono verso le grandi città del triangolo industriale, prima tra tutte Torino. In poco meno di un decennio arrivarono dal Sud in città centinaia di migliaia di persone, lasciarono i campi per lavorare in fabbrica, e portarono in città le proprie abitudini alimentari. Negli archivi del Museo di Torino si ricorda anche una filastrocca, molto diffusa tra i bambini della Puglia: “Torino, Torino, che bella città, si mangia, si beve e bene si sta!”. Non nacquero subito però nuovi ristoranti come accade oggi, l’uscire a mangiare era un lusso, ma questa cultura rimase chiusa nelle case. A porta Palazzo però i banchi cominciarono a fiorire di ingredienti mai visti, come cime di rapa, peperoncini, soppressate e caciotte. Piuttosto che ai ristoranti, il libro guarda quindi alle gastronomie, che oltre a mettere in mostra l’eccellenza della cucina locale, portano in città anche tipicità regionali. Nascono prima panifici come il Tarallificio Il Covo e il Panificio Pugliese e poi le gastronomie regionali negli anni Novanta, precedute dalle pasticcerie, soprattutto siciliane e napoletane, che dagli anni Sessanta e Settanta fanno conoscere a tutti i torinesi la tradizione pasticcera del Sud Italia: Pisapia a San Salvario, Pasticceria Primavera in Vanchiglia, Auriemma in Barriera di Milano. I primi ad aprire ristoranti furono, come a Milano, i toscani. La prima trattoria fu Il Gatto Nero, ancora in attività dal 1952, e dove ancora si servono l’Insalata di mare (ricetta del 1960), prosciutto toscano al colletto e fiorentine, e poi Balbo, da trattoria piemontese convertita a toscana negli anni in cui la cucina di Firenze e dintorni era di moda. Nel libro si parla della Trattoria Valenza, rilevata nel 1978 dal suo patron Valter Braga, arrivato da Rovigo nel 1957 insieme al primo flusso migratorio in città avvenuto dal Veneto in seguito alla tragedia del Polesine. Targata 1969, la Trattoria San Domenico, sarda, insieme a Da Benito (1966), sono sono invece due esempi di chi per primo portò il pesce in città.

La farinata in bicicletta e la pizza al padellino

Prima della Seconda guerra mondiale a Torino non esistevano molte pizzerie, racconta sempre il libro, si conoscevano solo la farinata e il castagnaccio di tradizione toscana, ma decisamente non la pizza napoletana. Questo perché i primi pizzaioli a emigrare nella città furono proprio quelli toscani e liguri, che portarono con loro usanze e tradizioni, come appunto quella della farinata, che fino agli anni Cinquanta veniva portata in giro sul manubrio dagli ambulanti della bicicletta nella teglia tenuta calda con la carbonella. Anche se il boom è scoppiato a partire dagli anni Cinquanta, il tegamino (o padellino), la vera pizza di Torino, è comparsa in città sin dagli anni Trenta, nei forni specializzati in farinate. Tra i locali storici si citano la Pizzeria da Alba di corso Racconigi, Cecchi di via Nicola Fabrizi e di via Madama Cristina, Da Gino in via Monginevro (aperta nel 1935), Da Michi in via San Donato (aperta nel 1971), Poldo in via Dante di Nanni (aperta nel 1939), Il Cavaliere di corso Vercelli (aperta dal 1958) e ancora Cit ma Bon di corso Casale (ai piedi della collina dagli anni Settanta), Da Michele in piazza Vittorio (aperto nel 1922 con farinata e castagnaccio e, dagli anni Trenta, anche con l’offerta della pizza al tegamino).

Torino oggi, dal kebab (gourmet) alla cucina Nikkei

A Torino il kebab è arrivato a metà anni Novanta grazie agli egiziani, Sindbad Kebab ha infatti aperto nel 1993. Il primo turco, anzi curdo, ad aprire i battenti in città è stato invece Kirkuk Kaffè, 1995, ma a Torino esiste dal 2000 un ristorante unico del suo genere: il primo kebab “gourmet” del Paese. Lo ha aperto Ergülü Demir, arrivato dalla Turchia a Torino e con la voglia di far conoscere la sua cucina ai torinesi. Lo ha fatto puntando sulla qualità, e ancora oggi prepara i döner (i grandi spiedi verticali) con la carne italiana di vitello ogni giorno, per farcire panini a fianco di piatti tipici della cucina turca realizzata con ingredienti freschi piemontesi – ora in due indirizzi. Nel libro si ripercorre poi la storia della cucina cinese, di quella indiana e giapponese in città. Sino al sushi, che dà titolo al libro. Il primo locale, aperto da imprenditori cinesi, risale al 1995, mentre nel 1997 aprì invece Wasabi, primo ristorante giapponese in città il cui titolare fosse davvero nipponico. Ma per concludere questo viaggio, bisogna citare un ristorante pluripremiato che ben rappresenta la realtà attuale della ristorazione torinese, Azotea. Fa alta cucina Nikkei, quindi un mix di tradizione peruviana e giapponese, nata dalle emigrazioni nipponiche del XIX secolo, oggi diffusa soprattutto in Sud America. La prepara lo chef Alexander Robles – nativo di Cuzco e con la nonna giapponese – ed è un indirizzo diventato di culto, al pari di quello dei grandi chef stellati in città. Per un racconto originale e non stereotipato di quello che sono le influenze, e di quella che è Torino, oggi.

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