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Martedì grasso: perché si chiama così?

La Cucina Italiana

Ci siamo, è Carnevale: il 13 febbraio è martedì grasso. Si festeggia in maschera, e – per noi adulti – si festeggia soprattutto a tavola, con piatti tipici diversi da regione a regione. In Campania con le lasagne con le polpettine, in Piemonte con la fagiolata, e poi moltissimi dolci, dalle chiacchiere alle frittelle in ogni versione possibile: a Venezia le fritole (insieme ai i “mammalucchi”), in Abruzzo i mignozzi. Capitolo a parte meritano poi i piatti a base di maiale, dalle carni alla brace ai fritti (ancora!) passando per i salumi: il periodo del carnevale, del resto coincide con quello del macello.

Come mai si chiama “martedì grasso”?

Facile allora intuire l’origine del nome: se si chiama “martedì grasso” è perché c’è una ragione gastronomica. Ma non solo. Quello che forse non tutti sanno, infatti, è che c’è anche un motivo preciso che “giustifica” tanti eccessi, e in fondo non è solo religioso. Festeggiare (anche) mangiando pietanze così ricche e importanti è una tradizione millenaria, che risale all’antica Roma e all’antica Grecia. Sono in tanti infatti a ritenere che il Carnevale tragga origine dai Saturnali e dalle feste dionisiache: ricorrenze in cui si ballava, si cantava, ci si mascherava perché ognuno potesse essere almeno per un giorno chiunque altro, e soprattutto si mangiava. O meglio: tutti potevano mangiare, senza distinzioni di classi sociali.

Una tradizione ripresa poi dal cattolicesimo (come tante altre feste di derivazione pagana, del resto), e “ufficializzata” come Carnevale intorno al 1400. Le prime testimonianze dell’uso della parola “carnevale” vengono dai testi del giullare Matazone da Caligano alla fine del XIII secolo e del novelliere Giovanni Sercambi. Inoltre la parola stessa la dice lunga su quanto la festa sia stata poi legata dalla religione al cibo: deriva dal latino “carnem levare”e cioè “eliminare la carne,” proprio perché dopo questo periodo di bagordi comincia il digiuno della Quaresima. Insomma, il martedì grasso non è altro che l’ultimo giorno di abbuffate.

Perché si dice giovedì grasso

Per il cattolicesimo, infatti, nei quaranta giorni che precedono la Pasqua – escluse le domeniche – va bandita la carne (nell’interpretazione più ortodossa anche qualsiasi altro cibo possa essere considerato un peccato di gola). Ecco perché prima del Mercoledì delle Ceneri è “concesso” esagerare. In particolare si comincia dall’ultimo giovedì del periodo di carnevale, il “giovedì grasso”: anche in questo caso l’origine del nome è dunque legata alla tavola. Del resto, oltre al fatto che dal giovedì cominciano in tante città le sfilate dei carri, ci sono anche usanze gastronomiche specifiche legate esclusivamente alla giornata: a Catania, per esempio, si mangia la pasta che cincu puttusa”, ossia la pasta con cinque buchi (che è un formato molto particolare, conditi con del sugo di pomodoro), mentre a Firenze si mangia il berlingozzo, dolce da forno a forma di ciambella.

Perché martedì e giovedì grasso cadono sempre in giorni diversi

Se ogni anno si festeggiamo il carnevale in giorni diversi è perché a dettare il calendario è sempre la Pasqua, che ogni anno – come previsto dal decreto del Concilio di Nicea nel 325 d.C – si celebra la prima domenica dopo la prima luna piena che segue l’equinozio di primavera, in un intervallo di tempo che va dalla seconda metà di marzo (il 22) alla seconda metà di aprile (il 25). Stabilita la domenica di Pasqua, si conta all’indietro di 46 giorni (escludendo le domeniche, in cui come già scritto, non è previsto digiuno), fino ad arrivare al Mercoledì delle Ceneri. Il giorno prima è dunque il Martedì grasso, Carnevale.

Perché a Milano il carnevale finisce più tardi

Così dappertutto, fuorché a Milano, dove il carnevale si festeggia per quattro giorni in più, fino al sabato (“grasso”, anche quello). Secondo la leggenda è così da quando il vescovo Ambrogio, a Roma per un pellegrinaggio, chiese ai fedeli di aspettare il suo ritorno per dare il via alle celebrazioni della Quaresima. Altra leggenda invece dice che il vescovo chiese al Papa di poter allungare il Carnevale includendo nel conto dei 40 giorni anche le domeniche: insomma, un modo per festeggiare un po’ di più.

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Renon: dove mangiare e bere vista Dolomiti

La Cucina Italiana

Arriva a Bolzano, dirigiti alla funivia del Renon. Un dondolio tenue darà leggerezza al tuo salire veloce. Valli, prati, castelli, sentieri lontani e… le Dolomiti. Arrivato, avrai alla tua destra il Park Hotel Holzner 1908. Con la sua elegante architettura liberty, come nell’aria di quella operetta*, «tra i monti azzurri ed il ciel, è dolce asilo che invita a farci godere la vita». Accadrà cenando al 1908 Restaurant. Stephan Zippl, lo chef, ti condurrà in un «mercato» di sapori. Il piatto che svela uno dei segreti di questa impareggiabile cucina è il «100% Aspinger» e capirai presto perché.

Di fronte al ristorante, la stazione del treno del Renon, realizzata nel 1907. Il piccolo treno rosso attraversa boschi di abeti e pascoli. Fermandosi a richiesta, collega villaggi e fattorie arrivando puntuale alla stazione di Collalbo. Un consiglio: il caffè Lintner a pochi metri dallo storico hotel Bemelmans Post. Ti suggerisco un bicchiere di latte con una fetta delle loro torte: quella di ricotta, la Sacher, la torta di grano saraceno con marmellata di ribes rosso, la Linzer con il lekvar* di lamponi, il loro confortevole strudel. Da Collalbo, la SP73 ti porterà a Barbiano. Chiedi del maso Aspinger. Harald Gasser e la sua famiglia vivono in questo podere che fu del padre, del nonno, comperato dal bisnonno. Erbe e piante ovunque: nei vasi grandi e piccoli del garage, negli orti lungo la collina, nelle cassette di legno accanto al fienile, sotto le finestre del soggiorno, lungo la strada che sale al paese. Osserva: nel maso Aspinger, le piante, gli ortaggi, le erbe, sono coltivate e vivono come in un’unica, grande, composita, «dinamica» comunità che sembra in costante movimento. Presta attenzione se Harald parlerà del diritto di migrare delle piante. Comprenderai quante cose restano ancora da svelare, capire. Petra, la moglie, è maestra d’ospitalità. Sa convincere un’amica della suocera a cucinare per te la «zuppa di trippe» come nessuno più fa: farina bruciata, aglio, burro (se c’è), alloro e un po’ di aceto di vino prima di servirla calda. La sua insalata, servita nella terrina smaltata, è un giardino che va raccontato, stagione per stagione. Harald e il padre Gebhard panificano il loro pane con farina di grano duro, segale, cumino selvatico, anice e un po’ di «trifoglio del pane»; qui lo chiamano anche «erba zingara». Sentirai friggere nella padella le polpette servite poi con un purè fatto con la varietà di patate Sieglinde, la migliore. Sappi che la polpetta è di sola carne di zebù nano: niente farina, niente pangrattato, niente uova, niente di niente. Croccanti, succose, saporite. Harald ha scelto di allevare lo zebù nano srilankese perché è razza rustica, sana, mansueta. Bevi con attenzione il loro vino rosso servito nel coccio grigio. Il sapore è pieno, soddisfacente e consolatorio. La vigna la impiantò il bisnonno, il vitigno è antico, in giro se ne è persa la memoria. Sarà una giornata perfetta se Petra avrà preparato anche la torta di papavero, servita con la panna della latteria di Lagundo montata a mano. Farina di nocciole, burro, uova, zucchero, le piccole mele Gravensteiner e farina di semi di papavero. Le piante sono coltivate vicino alla stalla, solo due metri quadrati di coltura, come vuole la legge. I sapori indimenticabili che l’ospitalità di Petra e dei figli Aron e Noah offrono sono saperi se li saprai cogliere. «L’ascolto» e l’attenzione che Harald dedica alle sue essenze vegetali ridonano al verbo coltivare il senso, l’intenzione del gesto primigenio: colere = coltivare, incolere = abitare, coltura = cultura. Mettiti in viaggio…

*Al Cavallino Bianco, operetta in tre atti di Ralph Benatzky, su libretto di Hans Müller-Einigen e Erik Charell e testi di Robert Gilbert rappresentata la prima volta l’8 novembre 1930, Großes Schauspielhaus.
*Una confettura densa o burro di frutta di origine ungherese.

Dolci di Carnevale: 15 golose ricette

Dolci di Carnevale: 15 golose ricette

Le maschere, i carri, i coriandoli ma soprattutto i dolci di Carnevale, sempre golosi e sempre irresistibili.

Il Carnevale rappresenta un momento di passaggio: in molte culture, fin dal tempo dei riti dionisiaci, segna il transito dall’austerità dell’inverno all’abbondanza della primavera. Noi però oggi celebriamo la vastità di dolci tipici che si possono gustare e preparare in questo gioioso periodo di festa.

Dolci di Carnevale con fantasia

I fritti dolci, tipici di questo periodo, hanno origini regionali diverse e in ogni zona d’Italia acquisiscono nomi differenti oltre che piccole varianti: le ricette classiche si sono poi trasformate nel tempo e sono state rivisitate e semplificate per la gioia di grandi e piccini. I più piccoli infatti amano pasticciare, sanno sperimentare e creare abbinamenti insoliti, dategli fiducia e vi sorprenderanno. Inoltre è molto importante per loro giocare e lavorare insieme con gli adulti, quindi lasciatevi aiutare in cucina.

Organizzate il il piano di lavoro e preparate frittelle, chiacchiere, castagnole, coriandoli, stelle filanti, maschere di frolla e tutto ciò che la fantasia vi ispira.

Chiacchiere di Carnevale

Bugie, galani, frappe, ma nella maggior parte delle regioni sono conosciute con il nome di chiacchiere, le dolci e fragranti “regine” del momento. Di questi dolcetti fritti o al forno a Carnevale ne mangiamo davvero tanti: 20 milioni di chili (per un valore di 160 milioni di euro). Nelle Marche si chiamano frappe, potete gustarle a Fano, città dalla storia golosa. A Venezia sono dette galani, e ce ne saranno montagne nei gazebo gastronomici di Rio di Cannaregio, punto di arrivo della spettacolare sfilata in costume lungo il Canal Grande. In Piemonte sono conosciute come bugie, e tra i più famosi ricordiamo il Carnevale supervitaminico di Ivrea con la tradizionale battaglia della arance.

Frittelle di Carnevale

Volendo tutto ciò che è fritto si potrebbe chiamare frittella dai krapfen, alle bignole, dalle cresciole marchigiane alle fritole veneziane: nomi diversi per il più goloso dei dolci del Carnevale. La fragranza del fritto, il profumo della pasta zuccherata, l’allegria della festa: tutto in dorate ricette mai banali.

Castagnole di Carnevale

Le castagnole, dette anche tortelli, sono dei bocconcini fritti dolci, tipici di Emilia Romagna e Marche, ma ormai famose in tutta Italia, infatti sono tra le ricette più apprezzate per il Carnevale. Devono il nome alla loro forma che ricorda quella delle castagne e il loro impasto semplice e veloce è perfetto per ogni occasione.

E poiché in questo periodo frittelle, chiacchiere e castagnole non possono certo mancare, eccole in tante inedite versioni dolci, che non fanno rimpiangere una piccola trasgressione. E che rendono tutti più felici.

Dolci di carnevale, le migliori ricette

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