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Mai preparato l’arrosto con la frutta? 15 ricette originali

Mai preparato l'arrosto con la frutta? 15 ricette originali

Per il pranzo della domenica avete in programma di preparare l’arrosto? Vi proponiamo l’arrosto con la frutta per un tocco diverso, per rendere più originale il gusto della carne cotta al forno in abbinamento alla frutta fresca di stagione oppure, se non è disponibile, alla frutta disidrata.

Perché carne e frutta si sposano bene

Come nel caso dei salumi, la frutta si sposa bene con la carne perché la sua dolcezza bilancia le carni sapide, perché rende più succose quelle magre e perché dona un tocco di freschezza e acidità alle carni grasse. Per questo le carni che più si prestano a essere cucinate con la frutta sono quella di maiale, di vitello, di anatra e di oca, mentre i frutti più utilizzati sono quelli che ci dona la stagione fredda – il momento in cui si cucinano di più le carni al forno – e quindi mele, pere, uva, prugne, castagne, agrumi.

La frutta può essere cotta accanto alla carne oppure essere l’ingrediente di un ripieno con cui farcire l’arrosto.

Arrosto con la frutta: 15 ricette

Ecco le nostre ricette d’archivio per preparare un arrosto con la frutta.

Arrosto di maiale con…

Un classico abbinamento con la carne di maiale sono le mele: possiamo variare utilizzando mele cotogne oppure abbinare alle mele del sidro o altra frutta come albicocche secche e frutta secca. Si possono sperimentare ancora prugne – un altro classico -, pere, uva e cucinare diversi tagli come la coppa o il carré. Qualche idea: Coppa di maiale al forno con mele, albicocche secche e anacardi, Arrosto di maiale e mele cotogne, Lonza di maiale alle prugne con patate, Carré di maiale marinato all’arancia e senape con miele e prugne, Arrosto di maiale con pere e castagne, Reale di maiale con pere e uva, Lonza di Maiale arrosto con sidro e mele.

Arrosto di vitello con…

Le mele si abbinano anche alla carne di vitello che si può cucinare anche con castagne, uva, mirtilli come in queste ricette: Arrosto di vitello con albicocche e fichi secchi, Arrosto d’autunno di vitello con porcini, castagne e zucca croccante, Arrosto di vitello con mirtilli, Arrosto di vitello e anatra con uva, Arrosto di vitello alla senape con uva e capperi, Filetto di vitello, mele e radicchio con salsa al porto.

Oca e anatra con…

Anche anatra e oca, essendo carni grasse, si sposano bene con la frutta, arance ma anche uva, mele e pere come in queste ricette: Arrosto di vitello e anatra con uva, Oca arrosto con le mele, Oca arrostita e frutta cotta, Oca ripiena, Anatra all’arancia.

Ricerche frequenti:

Melanzana, attenti al frutto nero

La Cucina Italiana

La vicenda della melanzana è tutta racchiusa nella storia della parola che la designa. Secondo le ipotesi più accreditate il suo nome deriva dall’incrocio tra l’arabo bādingiān e mela oppure dal greco bizantino melintzána (da mélas, «nero», in riferimento al colore scuro della buccia). Ma c’è anche un’interpretazione popolare, dal latino mala (mela, frutto) e insana, che rivela un’accoglienza iniziale tutt’altro che benevola. Portata in Europa nel Medioevo dagli Arabi attraverso la Sicilia e la Spagna, il frutto della Solanum melongena trova in Occidente vistose resistenze, tanto che nei ricettari medievali della nostra Penisola non ce n’è quasi traccia, perché era considerata nociva, capace persino di portare alla follia. È quanto emerge nel Novellino, raccolta fiorentina di novelle della fine del XIII secolo, in cui, in riferimento al pet(r)onciano (variante toscana e più antica di melanzana), si legge: «Maestro Taddeo, leggendo a’ suoi scolari in medicina, trovò che, chi continuo mangiasse nove dì di petronciani, che diverrebbe matto; e provavalo secondo fisica».

Melanzana: amore o sdegno?

Nel Nord Europa la melanzana è a lungo considerata una pianta ornamentale, e in Francia è addirittura ridenominata pomo d’amore; in Italia viene utilizzata in cucina solo a partire dal Cinquecento: lo dimostrano le risultanze di AtLiTeG, in cui la voce compare per la prima volta nel cosiddetto Cuoco Napoletano (manoscritto della fine del XV secolo), nella forma plurale marignani. Che a quel tempo l’ortaggio non fosse ancora totalmente riabilitato lo testimoniano i due più importanti trattati del Rinascimento: i Banchetti di Cristoforo Messi Sbugo e l’Opera di Bartolomeo Scappi. Nel primo, accanto alla forma mollegnane troviamo pome di sdegno; nel secondo, accanto a molignana ancora pomo sdegnoso. Parallelamente alle controindicazioni di carattere medico (come ebbe a scrivere Castore Durante nel suo Herbario Nuovo, l’uso smodato dell’ortaggio avrebbe arrecato «humori malinconici, oppilationi, cancari, lepra, dolor di testa»), sembra farsi strada l’idea della melanzana come cibo volgare, adatto alle mense popolari se non plebee. A ciò va aggiunto che, se per tutta l’età moderna la melanzana acquisisce nella cultura alimentare cristiana uno spazio limitato, essa occupa un posto d’onore in quella ebraica, sulla quale un tempo ricadeva un giudizio tutt’altro che positivo. Anche in questo caso, bisogna attendere la Scienza in cucina di Pellegrino Artusi (1891) per avere maggiore chiarezza. Nella ricetta dei petonciani, variante preferita da Artusi in ossequio al modello fiorentino di lingua, si legge: «Petonciani e finocchi, quarant’anni orsono, si vedevano appena sul mercato di Firenze; vi erano tenuti a vile come cibo da ebrei, i quali dimostrerebbero in questo, come in altre cose di maggior rilievo, che hanno sempre avuto buon naso più de’ cristiani». Una strada lunga e faticosa, dunque, quella della melanzana, che oggi, a dispetto di ogni pregiudizio, è una regina della dieta mediterranea.

Che cosa è ATLITEG

L’Atlante della lingua e dei testi della cultura gastronomica italiana dall’età medievale all’Unità è un progetto finanziato dal ministero dell’Università e Ricerca. Si esprimerà in una banca-dati testuale, un Vocabolario digitale e un Atlante, che riporterà su webGIS la distribuzione geografica e storica dei dati ricavati dai testi. La cartina mostra la distribuzione e le frequenze, in base alle risultanze del corpus di AtLiTeG, dei due tipi lessicali melanzana e petonciano, ben differenziati rispetto alla assenza/presenza in Toscana.

Si può mangiare la punta della banana?

La Cucina Italiana

Si può mangiare la punta della banana? In tanti ne stanno alla larga e tagliano di netto l’estremità. Altri, seguendo la filosofia del «non è vero, ma non si sa mai» seguono a ruota, senza però nemmeno chiedersi il perché. Ecco allora tutto ciò che c’è da sapere per schiarirsi le idee, sfatare ogni dubbio e rispondere una volta e per tutte alla domanda: si può mangiare la punta della banana?

Come si chiama la punta della banana?

A destare timore sono le punte nere delle banane. Perciò, per capire meglio è anzitutto importante capire cosa sono: quel puntino nero che c’è all’estremità delle banane si chiama apice calicino, ed è il gambo del fiore. Una volta raccolto il casco di banana, l’apice calicino normalmente cade, ma talvolta rimane inglobato. Poi, per effetto degli enzimi, durante la maturazione, possono imbrunirsi anche le parti vicine, facendo diventare nera tutta l’estremità del frutto. Si tratta, dunque, di un processo completamente naturale.

Perché si pensa che mangiare la punta della banana faccia male?

Perché allora tanta paura? Non c’è una spiegazione precisa: di sicuro c’è la tendenza diffusa a scartare tutte le parti dei cibi annerite o in qualche modo rovinate, senza una ragione razionale. Anzi, in questo modo si commette un grave errore, perché non si fa che aumentare lo spreco di cibo prezioso. C’è anche chi dice in rete che questa abitudine di scartare la punta nera delle banane si nata negli anni 90 negli Usa a causa di qualche famigerato esperto che avrebbe detto che è nociva e addirittura cancerogena. Questa teoria, però, ci pare più singolare della convinzione che la punta nera della banana non si debba mangiare.

Cosa dice la scienza

Non ci sono prove scientifiche che la punta nera della banana faccia male. Si può mangiare senza correre alcun rischio, perché – ribadiamo – la punta nera della banana è naturale: non contiene nessuna sostanza nociva o parassiti. Se contenesse sostanze dannose, sarebbero caduti uno dopo l’altro milioni di “coraggiosi” mangiatori di banane che, in barba alla credenza popolare, le hanno sempre e comunque mangiate per intero. E sarebbe sterminata la popolazione di vari Paesi asiatici e africani, ma anche sudamericani come il Brasile, in cui i fiori di banana, oltre alle banane stesse, vengono usati per tante gustose preparazioni, sia cotte sia crude, dolci e salate. In effetti hanno un sapore piacevole, e sono ricchi di ottime proprietà nutrizionali.

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