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Come diventare ispettore della “Guida Michelin”: intervista

La Cucina Italiana

Come si inizia sul territorio?

«Con l’apprendistato: giri per alcuni mesi affiancato da un ispettore anziano che ti porta negli stellati, una, due o tre perché tu capisca i differenti livelli di qualità. Poi sei da solo e succede spesso che una volta libero da chi ti affianca, ci si toglie qualsiasi sfizio facendo pranzi natalizi in ogni luogo, ma il tutto si esaurisce in un paio di settimane. Sia per ragioni fisiche sia perché impari a scegliere oculatamente nel menù. Quando sei preparato, basta un piatto per capire il posto».

Il problema numero 1 per un ispettore qual è?

«La solitudine. Prendendo la mano, riesci a organizzare un fine-settimana in una bella località e farti raggiungere dai familiari o da amici, ma gli inizi sono duri per tutti. Mi è capitato di andare in crisi, magari in un posto sperduto dove mi avevano mandato, e persino di piangere. Chiaramente non ho mollato e sono rimasto per una vita in Michelin. Mi piace sempre, parafrasando una celebre aria, ricordare quello che potrebbe essere il motto della Guida Rossa: «Nessun goda perché se ti diverti, vuole dire che non stai lavorando».

In un’occasione ha detto: «Senti il fiato dei francesi sul collo, sempre. Cercano di condizionare ogni scelta, anche quelle delle singole stelle». In pratica, è come dire che gli italiani non contano o all’epoca, magari, non contavano.

«È più sottile la cosa. Intanto, va detto che le decisioni alla Michelin sono collegiali: non decide mai uno da solo, lo garantisco. Poi, ha preso sempre più piede la consuetudine di scambiarsi i paesi per le visite importanti: se è vero che nei nostri ristoranti, oltre a ispettori francesi, si notano sempre maggiormente quelli tedeschi, inglesi o giapponesi, è notorio che gli italiani vanno all’estero. Quanto al fiato dei francesi, nel corso del mio mandato, ho cercato di allargare i loro parametri di assegnazione dei “macaron”, elargendo anche stelle eretiche per lo spirito dell’epoca. “La stella è nel piatto”, si è sempre detto, io ho cercato di andare oltre, di valutare altri fattori. Per esempio, nel 1996 abbiamo assegnato una stella al Joia di Milano, eliminando una volta per tutte l’idea che vegetariano fosse sinonimo di penitenziale».

Forse lo hanno capito solo negli ultimi anni

Guida Michelin Italia 2024: promossi, bocciati e (finte) sorprese

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Ed eccola la Guida Michelin Italia 2024. Ma va detto, così come siamo un popolo di commissari tecnici (a meno di non odiare il calcio), allo stesso modo crediamo di essere (in questo caso parliamo di nicchia) gli ispettori della Michelin. Magari allenandoci con le recensioni di Tripadvisor. Comunque sia, non possiamo fare né le formazioni della Nazionale, né decidere sulle Stelle: per la cronaca, visto che ormai nella Serie A calcistica i giocatori italiani sono il 35% sul totale, appare ben più difficile il lavoro di Sergio Lovrinovich – direttore della Guida Michelin Italia – che quello del buon Luciano Spalletti, selezionatore degli Azzurri. Di ristoranti che vogliono entrare o tornare nel “salotto buono” della cucina ce ne sono decine e decine: nove volte su dieci restano al palo. La premessa, per ribadire che noi per primi ci divertiamo un sacco a fare pronostici sulla Rossa e, come tutti (addetti ai lavori e gourmet), ne azzecchiamo una parte, quando va bene.

Le Stelle

Lo hanno scritto mille volte, ma è giusto ripeterlo. Il fascino (non occulto) della Michelin è non seguire le mode, ma premiare la costanza. A parte che non sempre la Rossa fa seguire il dogma alla pratica, andiamo in controtendenza: talvolta è un errore perché ci sono decine di vecchi stellati fuori dal tempo non per gli arredi bensì per una cucina stanca e non di rado mal eseguita. Non è questione di creatività, né di restare fedeli al copione: si chiama restare sul pezzo, merita rispetto, ma non ha senso metterlo sullo stesso piano di chi spingendo continuamente viene fermato al confine. Vedere dei campioni della nostra cucina (i soliti, scusateci, ma è così: Cracco, Berton, Baronetto, Camanini…) messi sullo stesso piano di onesti cuochi non mi convincerà mai e non si tratta di snobismo. Per non parlare di eccellenti professionisti cui manca sempre la prima Stella o cercano di riprendersela, che sono avanti anni luce a parecchi posti “con la storia”.

Qualche facile previsione

Poi, ovviamente, ci sono anche i pronostici rispettati. La doppia stella di Andrea Aprea e Michelangelo Mammoliti rientra tra queste, partendo da presupposti diversi, ma esemplari in entrambi i casi. Oppure la conferma di Norbert Niederkofler, protagonista di un trasloco esemplare: raramente si è visto un posto e un team che in poche settimane di lavoro è stato capace di offrire esperienze di altissimo livello, in un luogo top, come Atelier Moessmer. Questa è una case history da prendere nota, unita alla capacità del guru altoatesino di aver creato un metodo che i suoi allievi (Alnerto Toé di Horto e Michele Lazzarini di Contrada Bricconi) hanno messo rapidamente a frutto, conquistando la Stella singola.

Regione per regione

Capitolo Sud. Non fa notizia nella misura in cui tanti hanno scritto. La Campania è da sempre una delle regioni più amate (giustamente, sia chiaro) dalla Michelin: evidente sia stata un’edizione memorabile con tre stelle singole in provincia di Salerno, due bistellati in quella di Napoli e il tristellato (a sorpresa) Quattro Passi di Nerano. Alla fine, la richiesta a gran voce di scendere sotto la vecchia linea tra l’Abruzzo e Roma per dare al Sud un tre Stelle ha funzionato. Bravissima la famiglia Mellino a cogliere l’attimo fuggente, bruciando vecchi leoni e giovani rampanti. Tra l’altro, quando tornerà Don Alfonso 1890 in una veste che, dicono, clamorosa, la Campania potrebbe avere un altro massimo riconoscimento.

A livello regionale, considerando che Toscana e Lombardia hanno fatto, come sempre il proprio dovere, ci pare che la maggiore soddisfazione debba risiedere nella piccola Umbria (non bagnata dal mare, quindi con un handicap in partenza) con le tre nuove stelle singole mentre a parte il previsto exploit di Mammoliti con La Rei Natura è stata una stagione triste per il Piemonte che ha perso quattro Stelle per strada. Bene anche la Sicilia, ma senza il colpo d’ala, e la Liguria, che sembra uscita dall’immobilismo di un tempo. Importante: a conferma che le accuse fatte alla Michelin di guardare molto ai giovani cuochi e poco alle cuoche sono insensate, ecco ben tre nuove stelle a locali guidate da signorine e signore. Morale: se ci sono poche donne in cucina, ce ne saranno pochissime brave e da premiare, è una questione di numeri.

Le Stelle Verdi

Invece, di Stelle Verdi, se ne troveranno sempre di più (siamo a 58 da quando è nata l’idea nel 2021) per quanto la classificazione ci appaia onnicomprensiva. Ma il Verde piace, fa sentire persino più buoni e non di rado diventa l’anticamera della Stella Rossa o la targa in più da mettere davanti all’entrata affiancando quella già guadagnata. Al contrario, continuano a mancare i “macaron” per la pizza con alti lamenti da parte degli addetti ai lavori: i maestri nonostante locali chic, comunicazione ad alto livello e un impegno clamoroso per apparire chef continuano a non essere considerati. Anche i più bravi, secondo noi, non prenderanno mai l’agognata Stella perché – non dimenticatelo mai – magari gli ispettori italici nel tempo libero vanno sempre in pizzeria, ma comandano i francesi. Fargli capire che Franco Pepe – tecnicamente e culturalmente – vale quanto (e forse più) un giovane cuoco è praticamente impossibile.

A proposito di cugini d’Oltralpe: per quanto ci sia gioia diffusa per essere sempre più vicini a loro (e in effetti, almeno sui piatti non hanno più niente da insegnarci, anzi spesso siamo noi a emigrare per dar loro energia), 395 locali stellati in Italia sono un’enormità che non ci convince. Teniamoceli, per carità, ma vent’anni fa entrare nel “salotto buono” era decisamente più complicato e il livello medio – soprattutto dei neo stellati – era superiore. Chiedere a chi viveva quell’epoca da cuoco o gourmet, se non ne siete convinti. Ma la Michelin, per quanto ami raccontarsi inamovibile, è una vecchia signora che sa adattarsi al mondo che cambia e si concede pure il piacere della (finta) tendenza. Quella che può apparire la sorpresona dell’anno, ossia la doppia stella al milanese Verso, locale minimal in tutto, nel menù e nell’arredo con un bancone in stile omakase davanti alla cucina, da un lato è un riconoscimento a due super professionisti quali i fratelli Capitaneo e dall’altro pare lanciare un messaggio che il ristorante del futuro possa uscire dai canoni della tradizione. Calma e gesso, possiamo elencare le Stelle fuori dalle rotte, rimaste tali: nella notte dei tempi il ristorante vegetariano (Joia, tuttora il solo in guida), la macelleria con cucina Damini e Affini (senza imitatori), il locale etnico Iyo (tale è rimasto). Ergo, è la sorpresa richiesta dal copione: quindi se volete che l’amata pizza colga il “macaron” non parlatene più per un paio di anni.

Stella verde Michelin, cos’è e come ottenerla

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Uno dei riconoscimenti per il quale i ristoranti gourmet fanno a gara è la stella verde Michelin. Perché se anche nel campo della ristorazione le mode vanno e vengono una sicurezza esiste ed è che in tema di consumi cresce la domanda di informazioni chiare in merito alla sostenibilità dei prodotti che acquistiamo. Moda, beauty e cibo oggi si scelgono anche in base al loro impatto ambientale e le aziende che forniscono dichiarazioni di sostenibilità chiare, responsabili e trasparenti, otterranno un sempre maggior vantaggio competitivo nei confronti della concorrenza. Nella ristorazione vale la stessa regola e sempre più ristoranti si stanno adeguando, per marketing o per convinzione. Come riconoscere un’insegna realmente impegnata nella sostenibilità, oltre le apparenze? Ci ha pensato la Guida Michelin.

La stella per la sostenibilità

Nel 2020 è stata introdotta per la prima volta una nuova categoria tra le stelle Michelin: la stella verde, che si propone di premiare i ristoranti che seguono alcuni comportamenti virtuosi in tema di sostenibilità. Nell’assegnazione della stella, non è solo la cucina a fare da protagonista, ma vengono considerati altri parametri come: lo stile green, l’autoproduzione delle materie prime, l’azzeramento della plastica e altri materiali non riciclabili, l’impatto energetico, lo smaltimento dei rifiuti, l’attenzione verso la vita del personale e creazione di progetti sociali a livello locale, nazionale e globale. A oggi in Italia sono 49 i ristoranti con la stella verde, dai tre stelle Michelin di fama internazionale alle trattorie. 

Gli chef che stanno ispirando una generazione

Esistono chef che oltre al lavoro in cucina in senso stretto hanno dato vita a veri e propri movimenti, segnando un percorso e dato l’esempio intraprendendo percorsi oramai decennali di impegno nei confronti della sostenibilità. I primi a ricevere la stella verde sono stati loro. L’Osteria Francescana ha ricevuto la stella verde per merito del progetto Food for Soul (creato da Massimo Bottura con la moglie Lara Gilmore) il cui scopo è quello di «combattere lo spreco alimentare e favorire l’inclusione sociale con refettori aperti oramai in tutto il mondo». Norbert Niederkofler con il ristorante St.Hubertus in Alto Adige ha dato vita al movimento Cook The Mountain che ha rivoluzionato la cucina di montagna valorizzando le produzioni locali di alta quota. Davide Oldani con il suo bistellato D’O ha fatto della formazione dei ragazzi un elemento di sostenibilità. Precursore in assoluto anche il ristorante Joia di Pietro Leemann, il primo ad aver ricevuto in Europa la stella Michelin e ad aver promosso la cucina vegetariana. 

Oltre l’orto, le aziende agricole con cucina stellata

L’orto dello chef che andava di moda un decennio fa non è più sufficiente per ammantarsi di filosofia green e l’impegno dei singoli ristoranti va ben oltre l’autoproduzione di frutta e verdura. Da più di trent’anni, l’azienda biologica della famiglia Iaccarino a Punta Campanella vanta una produzione di frutta e verdura nel rispetto delle tipicità locali necessaria alla cucina del DonAlfonso 1890, tre stelle Michelin. Grazie al programma Zero Waste la raccolta differenziata raggiunge il 95% e lavorano per la riduzione di rifiuti e scarti nelle strutture ricettive. Il ristorante La Preséf in Valtellina si trova in un agriturismo che alleva le vacche nel segno del benessere animale e ha attivato sul tetto della propria stalla un impianto che supporta la produzione di energia elettrica per il 36% circa del fabbisogno. Al ristorante SanBrite, una malga a 1800 metri di altitudine, lo chef Riccardo Gaspari porta avanti una cucina che ama definire rigenerativa, ovvero una cucina in cui ogni elemento della filiera si muove in modo circolare e costante: nel piatto finiscono carne, formaggi e verdure di propria produzione. La famiglia Ceraudo del ristornate Dattilo in Calabria ha un’azienda agricola 100% indipendente a livello energetico, grazie a un impianto fotovoltaico. La Cru appena fuori Verona invece prende alla lettera il concetto di sostenibilità e stile green. «La materia prima viene utilizzata nella propria interezza ed eventuali scarti vengono poi utilizzati quale compost per l’orto di proprietà. Al bando qualsiasi additivo chimico! Le piante “cooperano” tra loro in sinergia e inoltre: raccolta di acqua piovana, impianto fotovoltaico, biopiscina con filtraggio di H2O attraverso gli alberi, foraging…», spiega lo chef Giacomo Sacchetto (nella foto di apertura insieme alla brigata del ristorante, a Liliana e Kaleb che si occupano dell’orto).

L’approccio alla materia prima

Nel mezzo della laguna veneta, Venissa sull’isola di Mazzorbo ha un laboratorio di fermentazione che provvede al recupero di sovrapproduzione agricola e scarto del pesce. Martina Caruso al ristorante Signum sull’isola di Salina lavora pescato non propriamente diffuso come murena e pesce azzurro, mentre al Gardenia di Caluso le erbe selvatiche sono il fulcro della cucina. Al ristorante Terra, due stelle Michelin a Sarentino in Alto Adige, il valore del plastic free si aggira attorno al 90%. Terra si sposa inoltre con l’acqua, sostenendo il “World Ocean Day”: programma – in collaborazione con le Nazioni Unite – atto a sensibilizzare l’opinione pubblica sulle problematiche degli oceani, nonché dei mari, afflitti da vari problemi come l’inquinamento e la presenza di plastica.

Non solo stelle: le trattorie green

Non solo i ristoranti stellati possono ottenere la stella verde: esistono anche alcune trattorie che l’hanno ottenuta. Due storie interessanti sono quelle di Caffè La Crepa a Isola Dovarese, già Bib Gourmand che oltre all’orto e al vigneto km zero offre il service point per biciclette che Favorisce un turismo sostenibile d’eccellenza e permette alla clientela di raggiungere il nostro ristorante senza emissioni di CO2, offrendo inoltre un servizio gratuito di riparazione e manutenzione». Anche Casa Format a Orbassano ha ottenuto la stella verde grazie all’autosufficienza dal punto di vista energetico, la struttura infatti «è una costruzione a impatto zero cui fa eco un orto naturale di ben 2000 mq».

Come candidarsi?

Nonostante la Guida Michelin abbia da sempre ispettori in incognito e le sue votazioni sono quindi ammantate di mistero, il modo per sottoporre la propria candidatura è piuttosto semplice: mandare una mail. Alla domanda posta direttamente all’ufficio della guida la risposta è stata la seguente: «I ristoranti possono auto segnalarsi. Possono scrivere alla mail a laguidamiochelin-italia@michelin.com, oppure al servizio clienti del sito facendo una auto segnalazione a questo link. Dopodiché avvengono i controlli degli ispettori».

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