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Il Conegliano Valdobbiadene raccontato da 5 giovani scrittori

La Cucina Italiana

Giovanissimi davvero e un po’ intimiditi, i cinque finalisti del premio Campiello Giovani sono arrivati tra le colline del Conegliano Valdobbiadene per visitare il territorio protetto dall’Unesco e per trovare nuovi ispirazioni per i loro scritti, che confluiranno poi nel volume Trame di vite. Si tratta di una bella iniziativa progettata dal Consorzio di Tutela e giunta quest’anno alla seconda edizione, poiché permette di raccontare il territorio con un punto di vista diverso e originale. Il momento della loro visita ha coinciso con quello della vendemmia, che da queste parti non è esagerato definire eroica: le pendenze sulle Rive sono vertiginose, le vigne ricoprono le colline e si intervallano a fitti boschi, le strade sono strettissime e spesso sterrate. Non c’è altro modo di raccogliere l’uva se non a mano, in equilibrio precario, al massimo con il solo aiuto di ingegnose carrucole che trasportano i grappoli verso un punto di raccolta vagamente pianeggiante. 

Alla scoperta del territorio

I ragazzi – Elisabetta Fontana, Valeria Lanza, Ester Mennella, Chiara Miscali ed Emanuele Tomasoni – sono arrivati direttamente da Venezia, freschi della serata di incoronazione (la vincitrice dell’edizione 2023 è stata Elisabetta Fontana, con il racconto Sotto la pelle) e hanno trascorso tre giorni nella zona del Conegliano Valdobbiadene, durante i quali hanno visitato i luoghi più significativi della Denominazione, provato ristoranti e trattorie e incontrato alcuni personaggi e personalità, particolarmente significativi per il territorio, come lo storico locale Miro Graziotin e il docente di Storia dell’agricoltura e Storia dell’alimentazione Danilo Gasparini, in questa occasione nelle vesti di due Virgilio narratori di usanze e tradizioni.

Dopo avere incontrato i ragazzi al loro arrivo, durante un pranzo nella cantina della presidente del Consorzio del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg Elvira Bortolomiol, ho chiesto loro di raccontarmi le prime impressioni e suggestioni che hanno ricavato dal soggiorno. In attesa dei loro racconti per Trame di vite, ecco cosa mi hanno risposto.

I finalisti di Campiello Giovani 2023.

La parola ai “Campiellini”

I primi aggettivi che vengono in mente a Chiara Miscali per descrivere il territorio sono «bello e profondo», un aggettivo, quest’ultimo, che si lega alla storia del luogo, alle radici, al duro lavoro necessario per renderlo così, anche a livello estetico. Fa eco Elisabetta Fontana, che definisce la zona del Conegliano Valdobbiadene «autentica, poetica e frizzante», mentre Valeria Lanza pone l’accento sull’accoglienza, la cordialità delle persone e l’attenzione che la comunità pone per il paesaggio e le tradizioni. L’accoglienza, insieme al «duro lavoro e alla dedizione» sono le caratteristiche che hanno colpito anche Ester Mennella, mentre Emanuele Tomasoni descrive l’area come «appassionante, unica e ricca di storia». In quest’ottica, per Elisabetta Fontana il riconoscimento Unesco è «assolutamente meritato. Sono felice che sia stato riconosciuto e che ci si prodighi a salvaguardare un territorio tanto spettacolare, che in qualche modo è anche riuscito a rimanere fedele a se stesso e alla propria storia». 
«Credo che la valorizzazione di un territorio simile sia importante oltre che dal punto di vista della bellezza oggettiva, lampante, a tratti disarmante, soprattutto perché ritengo gratifichi il lavoro di chi, ogni giorno, tutto l’anno, si impegna per raggiungere quel bello e quel buono» aggiunge Chiara Miscali. D’accordo anche Emanuele Tomasoni che sottolinea: «Penso che sia più che meritato, che oltre a dipendere solamente dalla bellezza estetica del territorio sia stato attribuito anche per via della filosofia di vita delle persone che lo abitano e che tutto sommato sia il modo migliore per tutelare un territorio di tale valore». Valeria Lanza conclude: «Ritengo che il riconoscimento Unesco per il paesaggio di Conegliano Valdobbiadene sia significativo per il messaggio che veicola: la coltivazione della vite e il territorio sono fortemente influenzati l’uno dall’altro. Di norma, l’azione dell’uomo che sfrutta la natura comporta la distruzione e la contaminazione dei paesaggi. Nell’area del Conegliano Valdobbiadene, tuttavia, la viticoltura tradizionale, definita eroica per la pendenza delle colline, contribuisce alla creazione di bellezza: le vigne sono spesso disposte simmetricamente, secondo disegni particolari, che, da lontano, paiono ricamare i colli. Pertanto, grazie all’attenzione per l’ambiente sorta negli ultimi anni e le scelte ecologiche operate dai singoli, tradizione e innovazione, uomo e natura, coesistono preservando negli anni un territorio particolare».

Lo sfincione “del lapino”, la ricetta di Giusina in Cucina

La Cucina Italiana

dario palermo

La cucina di casa di Giusina in cucina

Il bello è sperimentare, e con questo libro si può fare, scoprendo anche un altro lato, più intimo, di un personaggio come Giusina, che da quattro anni entra nelle nostre case con il suo programma. «Desideravo molto fare un passo oltre con questo libro, raccontare che io non faccio solo cucina siciliana nella mia vita, e soprattutto che c’è una persona dietro a un personaggio. Ho deciso di mettere su carta la mia quotidianità culinaria con quelle ricette semplici da cui sono partita e che mi hanno consentito di diventare un volto noto, e di essere amata da tanti», racconta l’autrice.

«Ora la gente mi cerca, mi scrive, mi premia, ci sono mamme che mi raccontano di bambini che mi seguono. Per me è una gioia immensa, che mi è capitata per caso perché io ho studiato per seguire un altro percorso. Eppure eccomi qua, estremamente grata», conclude la conduttrice. Intanto è già pronta per la nuova stagione del programma, per lo speciale natalizio, la nuova edizione di Ci vediamo al bar, insieme a Paolo Briguglia, e un tour che toccherà l’Italia intera con le presentazioni del suo libro (a Bologna il 15 ottobre, Verona il 21, Roma il 25, e Taormina il 28). E quando ne parla, nonostante i mille impegni – è anche mamma di due gemelli di 7 anni e contemporaneamente ha un lavoro impegnativo nell’ambito della comunicazione – non le manca il sorriso.

Non siamo gli unici a notarlo. Antonino Cannavacciuolo, chef tre stelle Michelin e altro amato volto televisivo, nonché suo caro amico, lo ha perfino messo per iscritto nella prefazione del libro. «Questa sua gioia incommensurabile mi ha colpito subito, e la cosa più bella è che traspare in lei quando cucina. Percepisco che è innamorata di quello che fa e della sua amata Sicilia». Ed è anche questo – aggiungiamo noi – che ce la fa amare.

La ricetta dello sfincione «del lapino» di Giusina in Cucina

Ingredienti

  • 500 gr di farina 00
  • 500 gr di farina di rimacinato di grano duro
  • 10 g di lievito
  • 750 ml di acqua
  • Un cucchiaio di zucchero
  • 15 g di sale
  • 20 ml di olio evo

Per il condimento

  • 4 cipolle
  • 2 pomodori maturi
  • Olio evo
  • 3 cucchiai di estratto di pomodoro
  • Pangrattato
  • Caciocavallo grattugiato
  • origano

Procedimento

Per il condimento

  1. Tritate finemente la cipolla, quindi mettetela in una tegame con un filo d’olio e tre dita d’acqua e l’estratto di pomodoro.
  2. Fate cuocere per una trentina di minuti. Aggiustare di sale.

Per l’impasto:

  1. Sciogliete il lievito nell’acqua, unite lo zucchero aggiungete a poco a poco la farina. Impastate.
  2. Mettete l’olio e il sale. Dovete ottenere un impasto morbido e appiccicoso. 
  3. Fate lievitare un’oretta, quindi prendete dei pezzi di impasto e stendete a forma ovale su una teglia ben oleata. 
  4. Stendete un po’ del condimento sull’impasto, quindi mettete sopra delle fette di pomodoro e fate lievitare ancora un paio d’ore. 
  5. Infornate cospargendo di pangrattato, origano, olio evo e un po’ di caciocavallo grattugiato. Cuocete a 230 gradi per 10/15 minuti.

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Ci sono ingredienti che non cucina?
«Non cucinerò mai l’insalata, le interiora, i volatili: non ce la faccio. In generale cucino solo ciò che mi piace mangiare, con eccezioni tipo la carne rossa, che ai miei figli piace. Per il resto non mi pongo limiti. Claudio (Santamaria, il marito di Francesca Barra, ndr) mi invita sempre a provare qualche corso di alta cucina, ma non è la mia preferita: io sono per i piatti da trattoria».

Come prende per la gola suo marito?
«Gli piacciono molto i miei dolci, e questo è bizzarro perché io i dolci li mangio solo con la ricotta e prima di incontrarlo non li facevo nemmeno tanto spesso. Poi ama molto i cibi attraenti, tipo la pasta fatta in casa, le paste al forno, o in crosta. A lui lascio carbonara, gricia, amatriciana e tutte le paste tipiche di Roma, la sua città».

Nel libro affronta anche il tema delle pratiche sessuali con il cibo, come lo “sploshing”, che consiste nel ricoprire o ricoprirsi di sostanze appiccicose come cioccolata o panna, citando diversi studi di esperti americani sul tema. Crede sia così diffuso anche in Italia?
«Certo, non è stato inventato nulla di nuovo. Se ne parla poco perché parlare di eros e sesso è sempre un tabù. Anche per questo ho deciso di scattare una foto di copertina liberatoria. Dovremmo imparare a fare i conti con il fatto che non c’è niente di cui vergognarsi, che siamo assolutamente liberi. Nel caso specifico dello sploshing credo che molti abbiano semplicemente paura di raccontarlo, e non lo fanno anche perché in Italia abbiamo un rapporto con il cibo differente: la nostra tradizione ci insegna che il cibo non è un gioco». 

Cosa vorrebbe sapere sul cibo che non sa ancora?
«Non saprei, perché ogni volta che ho una curiosità la soddisfo, motivo per cui io – per quanto riguarda il cibo – spesso organizzo viaggi che partono dall’esperienza gastronomica. Si capisce moltissimo di una cultura attraverso ciò che porta in tavola. Solo una volta ho avuto difficoltà: in Finlandia, a casa di Lapponi che mi hanno offerto uno stufato di renna. L’odore era fortissimo, io poi non mangio carne, ma cosa fai in questi casi?»

Lei cosa ha fatto?
«Ho scambiato il mio piatto con le persone che erano con me e avevano già finito di mangiare, ma ne volevano ancora».

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