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fra immigrazione e tenacia locale

fra immigrazione e tenacia locale

Alla scoperta della floricoltura in Liguria e del perché è stata salvata prima dagli abruzzesi e poi dai migranti oggi

Avete una vaga idea di che mondo immenso si cela dietro a quei carri fioriti che vedete durante il Festival di Sanremo?

L’origine della floricoltura in Liguria

La storia dei primi fiori in Liguria si intreccia con quella degli zar russi che venivano qui a svernare. Le dimore in cui soggiornavano erano spesso ville importanti, con bellissimi giardini molto curati e pieni di fiori; quei fiori che poi volevano riportarsi con sé di ritorno a casa, come ricordo del periodo trascorso in Liguria. Ecco, è così che i liguri hanno iniziato a coltivare e vendere fiori: come botanici e giardinieri di corte. Se poi questo mestiere si è trasformato in un vero e proprio commercio è grazie ad alcune persone che con le proprie vite hanno cambiato il corso della storia (e dell’economia) locale, come ad esempio Gerolamo Ghersi. «Mio nonno», ci racconta sua nipote Mariangela (di cui vi parleremo a proposito della sua azienda), «per anni andava a piedi a Nizza a vendere verdure sui carretti. Poi un giorno decise di provare con i garofani a Genova, ma si disse: se li vendo, bene; altrimenti mi imbarco e me ne vado anche io perché di questa vita non ne posso più! Le cose invece andarono bene, eccome se andarono bene! In un attimo riuscì a vendere tutto a un fiorista (che c’è ancora, Simone di via Venti). Lui era così, era un trafficone, aveva proprio l’anima da venditore, tant’è che fu uno dei primi a commerciare fiori». In pochi anni, la coltivazione e il commercio di fiori non fecero che aumentare, ma se non fosse stato per gli abruzzesi le cose sarebbero andate diversamente.

Perché l’hanno salvata gli abruzzesi prima e i migranti dopo

I primi abruzzesi arrivarono in Liguria già all’inizio del secolo scorso, tra gli anni Venti e Trenta, lavorando soprattutto nella costruzione della linea ferroviaria o nel mondo della ristorazione. La maggior parte veniva da alcuni piccoli comuni in provincia di Pescara, come Montebello o Penne, collegata a Sanremo ancora oggi con un autobus diretto, il lunedì e il giovedì. Poi, negli anni Sessanta, ci fu un grande bisogno di manodopera nel settore della floricoltura che non faceva altro che crescere; così, oltre ad alcuni braccianti provenienti dal Veneto, ci fu la terza ondata migratoria dall’Abruzzo, quella più consistente, destinata a restare e cambiare tutto. «I primi abruzzesi arrivavano qui con il magaglio, quell’attrezzo agricolo per arare e coltivare la terra», continua Mariangela. «Poi hanno imparato a costruire serre e impianti di irrigazione. E alla fine si sono comprati dei terreni e sono rimasti». Pensate che all’inizio degli anni Novanta in provincia di Imperia si contavano più di quindicimila abruzzesi, ormai giunti alla terza generazione, cioè figli e nipoti di quelli stessi che hanno reso possibile l’esistenza della Riviera dei Fiori. Solo alcuni sono ritornati giù e hanno portato la floricoltura anche in Abruzzo, ma la maggior parte sono rimasti in Liguria, a Ponente, in paesi come Coldirodi o Arma di Taggia, dove infatti d’estate non mancano mai le sagre degli arrosticini. «Oggi le cose sono cambiate», racconta Mariangela, «e se non fosse per la manodopera dei migranti non esisterebbe praticamente più l’agricoltura. Inoltre molti, in particolare albanesi, stanno aprendo proprie aziende di piante e fiori, rendendo così possibile continuare questa coltivazione».

La nascita della Cooperativa Floorcoop

Negli anni il settore della floricoltura in Liguria è cresciuto, anche grazie ai collegamenti ferroviari e ai mezzi di trasporto che hanno facilitato la vendita, tant’è che ancora oggi è uno dei settori più consistenti dell’economia locale. Non ci sono dati certi, ma si contano più di 3mila aziende attive solo in provincia di Imperia, poi altre sempre a Ponente, tra Latte e Ceriale. Molte di queste unite nella Cooperativa Floorcoop Sanremo, che se oggi esiste è grazie alla lungimiranza di persone come Mario Cimino o Gianfranco Croese, attuale presidente, che fanno stare in piedi tante piccole realtà, dando la possibilità di lavorare e quindi di restare. «Non avete idea di quanto la floricoltura sia importante per il nostro territorio». Ma non sono mancati i problemi, come l’aumento degli acquisti di fiori esteri; così hanno aperto delle filiali direttamente nelle regioni dove stava calando l’acquisto, quali Veneto e Lombardia. Infatti, se per anni i fiori più venduti sono stati garofani e rose, poi le cose sono cambiate a causa dei mutamenti del mercato, in primis la globalizzazione. La prima vittima è stata la rosa, che hanno iniziato a comprare quasi solo dall’estero, principalmente per due motivi: prezzi decisamente competitivi rispetto alle rose locali e disponibilità tutto l’anno (essendo coltivata in serra). Così nel tempo la maggior parte dei rosicoltori sono diventati ranunculai, cioè produttori di ranuncoli, oggi i fiori per eccellenza (insieme agli anemoni) presenti dal periodo invernale fino a maggio, «di solito fino alla festa della mamma», aggiunge Mariangela, «anche perché in Liguria si continua a prediligere una coltivazione stagionale in pieno campo». In primavera, ad esempio, è tempo di ortensie e peonie, d’estate di girasoli e così via. Insomma, anche la stagionalità dei fiori è importante: «Dovrebbero essere i fioristi i primi a utilizzare solo quelli stagionali quando preparano un bouquet». E non da meno dobbiamo considerare questo aspetto quando i fiori finiscono in tavola. Ormai, viste le ultime mode, sempre più spesso.

I fiori eduli in cucina

Si è appena concluso (ma è già ripartito con il nome di Biofiori) un progetto molto interessante di cooperazione franco-italiana, Antea, coordinato da Barbara Ruffoni, per riorganizzare la filiera emergente dei fiori eduli sulla costa da Genova a Nizza. Mai nessuno prima, infatti, era riuscito nell’impresa di identificare e classificare tutte queste varietà, con le proprietà e gli utilizzi in cucina. Non solo, dunque, per il valore decorativo, ma anche per le importanti caratteristiche alimurgiche e nutrizionali che hanno alcuni fiori, come ad esempio le viole, che non hanno molto sapore, ma sono piene di antociani, oltre che essere belle da vedere e presenti tutto l’anno. Ma anche i petali di calendula e di rosa, le primule di Albenga, o i fiori di zucchina trombetta, di borragine e, ancora, la salvia messicana che «qui cresce benissimo», ci racconta Barbara. Inoltre è in corso un progetto interessante di recupero sulla Lavanda Riviera dei Fiori, che sta già utilizzando con successo in ambito alimentare con tagliatelle, biscotti, miele. Insomma, ce ne sarebbe da dire, ma per fortuna da tutto questo lavoro ne è uscito un libro che potete consultare online: I fiori, dalla terra al piatto con 59 ricette di cucina francese e italiana tutte a base di fiori (coltivati sulla riviera fra Italia e Francia): burro ai fiori di begonia, fiori di nasturzio fritti, pesto di fiori di tubalghia e aglio orsino e così via con tantissimi altri piatti interessanti e ben studiati. Inoltre, sono presenti anche informazioni sull’origine, l’uso storico e il gusto delle 40 specie classificate dal progetto Antea, nonché un calendario di fioritura e alcuni suggerimenti per la coltivazione. Ma in realtà, quando si parla di floricoltura in Liguria, ormai di non solo fiori si tratta.

L’azienda di Mariangela e il mondo delle fronde recise

Quella di Mariangela è una storia tutta personale. La sua azienda, infatti, si intreccia con le vicende della vita, per cui decide di fare quello che le avrebbe permesso di passare più tempo con suo figlio Alessandro. Come anticipato, se suo nonno fu uno dei primi a commerciare fiori, sua mamma Carlotta, una di sette figli, non fu da meno: «Coltivava margherite, non so quante ne ho pulite da piccola, però alla fine con le margherite ci ha tirato su cinque figli!». Di questi cinque, Mariangela è l’unica che ha continuato a lavorare in campagna. Ha iniziato prima con le rose, poi ha cercato qualcosa che le permettesse di sfruttare al meglio i pochi terreni che aveva e insieme di stare più a casa: “Sai i fiori richiedono attenzioni continue, non puoi lasciarli lì». La risposta la trova nel mercato delle fronde recise, cioè di tutte le parti verdi che trovate dai bouquets ai matrimoni, come ad esempio edera, ederina, gelsomino (il preferito dalle spose), asparagus medeola (quella che vedete al concerto di Vienna). «E alla fine degli anni Novanta, insieme alla nascita della mia azienda, sono rinata anche io ed è iniziata la mia seconda vita». Solo che le fronde rendono molto meno dei fiori, per cui Mariangela cerca di rendere al massimo ogni superficie, persino i muri! Insomma, la sua piccola azienda Mariangela se l’è messa su da sola e continua ancora oggi a costruirsela, pezzo per pezzo, affittando o acquistando ogni anno un piccolo appezzamento di terreno, di cui la maggior parte sopra Arma di Taggia, sulla collina dove lavorava anche suo nonno Gerolamo; proprio lì, sopra alla casa dov’è cresciuta. Su quel golfo di mar Mediterraneo che anche d’inverno continua a rilasciare il calore di cui quelle piante e quei fiori hanno bisogno, sempre.

Come fare il lievito madre

Come fare il lievito madre

Abbiamo già parlato della differenza tra lievito di birra e lievito madre o pasta madre.
In sintesi, il lievito madre è un semplice impasto di farina e acqua acidificato dalla proliferazione di lieviti e batteri lattici in grado di provvedere alla naturale fermentazione del composto.
È più digeribile del lievito di birra, garantisce una migliore lievitazione e si conserva più a lungo perché può contare sul processo di fermentazione innescato da diverse specie di batteri.

La ricetta del lievito madre

Il lievito madre si può preparare in casa con due soli ingredienti e molta pazienza.
Per preparare la pasta madre avete bisogno di 200 g di farina di tipo 0,  100 ml di acqua tiepida, un cucchiaio di malto (o miele, o zucchero)
Mettete la farina in un recipiente aggiungendo l’acqua un po’ per volta fino e lavorate fino ad ottenere un impasto molto morbido. Mettete l’impasto in un barattolo di vetro leggermente infarinato.
Incidete la superficie dell’impasto con un taglio a croce e coprite il contenitore con un panno umido e della pellicola trasparente. L’impasto va lasciato riposare per 48 ore a circa  25°, meglio se vicino ad un cesto di frutta matura.
Dopo 48 ore l’impasto inizierà a gonfiarsi formando dei grandi alveoli. Prendetene circa 100 g e aggiungete altri 100g di farina e 100 ml d’acqua (rapporto 1:1:1) e lasciate riposare per altri 2 giorni.  Continuate questa procedura, che si chiama di rinfresco, ogni giorno. Dopo tre, quattro giorni potrete già panificare.
Se vi accorgete che il lievito è ancora “debole”, sentitevi liberi di aggiungere una piccola parte di lievito di birra per aumentare la lievitazione. Ma dopo qualche rinfresco vedrete che la madre inizierà a fare benissimo il suo lavoro.

Attenzione alle muffe

Partire con una preparazione di solo acqua e farina non è così semplice, basta una variazione di temperatura nella stanza e c’è il rischio di formazione di muffe. La fermentazione in questo caso non è andata a buon fine, l’ambiente rimane troppo poco acido e questo crea l’habitat per le muffe. Se vedete muffa buttate tutto e ricominciate.
Per facilitarvi il lavoro provate a preparare la madre con lo yogurti oppure partendo dalla frutta.

Quanta usarne per fare il pane e altri lievitati

Per preparare pane, pizza e altri lievitati, rispettate queste proporzioni: 50 g di pasta madre, 500 g di farina, più l’acqua in base alla ricetta. L’idratazione può partire dal 50% (quindi 250 g su 500 g di farina) fino a idratazioni al 100%100 (come per esempio quella della focaccia romana). Più acqua metterete, più sarà difficile da lavorare a mano e dovrete utilizzare una planetaria

 

I rinfreschi: cosa sono e come si fanno

Rinfrescare il lievito madre vuol dire fornire nuovi zuccheri semplici e complessi che servono a nutrire i lieviti favorendo così il processo di lievitazione.
Come si procede al rinfresco? Basta aggiungere un peso di farina pari a quello dell’impasto che rinfreschiamo e la metà o lo stesso peso di acqua. Una volta impastato tutto si lascia riposare per 4 ore all’interno di un vasetto alto e stretto con il coperchio.
Quando il volume sarà raddoppiato il lievito sarà pronto per l’utilizzo.
Ogni volta che rinfrescate il vostro lievito, dovete pulire il vasetto dai residui precedenti con sola acqua calda, mai con il sapone. Se utilizzate una sola parte della pasta per il rinfresco, il resto potete usarlo per preparazioni che non necessitano di un lievito così “forte”. Qualche esempio? Pancake, grissini, creckers, frittelline fritte.

Lievito madre: come si conserva a temperatura ambiente

Il lievito madre una volta attivo si conserva in un barattolo di vetro chiuso con un coperchio o una pellicola.
Può restare a temperatura ambiente se si decide di utilizzarlo ogni giorno e in questo caso va rinfrescato 1 volta al giorno.

Lievito madre: come si conserva in frigorifero

Il lievito madre può restare anche in frigorifero se si decide di rinfrescarlo 1 o 2 volte a settimana non utilizzandolo ogni giorno.
In ogni caso deve essere rinfrescato almeno una volta a settimana altrimenti muore.
Per fare il rinfresco da frigorifero bisogna prima di tutto tirare fuori il lievito madre dal frigorifero. Aspettare almeno un paio d’ore che si risvegli. A questo punto procedete con il solito rinfresco e aspettate ancora 4 ore prima di panificare.

Lievito madre: quanto ci impiega a lievitare?

Ovvio che ogni ricetta di panificazione ha i suoi tempo, ma di fatto la lievitazione degli impasti con il lievito naturale è molto lunga e può andare dalle 12 alle 24 ore.
Un consiglio che possiamo darvi è di fare una parte di lievitazione in frigorifero. Per esempio: alle h 14. procedente con il rinfresco, aspettate 4 ore che il lievito si attivi e poi procedente con il primo impasto. Fate riposare mezz’ora, fate le pieghe e rifate questa operazione tre volte (mezz’ora di riposo, pieghe, mezz’ora di riposo, pieghe). A questo punto coprite l’impasto e mettetelo a riposare in frigorifero per 12 ore. Il giorno dopo tirate fuori dal frigo, lasciate riposare a temperatura ambiente per un paio d’ore e poi infornate.

Lasagne al forno: 5 varianti (che dovete assolutamente provare)

Lasagne al forno: 5 varianti (che dovete assolutamente provare)

Le lasagne al forno sono uno fra i piatti più cucinati di tutti i tempi, un cult della tradizione, la cui ricetta viene tramandata di madre in figlia. Questo accade perché le lasagne al forno non sono semplicemente un piatto: sono il comfort food per eccellenza, il motivo per ritrovarsi tutti insieme a tavola. La versione tradizionale prevede il ripieno fatto con il ragù di carne, ma per un tocco più, provate a sbizzarrirvi con formaggi e verdure di stagione, come la zucca e i carciofi. 

Radicchio e scamorza affumicata

Prendete un cespo di radicchio, pulitelo e tagliatelo a striscioline. In una padella fate rosolare uno spicchio di aglio in poco olio e unite poi il radicchio tagliato. Fate appassire qualche minuto e poi mettete da parte. Preparate una besciamella con 1 litro di latte, un cucchiaio e mezzo di farina e 50 grammi di burro. Stemperate la farina con il burro e poi, sempre mescolando, aggiungete il latte, il sale e un poco di noce moscata. Lasciate che la crema si addensi, poi imburrate una teglia e iniziate a comporre le lasagne, alternando fogli di pasta, la besciamella, il radicchio e la scamorza affumicata tagliata a cubetti. Finite con un foglio di pasta ricoperto da parmigiano grattugiato. Infornate la teglia a 180° e lasciate cuocere per 20-25 minuti, sino a che vedrete formarsi una crosticina sulla superficie.

Zucca e porcini

Per preparare questa farcia fate cuocere la zucca decorticata e tagliata a pezzetti in una pentola con poco olio e uno spicchio di aglio. Quando l’aglio sarà dorato, aggiungete poca acqua e lasciate cuocere per circa 20 minuti, aggiungendo acqua se necessario. Quando la zucca sarà cotta, passatela al mixer per ottenere una crema omogenea e aggiungete poca besciamella, in modo che il composto sia più morbido. A parte pulite i funghi e affettateli. Metteteli in una padella con olio e aglio e lasciate che cuociano per una decina di minuti. Salateli. Imburrate nel frattempo una teglia e stendete i fogli di pasta, alternandoli alla crema di zucca e ai funghi. Terminate con la pasta e una spolverata di parmigiano grattuggiato. Infornate a 180° per 25 minuti e poi servite.

Carciofi e brie

Un abbinamento perfetto, questo con i carciofi e il formaggio brie. Per preparare le lasagne, pulite i carciofi e lasciateli in una bacinella con acqua e limone sino a che non li cucinerete. Una volta tagliati tutti, fateli stufare per qualche minuto in una padella con olio e uno spicchio di aglio. Lasciateli cuocere sino a che diventeranno morbidi. Salateli e uniteli a fettine di brie. Aggiungete a questo composto la besciamella e poi componete tutto alternando i fogli di pasta, la crema di carciofi e brie, finendo con uno strato di besciamella e una spolverata di parmigiano. Infornate a 180° e fate cuocere per 30 minuti.

Pesto di pistacchi e menta

Per questa versione delle lasagne al forno potete scegliere il pesto comune, fatto di basilico e pinoli, o la versione fatta con pistacchi (non salati e non tostati), pinoli e menta fresca. Il piatto avrà un che di più fresco e più insolito. Per prepararlo sminuzzate in un mortaio i pistacchi con i pinoli. Aggiungete poi la menta fresca, il parmigiano grattugiato e l’olio. Sminuzzate tutto. Mescolate bene, per evitare che si formino grumi, aggiustate di sale e poi componete le lasagne, alternando i fogli di pasta con il pesto. Se il composto fosse troppo denso, allungatelo con poca acqua tiepida. Se vi piace, potete unire al pesto della mozzarella fiordilatte tagliata a fettine sottili. Finite con la pasta e una spolverata di parmigiano grattugiato e infornate a 180° per 25 minuti.

Porri, salmone affumicato e camembert

Per questa versione di pasta al forno lavate i porri, togliete le guaine più esterne e tagliate via la parte più verde. Fateli a rondelle e poi lasciateli appassire in una padella con olio extravergine di oliva. Una volta pronti, salateli e unite ai porri il salmone affumicato tagliato a striscioline. Iniziate a comporre le lasagne: imburrate una teglia e disponete un primo strato di pasta. Unite i porri e il salmone e completate con il camembert tagliato a fettine. Alternate così pasta e ripieno sino alla fine. Infornate a 180° per 25 minuti e poi servite.

Ricerche frequenti:

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