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Rito di casa e nuove visioni di alta cucina: la pasta resta una magia

Rito di casa e nuove visioni di alta cucina: la pasta resta una magia

«La vita è una combinazione di pasta e magia». Lo diceva Federico Fellini, amante della buone tavolate e meno del fine dining. Fu lui il regista del celebre spot per Barilla intitolato Alta Società e prodotto nel 1985, che vede protagonista una coppia d’amanti a cena in un lussuoso ristorante. Al momento delle ordinazioni al loro tavolo si avvicinano alcuni camerieri e il maître inizia a consigliare raffinati piatti della cucina francese. Durante la lettura del menù i due sembrano più interessati a scambiarsi sguardi ammiccanti quando improvvisamente la donna ordina: «Rigatoni», fra la sorpresa generale di tutti i presenti. Provocazione pura, al tempo in cui la contrapposizione tra Nouvelle Cuisine e Tradizione era al massimo. E Fellini, genialmente, si divertì nello schierarsi sul primo fronte, ma considerando il committente dello spot – Barilla, simbolo stesso del prodotto popolare – finiva per stimolare il bisogno di nuove idee sulla pasta nei locali di classe. Tanti non si ricordano, ma sino agli inizi del 2000, nell’alta cucina la pasta secca era impensabile, soppiantata da quella fresca. Insostenibile, poi, il confronto inconscio tra una pasta preparata da uno chef pure famoso e «quella che fa mamma» (o faceva la nonna, la zia, la cuoca di casa). 

Pasta vuol dire casa

A un italiano “di serie”, l’associazione tra pasta e magia piace tantissimo (che sia la combinazione della vita è meno dimostrabile) perché – scopriamo l’acqua che bolle – è famiglia e amicizia, condivisione e piacere solitario, quotidianità ed eccezione, esaltazione e consolazione, sotto il sole e a notte fonda. Potremmo andare avanti per molte righe, che confermerebbero il dogma eterno, quasi religioso: pasta vuol dire casa. Non è più così, per noi fortunatamente. Senza volerlo distruggere, e ci mancherebbe, il totem è stato messo in discussione. È stata una rivoluzione di nicchia che ha arricchito la nostra cucina, lo ripetiamo, senza togliere il piacere dei “due spaghi” dopo la partita di calcetto o in famiglia. Ma ha tolto (era ora) pregiudizi clamorosi. 

Un tema da congresso

Come la cottura obbligatoria al dente: diversi gradi di cottura hanno una loro dignità e la pasta surcotta (non scotta, si badi bene, che indica invece un errore del cuoco) può prestarsi ad altri utilizzi. O la preparazione risottata che sta regalando delle ricette clamorose nei ristoranti. O, ancora, l’aspetto più importante: la possibilità di non considerarla solo prima piatto. È giusto rendere giustizia alla pasta, come alimento ed elemento complesso. Come materia le cui potenzialità e sfaccettature presentano ancora ampi margini di esplorazione. Va benissimo che sia non una base su cui mettere un sugo, una salsa, una preparazione di altri condimenti, ma è anche materia prima da riconsiderare. In questo senso, va reso merito che Identità Golose, il convegno italiano per eccellenza, ha affrontato il tema sin dai primi anni, creando un contenitore quale Identità di Pasta, giunto alla tredicesima edizione, dove sono sfilati (e sfilano) tutti i migliori cuochi italiani. E non solo loro.

In giro per il mondo

Identità di Pasta 2022, in effetti, si è spinta oltre lanciando un bel tema: E se la pasta che cucinano gli altri fosse buona? Ed ecco la Fideua con gli spaghettini spezzati di Matias Perdomo e Arianna Consiglio, le Fettucine Alfredo con la pera di Michele Casadei Massari che lavora a New York, gli Spätzle alla valtellinese di Pietro Leemann e Sauro Ricci, i Lamian all’astice di Gong che è il più raffinato locale di cucina orientale a Milano. È giusta la considerazione di Riccardo Felicetti, AD del Pastificio Felicetti che sponsorizza l’evento nonché presidente dei pastai italiani. «È vero, siamo i maggiori produttori di pasta secca al mondo; la cottura italiana, il concetto di “al dente” si divulgano per il mondo e i nostri formati sono presenti in tutte le cucine e in tutti gli scaffali del pianeta. Però non ci possiamo permettere l’arroganza di affermare che la nostra via di mangiare il risultato dell’impasto di grano e acqua sia l’unico accettabile per diritto divino», sottolinea l’imprenditore trentino.

Camanini e Bottura

Tornando in patria, ci piace la fantasia al potere. Quella di Riccardo Camanini che ha ragionato se bisogna evolvere o involvere la pasta. «Non sappiamo se sarà un cambiamento positivo o negativo, ma si può lavorare per cercare un nuovo gusto e collocarla in modo nuovo nel piatto». Lo ha fatto riprendendo un progetto iniziato nel 2018 chiamato 84 ore di pasta che ha portato a creare una pasta alla mostarda. Ne sono nate quattro “idee gastronomiche” dove la pasta si fa contorno, attrice non protagonista, ma necessaria nello svolgimento della trama. Si può andare oltre. Sì, il piatto simbolo del congresso è stato Immagine e somiglianza di Massimo Bottura, che evoca qualcosa di noto, di italiano, ma in realtà è solo un “quasi” spaghetto al pomodoro che diventa dessert, unendo elementi italianissimi e contrastanti: pasta di mandorle, peperoni, amarene. capperi siciliani… «Sono andato contro le barriere, ho raccontato il nostro Paese anche attraverso una riflessione sulla pasta», dice lo chef modenese. Del resto, il genio assoluto Ferran Adrià ebbe a dire che lo spaghetto al pomodoro – nel caso specifico quello di Elio Sironi quando cucinava al Bulgari – era un frammento di cultura italiana. Quindi se non discutiamo noi la pasta, non può farlo nessun altro.

Guida Michelin 2022: le nuove stelle del Sud

La Guida Michelin 2022 ha annunciato le nuove stelle e il Sud Italia ne esce vincente. Tante novità, tra cui anche l’unica donna – e pure giovanissima

La Guida Michelin 2022 ha annunciato le sue nuove stelle. Tra le novità della “Rossa” 2022, il sud Italia oggi brilla più che mai. Dalla Campania alla Calabria, ecco chi sono gli chef meridionali che hanno conquistato uno spazio nell’Olimpo dell’alta ristorazione. 

Che bell’aria fresca

Dopo appena 6 mesi dall’apertura, Aria Restaurant a Napoli ha ottenuto la sua prima Stella Michelin con lo chef Paolo Barrale: «Un riconoscimento simile è fonte di gioia immensa ma rappresenta al contempo un guanto di sfida: dobbiamo dare sempre il massimo per fare la differenza. Un po’ come succede con i figli: c’è la precisa responsabilità di seguirli in tutto e farli crescere in maniera sana e diligente», ha commentato il giovane chef siciliano. Il progetto Aria, firmato dal Gruppo JCo, è un traguardo che Barrale condivide con tutta la sua squadra, dalla brigata ai collaboratori in sala (e in famiglia): «Da Mario Stellato, il mio sous chef, a Giacomo che mi ha fatto conoscere la splendida famiglia che è il J co Group, a Ilaria e Maurizio, a Letizia, Danilo, Angelo, Mario R., Luigi e Gianluigi. Un grazie a Serena De Vita, la nostra restaurant manager, a Mattia, Marcello, Chiara, Andrea, Mirko e Camilla. Infine, un grazie ai miei amici e clienti di sempre ma soprattutto voglio dire grazie a Marina, la mia unica e insostituibile compagna di vita». 

E c’è chi raddoppia

Si resta sempre in Campania, questa volta con il ristorante Krèsios di Telese Terme, nel beneventano, che conquista la sua seconda stella Michelin. Dopo la prima ottenuta nel 2013, sempre riconfermata, lo chef e patron Giuseppe Iannotti raddoppia e consolida il Krèsios tra le realtà gastronomiche più interessanti del momento. «Sono felice anche per i miei ragazzi, che ho lasciato giù e che non sapevano nulla. Forse questa è stata la cosa più dura per me: guardarli negli occhi e non poter condividere tutto questo», ha commentato lo chef. E ha aggiunto: «Non ci siamo mai fermati, nemmeno nei momenti più difficili, non ci siamo mai spaventati. Piuttosto abbiamo proseguito a testa bassa, con coscienza di avere delle responsabilità e abbiamo continuato a fare quello che sappiamo, a creare nuove strade e a inventare soluzioni. È questa la forza del Krèsios: intraprendere percorsi inesplorati e creare nuove vie, quando quelle conosciute e confortanti si sono chiuse. È la forza di un gruppo che per me è la mia famiglia. Abbiamo sdoganato un metodo: finalmente in Italia si può fare un solo percorso di degustazione, il nostro è al buio». 

Il colpo di scena

A sorpresa la doppia stella arriva senza passare dal via (ovvero senza nessuna menzione) anche per Giovanni Solofra del ristorante Tre Olivi di Paestum (SA) che con le lacrime agli occhi la prima persona che ha ringraziato è Roberta, sua moglie. Premiato per l’interpretazione gastronomica sensoriale e territoriale, per le sue proposte iene di sorprese, dalla tecnica fine e dalla minuzia e precisione degli accostamenti, spesso intriganti.

Calabria mia

Scendendo più a sud, il riconoscimento della prestigiosa guida va anche ad Antonio Biafora per il suo Hyle, a San Giovanni in Fiore (CS) che conquista la sua prima stella. E pensare che il giovane chef, ha cominciato la sua avventura prima nella cucina del ristorante di famiglia, «dove effettuai il primo servizio durante una festa di laurea, e il secondo in quel di Caserta, presso le cucine del Grand Hotel Vanvitelli. Appena arrivai lì chiesi di iniziare subito, davanti avevo: prezzemolo, patate e pomodori». Quando la qualità si riconosce dagli ingredienti base e dalla maestria con cui saperli unire armonicamente, il resto è solo questione di tempo. 

Fresco di stella anche Luigi Lepore del ristorante omonimo di Lamezia Terme (CZ) che, dopo le importanti esperienze al Trussardi alla Scala di Milano, al Caino in Toscana, a Il Comandante a Napoli, tra le altre, nel 2019 ha cominciato a scrivere di suo pugno un nuovo e, per farlo, ha scelto casa, la sua Calabria. Ma con un format innovativo, dagli ampi orizzonti e, al tempo stesso, con le radici ben salde nelle culture materiali che caratterizzano l’identità del territorio. Nonostante la “pausa” del 2020, è oggi a festeggiare la sua “incoronazione”.

Tutte le nuove stelle Michelin 2022 nel Sud Italia

Luigi Lepore – Luigi Lepore Ristorante

Hyle – Antonio Antonio Biafora

Aria – Paolo Barrale

Giuseppe Molaro – Contaminazioni Restaurant

Savio Perna – Li Galli

Francesco Franzese – Rear Restaurant

Nicola Somma – Cannavacciuolo Countryside

Fabio Verrelli D’Amico – Marter1aPr1ma

Alessandro Bellingeri – Osteria Acquarol

Stephan Zippl – 1908

Graziano Cacciappoli – San Giorgio

Jorg Giubbani – Orto by Jorg Giubbani

Sergeev Nikita – L’Arcade

Richard Abouzaki e Pierpaolo Ferracuti – Retroscena

Emanuele Petrosino – Bianca sul Lago

Fabrizio Molteni – La Speranzina Restaurant&Relais

Alex e Vittorio Manzoni – Osteria degli Assonica

Salvatore Camedda – Somu

Claudio Sadler – Gusto by Sadler

* Premio Giovane dell’anno a Solaika Marrocco del Primo, di Lecce

Congratulazioni!

Foto in apertura Krèsios (ph Marco Varoli)

Le nuove migliori pizzerie di Roma

Le nuove migliori pizzerie di Roma

Dalla bassa e croccante alla degustazione in tranci, gli indirizzi più buoni della capitale. Suddivisi per tipologia di pizza per accontentare tutti i gusti

Per anni a Roma si è consumata la diatriba fra estimatori della pizza cosiddetta romana e amanti della versione napoletana. I primi accusati dai secondi di adorare una specie di cracker; gli ultimi di mangiare una pizza mai abbastanza cotta. Ma, si sa, la virtù sta nel mezzo e così si è felicemente inserita sul ring – mettendo d’accordo tutti – la new wave della “pizza romana cresciuta”, con i fautori delle lunghe lievitazioni e della ricerca del “giusto mezzo”. Fra i contendenti si sono poi aggiunti i rappresentanti della versione gourmet, dove l’attenzione agli impasti c’è sempre, ma a regnare è il principio della degustazione in tranci, per assaggiare più varianti.

Romana Classica e Pinsa

Il primo, anzi la prima, a rivoluzionare il concetto di pizza romana è stata Emma, portando una ventata di freschezza al genere. Poi si è cominciato a discutere di lievitazioni, mattarello sì/mattarello no, bordo più o meno marcato, arrivando anche a un decalogo della pizza romana. Alla fine i cultori della materia che sono emersi da questa diatriba sono Mirko Rizzo, Jacopo Mercuro e Sami El Sabawi. Il primo lo trovate d’estate al parco Appio con la sua pizzeria Elementare all’aperto e tutto l’anno nell’omonima pizzeria a un passo da piazza Trilussa. Secondo e terzo sono a Tor Pignattara, periferia multietnica dove si sta compiendo una mezza rivoluzione gastronomica. Con il suo 180g Jacopo Mercuro registra il sold out permanente, grazie a una pizza romana da competizione e fritti golosissimi, tanto che è uno che in tempi di Covid ha perfino raddoppiato: il vecchio locale è diventato base di partenza per l’asporto e la nuova sede è la moderna casa-base delle sue creazioni. Sami lo trovate invece da A Rota, espressione tipica romanesca per dire che la sua pizza dà dipendenza. In effetti l’impasto convince e le pizze ripiene, come si dice sempre a Roma, “spaccano”. Si aggiunge all’elenco anche Pier Daniele Seu, nella sua versione “Tac! Thin&Crunchy”, portata in spiaggia a Ostia per l’estate, ma torniamo a parlare di lui nella sezione gourmet.

Napoletana

Dalla fine del 2016 Roma è diventata terra di conquista per i napoletani più famosi. Il primo ad aprire con il suo marchio storico è il mitologico Michele, con la famiglia Condurro che ha aperto prima una succursale del locale di Forcella a Roma, accanto al museo Explora dedicato ai più piccoli, poi una in zona Eur. Lo ha seguito un altro fuoriclasse della napoletanità: Gino Sorbillo, che ha aperto prima a piazza Augusto Imperatore e poi la sua versione Gourmand alla Rinascente di via del Tritone. Versione Gourmet anche per Salvatore Di Matteo, che ha invece scelto una traversa a un passo dal Palazzaccio per portare la sua pizza e i suoi strepitosi fritti. E, restando in tema di fritti, l’ultimo napoletano ad affrontare il mercato capitolino è stato La Masardona, famoso per le sue pizze fritte, che ha ugualmente scelto un posto super centrale.
Fuori dalle logiche dei blasonati napoletani, si sono fatti apprezzare con la loro versione partenopea di pizza anche Angelo Pezzella, che ha un locale un po’ fuori, a due passi da Capannelle, e in zona Furio Camillo ci sono invece I Quintili, di Marco Quintili, che si è fatto apprezzare oltre che per l’ottima pizza anche per delle monumentali frittatine napoletane.

Impasto romano moderno

Sono due gli antesignani della new wave della pizza a Roma: Stefano Callegari e Giancarlo Casa. Il primo è il papà dei trapizzini, capace di trovare nelle sue pizzerie il “giusto mezzo”. Primo fra tutti, Sforno, in zona Cinecittà, oggetto di una recente ristrutturazione e riapertura, poi sono seguite nel tempo le aperture di Tonda, in zona Montesacro, e di Sbanco, vicino San Giovanni. Fra le particolarità, la sua speciale ricetta per la pizza cacio e pepe, con quel tocco di genio che gli ha fatto mettere il ghiaccio sulla base per evitare che il pecorino fondesse. Patron di La Gatta Mangiona, Giancarlo Casa è capace di portare fino a Monteverde gli abitanti di tutta Roma. Da un lato impasti dalla digeribilità assicurata, che nel tempo si sono avvicinati sempre di più al concetto di napoletana (cottura breve e consistenza soffice), dall’altro abbinamenti felici con pizze che rasentano il genere gourmet. Entrambi, sia Callegari sia Casa, oltre a essere fautori della buona pizza, sono anche maestri del supplì, quindi come tradizione vuole a Roma, prima di ordinare la pizza non potete non concedervi un supplì. Ai due mostri sacri, nel tempo si sono aggiunti – superando addirittura i maestri? – allievi come Pier Daniele Seu, con il suo Seu Pizza Illuminati (ma lo trovate anche nel riaperto Mercato Centrale, con una carta più snella). Romano di Ostia, Seu lo troviamo fra Trastevere e Portuense e anche da lui la prenotazione è d’obbligo. Grande lo studio sugli impasti, ottima la selezione delle materie prime e la capacità di combinarle fra loro e geniale la sezione delle pizze dolci.

Pizza gourmet

Come si diceva, è necessario introdurre una nuova categoria, dedicata a chi propone pizze che sono più che altro degustazioni. Vere e proprie basi neutre per appoggiare abbinamenti arditi e prodotti dal valore inestimabile per la loro bontà. Il maestro e antesignano del genere è senza dubbio Edoardo Papa, patron della pizzeria In Fucina, in zona Monteverde. La ricerca degli ingredienti più pregiati è il suo cavallo di battaglia, per una pizza da mangiare rigorosamente a spicchi, in degustazione con gli altri commensali, per assaggiarne più versioni. Unica pecca, i prezzi non proprio popolari, che portano questa pizzeria a qualificarsi piuttosto nella fascia dei ristoranti gourmet. Regno dei fratelli Alessio e Fabio Mattaccini, Spiazzo, in zona Marconi-Ostiense è la pizzeria giusta per divertirsi con le degustazioni. Qui il gioco si fa duro perché comporta non solo assaggiare le varie proposte in termini di topping, ma soprattutto quattro tipi di impasti differenti: classiche, classiche integrali, nel ruoto e spiazzanti. Vengono servite direttamente a spicchi, con un chiaro invito alla condivisione.

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