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«La cucina italiana tra sostenibilità e diversità bioculturale» Patrimonio Unesco: parte la raccolta firme

La Cucina Italiana

Tra loro ora Jimmy Ghione, storico inviato di Striscia la Notizia, amato dal grande pubblico anche per l’impegno dimostrato negli anni per la tutela e la valorizzazione della cucina italiana e dei suoi prodotti. Ha raccontato l’importanza della raccolta firme per il sostegno della candidatura della cucina italiana durante la puntata dell’amato programma di Antonio Ricci andata in onda il 27 gennaio. Lo ha fatto in un modo simbolico, accompagnato dal presidente Pecoraro Scanio e Enrico Derflingher, presidente dell’associazione Euro-Toques Italia ed International, e per anni cuoco personale della regina Elisabetta II. Insieme hanno preparato un risotto con tartufo nero: un piatto che racconta la cucina del grande chef e un esempio dell’armonia dei prodotti italiani, Dop e Igp, che caratterizzano con i loro profumi e i loro sapori ciascun territorio del nostro Paese.

L’unicità della candidatura della cucina italiana

«La candidatura della cucina italiana italiana a patrimonio Unesco è anche questo: una campagna per valorizzare i prodotti e le tradizioni dei singoli territori. Perché la sua unicità sta anche in questo: nel fatto che è diversa da paese a paese, da provincia a provincia», racconta Alfonso Pecoraro Scanio, annunciando che ci saranno ancora altri esempi che racconteranno questa diversità, e biodiversità. «Sarà la pasta il prossimo filo conduttore: è la più identificativa della nostra cucina nell’immaginario comune e tra gli ingredienti che meglio si prestano a fare da trait d’union ai nostri prodotti, a rappresentarli e quindi a condividerli».

Una candidatura inclusiva

Condivisione, del resto, è la parola chiave alla base di ogni candidatura, fatta per promuovere un’arte, una tradizione, una cultura, perché venga conosciuta, apprezzata, e ancora una volta condivisa. «Le candidature Unesco sono esattamente l’opposto di una rivendicazione protezionistica. Se abbiamo candidato la pizza o il canto lirico non era per tenerceli stretti, per rivendicarne l’italianità, ma perché sono cose belle con una valore globale», spiega Alfonso Pecoraro Scanio. «Lo stesso è per la candidatura della cucina italiana, che vorremmo fosse valorizzata anche dall’Unesco per la sua sostenibiltà e biodiversità, per essere la base di una dieta – quella mediterranea – assurta a modello alimentare in tutto il mondo», dice ancora il presidente Univerde. E prosegue: «Per questo è importante firmare: questa candidatura riguarda tutti, è un percorso inclusivo, e io spero che coinvolga le persone proprio come è stato per la pizza».

Cosa succederebbe se la cucina italiana diventasse patrimonio dell’Umanità

Del resto, se effettivamente l’Unesco dovesse accettare la nostra proposta, ne guadagneremmo tutti, proprio come è già successo per la pizza. «In seguito all’ingresso dell’arte dei pizzaiolo napoletani tra i patrimoni si sono moltiplicate nel mondo le richieste di pizzaioli di scuola napoletana: non napoletani di origine, ma persone che nel mondo hanno imparato a fare la pizza seguendo le regole e le tradizioni dell’arte napoletana. Questo varrebbe anche per la cucina italiana: si tratterebbe di diffondere conoscenza, non mettere un recinto. Condividere un patrimonio». Un patrimonio di storia, storie, saperi, tradizioni, che coinvolge ciascuno di noi.
Per firmare cliccate su www.change.org.

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In occasione della 18esima edizione di Identità Golose, di cui siamo media partner, abbiamo avuto la possibilità di parlare del nostro progetto di candidatura della cucina di casa italiana come Patrimonio Immateriale dell’Umanità all’Unesco. A dar voce al disegno lanciato ormai due anni fa, il nostro Direttore Maddalena Fossati Dondero, qui intervistata da Tgcom24.

Siete qui oggi per raccontare un progetto che va avanti da tempo e si propone di candidare la cucina italiana come patrimonio immateriale all’Unesco. A che punto è il progetto?

MFD: «Stiamo lavorando da due anni alla candidatura della cucina italiana all’Unesco. Sono sempre in difficoltà a dire la cucina italiana perché rappresento La Cucina Italiana! Siamo abbastanza avanti, il Ministero della Cultura sta esaminando il nostro dossier, abbiamo diversi sostenitori tra cui Casa Artusi, l’Accademia Italiana di Cucina, … Speriamo di arrivare presto a mandare questa candidatura a Parigi dove si deciderà effettivamente se diventerà o meno Patrimonio Unesco.»

Il tema al centro di questa edizione di Identità Golose è la rivoluzione. In che modo secondo Lei si può affrontare la rivoluzione che a causa del contesto internazionale, di quello che è successo negli ultimi anni, ha travolto il mondo dell’alta cucina?

«Ci sono diverse rivoluzioni. A mio avviso, la rivoluzione principale è quella sulla nostra identità, ovvero abbracciare definitivamente quello che siamo. Italiane e italiani, quindi, una volta per tutte emanciparci per esempio dalla cucina francese – non per mancanza di rispetto, ma per acquisizione di chi siamo davvero. La candidatura all’Unesco è parte di questo processo. La seconda è un’importantissima rivoluzione insieme alla prima, cioè quella di ritrovare una felicità culinaria nella nostra cucina, che non vuol dire soltanto fare dei piatti che fanno bene alla salute, ma anche far star bene gli animali, e tutti gli ingredienti che utilizziamo, ma anche e soprattutto le persone. Per cui, stare bene in cucina, produrre del buon cibo. La cucina italiana proprio perché nasce dal focolare domestico è l’esempio più giusto perché il focolare domestico è accoglienza, intimità, piacere di stare insieme – a prescindere da come siamo e da chi siamo.»

Lei faceva riferimento all’identità. Raccontando ogni giorno, ogni mese, da anni, la storia di prodotti e produttori, consumatori e chef, riuscite ancora a sorprendervi?

Chef Giuseppe Bruno, patrimonio Italia a New York

Chef Giuseppe Bruno, patrimonio Italia a New York

Giuseppe Bruno si è inventato tutto un mondo. Anzi, se n’è inventati due: Sistina e Caravaggio. Situati entrambi nell’Upper East Side, tanti gli ospiti illustri

Un patrimonio.
Un patrimonio del gusto, dell’arte, dell’Umanità.
La cucina italiana che si mescola con New York, con dei Matisse da milioni di dollari, con una cantina di 200mila bottiglie di vino che, chissà, forse valgono ancora di più.

Giuseppe Bruno si è inventato tutto un mondo.
Anzi, se n’è inventati due: Sistina e Caravaggio.
Originario di Battipaglia, provincia di Salerno. Emigrato all’inizio degli anni ’80, alla carica americana assieme ai suoi fratelli. Ambasciatore del buono, ma anche del bello.

Due ristoranti che quasi meriterebbero le virgolette: sono, infatti, due musei a tutti gli effetti. Situati entrambi nell’Upper East Side, a una manciata di passi l’uno dall’altro e peraltro proprio a una manciata di passi da un altro museo, forse il più famoso del mondo, quel Metropolitan con cui in qualche modo si fondono, in un tutt’uno affascinante, interessante e squisito.

Entrare significa entrare in un’altra dimensione.
Se cercate l’atmosfera del mito di Manhattan, sta qui.
Se cercate l’autentica cucina italiana, sta sempre qui.

I prezzi non sono di certo una carezza, ma siete nel quartiere più chic della Grande Mela e, soprattutto, siete seduti dove si siedono abitualmente Michelle e Barack Obama, Hillary e Bill Clinton, Melania e Donald Trump, passando pure per Hollywood e dintorni tra Martin Scorsese, Robert De Niro, George Clooney, fino ai mostri dell’alta finanza come Larry Fink (CEO del fondo BlackRock), John Mack (ex CEO di Morgan Stanley) e Fabrizio Freda (CEO di Estée Lauder). In una parola sola, dunque? Il vertice.

E lo stesso Henri Matisse, in realtà, è…soltanto uno dei tanti. Donald Baechler ha decorato di suo pugno un’intera parete di Caravaggio. Frank Stella ha tracciato le sue preziose geometrie. Ellsworth Kelly ha fatto sfoggio del suo minimalismo. E infine Sandro Chia, italianissimo, ha impresso il suo neo espressionismo.

Insomma, definire Giuseppe Bruno l’Executive Chef di Sistina e Caravaggio è evidentemente riduttivo. Bruno è un genio che in quarant’anni non ha mai smesso di lavorare, di collezionare e di sognare. In grande, per sé e ancora di più per i suoi ospiti.

Punto di riferimento. Per i tanti giovani che lo osservano. Per tutti quanti noi che cerchiamo l’Italia in America.

Nota a margine, con tanto di ricetta.
Mentre scrivo, mangio insalata di mare cotta al vapore, guarnita con salsa vinaigrette di pomodori secchi, limone e finocchio.
Trionfo di aragoste, gamberi, calamaretti, cappesante, cozze e vongole.
Naturalmente con un tocco di olio extravergine di oliva a crudo, «Non faccio nomi perché non amo fare pubblicità, ma quell’olio mi costa più di un’eccellente bottiglia di vino!», grida Giuseppe divertito da qualche parte.
Deliziosa, leggera e salutare.

Cin. E la vita è servita.

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Foto di Luigi Gallo Artist

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