Tag: pizza

Perché una pizza può superare i 20 euro? Rispondono 3 pizzaioli

La Cucina Italiana

Perché una pizza può superare i 20 euro? Questa è la domanda.

Base acqua e farina, pomodoro, mozzarella, olio, basilico: questi gli ingredienti di una pizza Margherita. Non particolarmente costosi, certo, ma siamo sicuri che sia tutto qui e che il prezzo corretto per una pizza sia sotto i 10€ e, anzi, che non debba superare i 20€? Lo abbiamo chiesto a chi ha “osato” mettere in carta pizze che superano questa cifra, arrivando a costare anche 20€ e più. Pizze troppo care? No, nei casi che stiamo per illustrare il termine più corretto è “costoso”, nel senso che si paga un po’ di più, ma ci sono una serie di motivi che lo giustificano.

Non solo il costo degli ingredienti

Ivano Veccia, il pizzaiolo di via Veneto che ha “sfidato” Briatore con la pizza con il caviale Beluga.

Ricordate la famosa pizza con il Pata Negra di Briatore? La notizia fece scalpore, la pizza è tuttora venduta nel suo Crazy Pizza in via Veneto a 65€. Dirimpettaio del Crazy Pizza di Briatore, Ivano Veccia nel suo Allegrìo propone una pizza che raramente scende sotto i 20€, apprezzata anche dai foodie. «Altro che la pizza di Briatore, io ho messo in carta perfino una pizza a 300€ con caviale Beluga, oppure una a oltre 100€ con tartufo bianco. Certamente, se utilizzi certi tipi di ingredienti per condire, il prezzo deve essere adeguato alla materia prima» spiega il pizzaiolo. Che andando oltre gli ingredienti extralusso, fa l’esempio della sua Capricciosa, pizza pluripremiata, su cui la scelta degli ingredienti fa la differenza. «A cominciare dal prosciutto cotto da allevamento non intensivo, che è una scelta etica e di sostenibilità, passando per il carciofino, che è vero che prepariamo noi i vasetti in stagione, ma se calcolassi il costo umano sono sicuro che risulterebbe più economico acquistarli» dice il pizzaiolo originario di Ischia.

Servizio da stellato in pizzeria

Enzo Coccia nella sua pizzeria a Roma, dove diverse pizze sono over 20€.

alessandrafarinelli.com

World Pizza Day: perché si festeggia il 17 gennaio?

La Cucina Italiana

Certi giorni non si festeggiano a caso: se il 17 gennaio il mondo intero celebra il World Pizza Day è perché è il giorno di Sant’Antonio Abate, l’eremita del III secolo che rinunciò alle sue ricchezze per dedicare la sua vita agli altri. È considerato il fondatore del monachesimo cristiano, il protettore degli animali, dei macellai, ma non solo.

Chi è il santo protettore dei pizzaioli?

Il santo che l’iconografia medioevale ci ha sempre fatto immaginare con in mano un campanello, un bastone con una croce a forma di Tau e accanto un maiale fedele, è quello che secondo la leggenda ha anche donato il fuoco agli uomini per tenerli al caldo rubandolo all’inferno. Per questo Sant’Antonio Abate è anche il patrono dei fuochi e di tutte quelle professioni che al fuoco sono strettamente legate, e quindi anche i pizzaioli (oltre ai fornai e ai pompieri).

Perché il 17 gennaio si festeggia il pizza day

Da qui l’idea di far coincidere le due cose: festeggiare nella stessa giornata il patrono dei pizzaioli e il World Pizza Day, che a sua volta è anche l’ufficializzazione di un’usanza molto antica a Napoli e non solo. Il 17 gennaio, mentre i contadini – e tanti semplici di padroni di cani e gatti – portano gli animali nelle piazze per farli benedire dai parroci, in diverse regioni del Sud si accendono infatti anche i fuochi in onore di Sant’Antonio Abate: nel Salento li chiamano “focare” ad esempio, mentre a Napoli sono i “fucarazzi”. Per radunarsi intorno a questi falò che vengono allestiti tra i cortili e le piazze, ringraziare il santo, pregare affinché porti buona fortuna per l’anno appena cominciato – e non da ultimo festeggiare (come si fa ancora, mangiando maiale e ballando) – sin dai tempi antichi i pizzaioli napoletani il 17 gennaio prendono mezza giornata libera.

Chi ha ideato il World Pizza Day

L’idea di celebrare il 17 gennaio, giorno di Sant’Antonio Abate, anche il World Pizza Day è nata proprio dai pizzaioli napoletani. Per la precisione è stata dell’Associazione Verace Pizza Napoletana (AVPN) e del suo presidente Antonio Pace che, immediatamente dopo il riconoscimento dell’Unesco che ha consacrato l’arte dei pizzaiolo napoletani come patrimonio immateriale dell’Umanità, hanno pensato bene di riscoprire una tradizione antica lanciando, nel 2018, questa giornata mondiale che ogni anno viene celebrata con grandi festeggiamenti.

Come si festeggia il World Pizza Day

Quest’anno, in cui ricorre anche il quarantennale dell’Associazione Verace Pizza Napoletana, il programma del World Pizza Day (che trovate completo su Facebook) è ricchissimo, tra incontri di piazza e dirette streaming che coinvolgeranno esperti e pizzaioli i tutto il mondo che hanno aderito all’associazione impegnandosi a rispettarne il rigido disciplinare per la preparazione della pizza. 16 Paesi, 22 masterclass in 11 lingue, dall’Australia agli Stati Uniti passando dall’Italia, l’Associazione ha organizzato una no stop di 24 ore tutta dedicata alla pizza.

La nuova pizza dedicata a Sant’Antonio

E ne ha anche creata una nuova, dedicata al protettore: è la “pizza Sant’Antonio”, con pomodoro e peperoncino a simboleggiare il fuoco che protegge, la salsiccia che rievoca il suo maialino inseparabile, e il provolone del monaco, celebre specialità della Penisola Sorrentina, che ricorda tra le altre cose che questo santo così venerato al sud è stato anche il primo monaco della storia.

Altri articoli di La Cucina Italiana che vi potrebbero interessare:

Ciro Di Maio, non solo la pizza Mano de Dios per Maradona. Intervista

La Cucina Italiana

Lo raggiungiamo in una delle poche, pochissime, pause che si prende dal lavoro. «Entro in pizzeria alle 9 di mattina e esco all’una di notte. Non prendo un giorno da mesi e sono felice così», dice. E così è sempre stato: 33 anni di cui 19 trascorsi a impastare, Ciro Di Maio ha cominciato a fare pizze da piccolissimo, a 14 anni, perché già allora ha avuto bisogno di un’altra strada. Un’alternativa dopo un’infanzia complessa nelle palazzine popolari dei sobborghi di Napoli con un padre con un passato burrascoso. Un padre che poi però ha trovato a sua volta una nuova strada e gli ha dato l’esempio, mostrandogli che una vita migliore passa anche dall’aiutare chi ha bisogno. Ciro ora a suo modo fa lo stesso con i detenuti, con i ragazzi che vivono nei quartieri disagiati in cui è cresciuto lui, con chi bussa alla sua porta. Insegna un’arte che per tanti è ancora la via del riscatto, formando nuove generazioni di pizzaioli a cui spiega che la pizza può essere anche un modo per raccontare se stessi, le proprie origini. Come ha fatto lui con la Mano de Dios, in fondo. Ne abbiamo parlato in questa intervista:

L’intervista al pizzaiolo Ciro Di Maio

Oltre che su Instagram, la pizza Mano de Dios è piaciuta nella realtà?
«Sta andando molto bene, ai clienti piace, un po’ perché è scenica un po’ perché è buona. La chiedono tanti napoletani che abitano a Brescia, ma anche tanti bresciani».

La citazione calcistica è immediata per tutti?
«Certo, è impossibile non conoscere Maradona. È stato un idolo. Io sono cresciuto guardando Maradona. Ricordo ancora che quando andavo a scuola sul bus trasmettevano i video dei suoi gol. Maradona non è stato solo un calciatore. È stato amore per il calcio, per la vita, per la gente. Ha unito unito Napoli e l’Argentina. Una volta ho chiesto a un cliente argentino “perché voi siete così forti a calcio?”, e lui ha risposto “perché abbiamo sangue italiano”».

Hai altre pizze particolari come questa in menù?
«Noi facciamo la classica ruota di carro, in tutti i gusti classici e con i prodotti tipici campani. Questa Mano de Dios è unica nel suo genere non solo per la forma, ma anche per la cultura che racchiude. Per me è un modo per raccontare Napoli».

Cosa ha significato per te portare l’arte della pizza napoletana fuori da Napoli?
«Per me ha significato tante cose: non solo far conoscere la pizza verace, ma anche la vera cultura napoletana. Ci sono ancora tanti stereotipi, ingiustificati, su Napoli e chi ci abita, e che con il nostro lavoro possiamo contribuire a smontare. Napoli è bella e brutta allo stesso tempo, come le persone che possono essere buone e al contempo cattive. Di sicuro se non fossi nato a Napoli non sarei quello che sono. C’è un detto che dice che “O napulitan se fa sicc’ ma nun mor“, cioè “il napoletano può diventare pelle e ossa ma non morire”. Sappiamo resistere, anche nella povertà assoluta. Come tutti abbiamo da imparare, ma credo che l’unicità dei napoletani stia anche nella capacità di rialzarsi. Un po’ come ho fatto io».

Proudly powered by WordPress