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La mocetta valdostana: che cos’è e come si mangia

La mocetta valdostana: che cos'è e come si mangia

La mocetta è un tipico salume valdostano, preparato con la coscia di vacca invecchiata secondo l’antico metodo di salagione e conservazione. Si fa solo con le parti più magre, per questo è ideale anche nelle diete, oltre che essere molto gustosa e aromatica

In Valle d’Aosta ci sono più di settanta comuni, ognuno con il suo patois (il dialetto locale) e il suo modo di preparare (e chiamare) i salumi. Per questo non esiste un modo più o meno corretto di dire mocetta, motsetta o motzetta, poiché dipende dalla vallata in cui ci troviamo. Quello che però è certo è la materia prima di partenza con cui si prepara questo salume antico, dai numerosi utilizzi in cucina, che ci ricorda un po’ la bresaola. Ma fate attenzione a non dirlo ad alta voce, perché in valle potrebbero offendersi: la mocetta è la mocetta.

La Valle d’Aosta è allevamento

La Valle d’Aosta è soprattutto allevamento. Pensate che nel 2014 sono state censiti più di trentamila bovini presenti in regione (e quasi quattromila aziende iscritte all’anagrafe), di cui ventimila di razza pezzata rossa. Negli ultimi anni la situazione non è poi così cambiata: l’allevamento bovino, rispetto a quello ovino o caprino, continua a farla da padrone, anche se si è verificato una sorta di accentramento; sono calate le stalle e le aziende, ma non quello dei capi di bestiame, a dimostrazione che si tratta di un mestiere che fanno sempre meno persone. Inoltre, l’allevamento bovino qui in valle dura tutto l’anno, non ha quasi stagioni; le vacche valdostane trascorrono gran parte della vita al pascolo, cambiando spesso le erbe a seconda del periodo e scegliendo loro stesse di quali essenze nutrirsi. Quindi, oltre a un latte molto vario, da cui i vari prodotti caseari d’eccezione (quali fromadzo, toma e fontina), le vacche valdostane ci regalano anche una carne molto gustosa, presente in vari modi in cucina. Uno dei modi migliori per apprezzare la bontà della manza valdostana è la carbonada, una sorta di spezzatino di carne magra tagliata a dadini e cotta nel vino, spesso insieme alla sosa, uno stufato di verdure miste. E poi, ovviamente, la regina dei salumi valdostani: sua maestà la mocetta, sia fresca sia stagionata.

Che cos’è la mocetta (e la misada o tseur achétaye)

Se sul boudin ci sono più varianti, sulla mocetta non si scherza: si fa solo con la coscia di mucca vecchia invecchiata. In realtà in passato si faceva anche con la coscia disossata di capra, camoscio o stambecco, mentre oggi, per fortuna, questi animali sono protetti dalla caccia. «Ma un tempo non era così, la mocetta si faceva con la cacciagione», ci spiega Denise Marcoz del ristorante Lo Grand Baöu. «Infatti oggi, ad esempio, la fanno con il camoscio solo quelli che vanno a caccia, altrimenti in giro si trova solo di vacca valdostana, vecchia». La mocetta si può mangiare anche fresca e cruda, prima che si compia il processo di salagione e di essiccazione: in questo caso si parla di tseur achétaye o di misada, che ricorda un po’ la carne salada trentina, condita solo con olio di noci e sedano selvatico, come la prepara Denise. Per ottenere la mocetta, invece, cioè la carne salata e essiccata, bisogna procedere così: si prende sempre la parte più magra della coscia, si mette in un recipiente con sale, alloro, salvia, spicchi d’aglio, pepe e altre spezie, poi si conserva al fresco sotto un peso, come vuole l’antico metodo di conservazione. Nel frattempo si forma una salamoia in cui dovrà stare immersa per almeno due settimane; dopo la salagione, a differenza della bresaola, non viene insaccata ma si fa asciugare direttamente e seccare appesa in un luogo arieggiato per almeno tre o quattro mesi, anche se più tempo passa meglio è. In questo modo la mocetta sarà pronta per essere degustata nella tipica merenda valdostana o in altre sfiziose ricette.

La mocetta in cucina

Il modo migliore per assaggiare la mocetta è da sola, come antipasto. In alternativa ci sono numerosi utilizzi che si possono fare in cucina, soprattutto abbinandola con altri prodotti locali valdostani. Ad esempio, spesso si trova sui crostini di pane di segale caldo, con miele o burro; oppure è ottima insieme ai funghi, condita con una salsina di olio, limone, aglio e prezzemolo. Non da meno è l’accompagnamento con i formaggi, dal caprino fresco alla fontina, ma anche con verdure fresche quali insalate o finocchi, in particolare per chi a dieta. Poi c’è un altro piatto curioso che abbiamo trovato in un libro di cucina locale: è il Su sci valdostano di Agostino Buillas, del Cafè Quinson di Morgex, una sorta di sua personale rivisitazione degli involtini di Fénis.

La ricetta del Su sci valdostano

Le dosi che seguono sono per circa quattro persone.

Ingredienti

200 g riso Carnaroli
qb brodo vegetale
8 fette lardo d’Arnad di medio spessore
100 g mocetta
100 g fromadzo (anche fontina o toma di Gressoney)

Per la maionese
100 g tuorlo d’uovo
1 pizzico di sale
succo di mezzo limone
½ litro olio di noci

Procedimento

Tostate il riso come per il risotto e bagnatelo con il brodo vegetale nella misura del doppio del suo volume. Fate bollire, poi mettetelo coperto nel forno preriscaldato a 180° per circa quindici minuti. A cottura ultimata, stendetelo su un piano per farlo raffreddare velocemente, spatolandolo per aiutare il raffreddamento, e ponetelo in frigorifero a riposare per circa due ore.
Nel frattempo preparate la maionese.
Trascorso il tempo stabilito, stendete le fette di lardo su un tappetino di sushi, sovrapponendole leggermente. Aggiungete uno strato di riso di circa 1 cm, avendo cura di lasciare libero almeno la metà del lardo per consentire l’arrotolamento. Sovrapponete al riso una striscia di maionese utilizzando una sac à poche o un cucchiaio. Adagiatevi accanto una striscia di mocetta e una di formaggio. Arrotolate formando un rotolo ben compatto.
Tagliate il rotolo in fette spesse circa 3 cm e disponetele sul piatto di portata. Servite in abbinamento a un calice di Ninive di Ermes Pavese o di Saint-Ours di Noussan e lasciatevi stupire da quel settore recente, ma in crescita costante, che è la viticoltura valdostana.

Ah, lo sapevate che con la mammella di vacca, allo stesso modo della mocetta, si prepara anche un altro salume, seppur più raro? È il teteun, festeggiato ogni anno ad agosto a Gignod durante la Fëta di Teteun.

5 errori da non fare con le verdure ripiene

5 errori da non fare con le verdure ripiene

Sono tanti i motivi per non rinunciare alle verdure ripiene, da preparare però seguendo i nostri consigli

Delizia dell’estate, le verdure ripiene sono un piatto ghiottissimo da preparare per moltissimi motivi: le potete fare con tantissimi ortaggi (come pomodori, peperoni, melanzane, zucchine), potete spaziare con la fantasia nel riempirle, non sono troppo caloriche (a meno che non esageriate con il ripieno!) e sono buonissime anche il giorno dopo senza bisogno di riscaldarle.

Verdure ripiene: gli errori da non fare

Per evitare però di compromettere la loro buona riuscita, ci sono alcuni errori da evitare. Ecco quali sono.

1. Non far perdere l’acqua alle verdure

Per avere un risultato asciutto e croccante invece di una verdura lessa e triste, bisogna ricordarsi di far perdere agli ortaggi la loro l’acqua, in modo che una volta messi in forno o in padella si abbrustoliscano bene. Quindi aprite in due le verdure, cospargetele di sale e lasciatele riposare per almeno 30 minuti. Dopodiché sciacquatele, asciugatele e farcitele!

2. Ignorare la parte morbida

A meno che non usiate riso o cous cous come ripieno, ricordatevi di inserire sempre una parte morbida, che serva come legante, altrimenti avrete un ripieno a pezzettini che non sarà né bello da vedere né da mangiare. Unite quindi agli altri ingredienti della mollica ammollata in latte e poi strizzata, patate lesse o uova. Il vostro ripieno sarà così uniforme e ben amalgamato.

3. Scavare spessori diversi

Quando scavate una verdura per poi riempirla, è fondamentale che la parte esterna abbia tutta lo stesso spessore, pena poi ritrovarsi una zona cruda e una bruciata. Fate quindi molta attenzione con lo scovino o il coltello, e ricordatevi che la misura giusta di polpa da lasciare attaccata all’ortaggio è circa di 5 mm.

4. Esagerare con il ripieno

Bene che vi piacciano le cose ricche, ma quando farcite una verdura è fondamentale non esagerare con il ripieno, che altrimenti uscirà, formerà dell’acqua di cottura e inumidirà irrimediabilmente le vostre verdure, regalandovi l’effetto “lesso”. Ricordatevi quindi che il ripieno, qualunque esso sia, non deve strabordare, ma essere completamente contenuto dalla verdura.

5. Sbagliare i tempi di cottura

Spesso verdura e ripieno hanno consistenze diverse e tempi di cottura differenti. A seconda della farcitura che deciderete di utilizzare, sarà bene verificare in quanto tempo potrebbe essere cotta, per decidere se il contenitore verdura abbia bisogno, per esempio, di una “scottatina” preventiva. Nel caso di zucchine ripiene di carne, per esempio, sarebbe bene far cuocere in forno per 10 minuti le zucchine svuotate, e soltanto successivamente farcirle. In caso contrario, la zucchina cuocendo rilascerebbe molta acqua, che andrebbe a inumidire troppo il ripieno, lessandolo.

Nel tutorial qualche consiglio in più per verdure ripiene perfette

» Pettole salentine – Ricetta Pettole salentine di Misya

Misya.info

Mettete farina, lievito e zucchero in una ciotola, aggiungete l’acqua e iniziate a mescolare con una forchetta, quindi unite anche il sale e amalgamate fino ad ottenere una pastella omogenea.
Coprite la ciotola e lasciate lievitate per circa 2-3 ore (dovrà raddoppiare di volume).

Riprendete la pastella e incorporate pomodori secchi a pezzetti, olive denocciolate e acciughe sminuzzate.

Fate scaldare l’olio in una casseruola e cuocete la pastella a cucchiaiate, girandole per farle dorare uniformemente, quindi scolatele su carta assorbente da cucina.

Le pettole salentine sono pronte, servitele subito.

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