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Croissant cubo: perché ne andiamo pazzi e dove assaggiarlo

La Cucina Italiana

L’ultima dolce novità è il «cube croissant»: sì, il croissant cubo. Non più a forma di cornetto, come lo pensarono gli austriaci nel 1683 per commemorare la vittoria contro l’Impero Ottomano (ricordando la forma di mezzaluna della bandiera turca), e come lo rifecero i francesi in occasione del matrimonio tra Luigi XVI e Maria Antonietta d’Austria, aggiungendo più burro e ribattezzandolo «croissant» (da «crescent», cioè crescente). Ora la brioche ha proprio la forma accattivante e stilosa di un parallelepipedo, e questo l’ha resa il dolce perfetto anche per i social. Se è così famosa è proprio perché è diventata virale: su TikTok ci sono quasi 80 milioni di video con l’hashtag #cubecroissant, tra post di assaggiatori e pasticcieri per passione che provano a cimentarsi con il nuovo tormentone.

Chi ha inventato il croissant cubo

Tutto è cominciato sui social, del resto. Nel 2018, con un post dello svedese Bedros Kabranian, campione mondiale di bakery. L’idea è stata sua, e l’ha chiamata Le crube (crasi di «croissant» e «cube»). Ci è arrivato dopo diverse prove. Dato che l’impasto di un cube croissant cresce molto meno rispetto alla forma tradizionale, Bedros Kabranian ha dovuto fare una serie di calcoli per capire quanto andasse riempito lo stampo. Dopo esserci riuscito nessuno lo ha fermato, e lo ha proposto in tante versioni diverse: vuoto, ripieno di creme, glassato, zuccherato. Perché, a parte la forma, il resto del croissant cubo è uguale all’originale.

Dove assaggiare il croissant cubo in Italia

In Italia lo conosciamo grazie alla celebre Farmacia del Cambio di Torino che, nel 2019, ha lanciato il suo Crubik, «contraddistinto da un involucro croccante e un cuore sofficissimo» (così scrive sul suo sito). Una brioche ripiena di crema pasticcera o al cioccolato che è subito diventata una mania, e lo è tuttora: non è raro, a quattro anni dall’«invenzione», imbattersi in articoli di cronaca locale che raccontano della fila di clienti in piazza Carignano per assaggiare la specialità di Matteo Baronetto e Maicol Vitellozzi. Torinesi e turisti, tutti lì. Magari anche per farsi una foto e postarla.

Ricetta Pasta e fagioli, la ricetta dello chef Carlo Cracco

Ricetta Pasta e fagioli, la ricetta dello chef Carlo Cracco

La pasta e fagioli è un piatto che nella stagione fredda non possiamo non preparare perché è caldo, confortante, economico e nutriente grazie all’abbinamento tra cereali e legumi.

Oggi cuciniamo la pasta e fagioli con la ricetta dello chef Carlo Cracco che ha utilizzato fagioli borlotti freschi (che possiamo sostituire con quelli secchi o in scatola) e una pasta secca tipo maltagliati.

La preparazione è semplice: i fagioli cotti con sedano, carote, cipolla, patate e alloro vengono in parte frullati per ottenere una crema a cui aggiungere l’altra parte di fagioli interi. La pasta viene cotta al dente, scolata e portata a cottura completa nella crema.

La minestra si può condire semplicemente con olio, pepe e fettine di prosciutto abbrustolito oppure si può aggiungere anche un condimento consigliato dello chef da scoprire leggendo la ricetta.

Pasta alla Genovese, la ricetta come la fanno in casa a Napoli

La Cucina Italiana

Non bisogna per forza essere di Napoli per comprendere il senso profondo di un piatto come la Genovese. Certo il suo odore per un napoletano sarà sempre legato a infinite domeniche in famiglia; ma in realtà quel profumo resta impregnato addosso anche a chi è solo di passaggio, anche solo una volta. Perché in un’era dove gli imperativi restano la velocità e l’efficienza, per fare la Genovese ci vogliono ore e ore, passate a pelare chili di cipolle con le lacrime agli occhi; lacrime che non si arrestano nemmeno tra i fumi dei suoi lunghi tempi di cottura; lacrime che basta un respiro. Per questo nella Genovese c’è Napoli e quella sua intrinseca abilità di trovare sempre soluzioni, nella vita così come davanti a resti, scarti o sovrabbondanze di cibi; quella stessa genialità che da sempre caratterizza le cucine cosiddette povere, che poi in realtà di povero non hanno proprio nulla e si rivelano sempre la quintessenza della creatività, come ci dimostra la storia. Perché è quando non si ha niente che si riesce a fare tutto, mo, ambress ambress, in un eterno presente: “il futuro non ci appartiene, e se domani non mi sveglio? Allora meglio che la Genovese me la faccio oggi”. È questa la filosofia di Patrizia, per tutti zia, una delle tante donne che la prepara da una vita, perché gliel’ha insegnata sua mamma, Angela, e prima ancora sua nonna, Fortuna, secondo una tradizione tramandata con il semplice saper fare. Negli anni l’ha preparata in tutta Italia per diverse occasioni e ovunque ha sempre riscosso un gran successo. Ma resta un dubbio: perché una delle ricette più napoletane che ci sia, si chiama proprio così?

Perché “la Genovese” si chiama così visto che è di Napoli?

Ci sono varie ipotesi, dal periodo aragonese in cui pare che il porto di Napoli fosse pieno di cuochi genovesi, a un cuoco napoletano che la cucinava ed era soprannominato “o genoves”, fino a chi pensa che il nome derivi da Ginevra in Svizzera e non dalla città ligure…

Ma la realtà è più semplice: la Genovese appartiene al Mediterraneo e risale a quell’epoca in cui gli scambi tra i porti erano talmente comuni che la condivisione di un piatto era un’abitudine. A maggior ragione se ad averlo poi fatto suo è stata una città come Napoli, incapace a non dare confidenza, con quella sua indole innata predisposta all’incontro senza preconcetti e alla contaminazione senza indugi.

Dunque, poco importa l’origine o l’appartenenza di qualcosa che alla fine affonda le sue radici in mezzo al mare, intriso di un antico e profondo senso di condivisione; quello stesso che oggi non fa mancare nessuno a tavola quando lei è finalmente pronta.

Come si prepara la Genovese

Per la preparazione delle Genovese, è fondamentale scegliere bene la carne, che deve essere sempre il più tenera possibile: zia Patrizia predilige la gallinella di maiale, tra i tagli meno noti, ma ugualmente validi, vicino allo stinco, nella parte inferiore della gamba, dove le masse muscolari abbracciano la faccia posteriore della tibia.

Ingredienti per 4/5 persone

  • 500 g di penne grandi (o ziti e candele)
  • 1 kg di gallinella di maiale (o girello di manzo tenero)
  • 2 kg di cipolle
  • 2 carote
  • 1 sedano
  • 1 bicchiere di vino bianco
  • 5 pomodorini
  • basilico – sale – prezzemolo – Parmigiano – olio evo

Procedimento

  1. Pelate le cipolle e tagliatele a pezzettini.
  2. Poi pulite carote e sedano e tagliate anch’essi a pezzetti; in una pentola mettete l’olio extravergine d’oliva e fate rosolare la carne precedentemente tagliata.
  3. Dopo circa un quarto d’ora, togliete la carne e nella stessa pentola aggiungete ancora un po’ d’olio con cipolle, carote e sedano e fate cuocere con il coperchio chiuso per qualche minuto.
  4. In seguito mettete un bicchiere di vino bianco, poi riaggiungete la carne con cinque pomodorini schiacciati; aggiustate di sale, aggiungete ancora un po’ di vino bianco e lasciate cuocere a fuoco basso per almeno un’ora, anche se il tempo dipende dalla cottura della carne.
  5. Una volta che la carne è quasi pronta, fate bollire l’acqua, buttate la pasta e infine condite direttamente nel piatto, senza mai dimenticare una spolverata di parmigiano ‘ncoppa.

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