Lavate i peperoncini, privateli delle calotte e dei semini interni, quindi saltateli in padella antiaderente con aglio, olio e sale, chiudendo con coperchio) per una decina di minuti, mescolando ogni tanto, finché non saranno teneri.
Tagliate il brie a cubetti e i friggitelli a striscioline (conservatene qualcuno intero per la decorazione.
Preparate la farcitura unendo uovo, panna, grana, brie e i peperoncini tagliati, condendo con poco sale e pepe. Versate tutto nello stampo rivestito di cartaforno e che avrete già foderato con la pasta sfoglia, decorate disponendo i peperoncini interi sulla superficie e cuocete per circa 35 minuti a 200°C, in forno ventilato già caldo.
La torta salata ai friggitelli è pronta: servitela calda o tiepida per gustarla al top.
Una giornata in Umbria, in compagnia dell’enologo di una tenuta «d’artista», dove capiamo che per fare la differenza tra un vino buono e uno no bisogna saper immaginare il futuro
Perché ci sono vini che costano più di altri? E perché alcuni sono messi in vendita a pochi mesi dalla vendemmia, mentre molti rimangono nelle botti per anni? L’ho chiesto a Luca Capaldini, responsabile di cantina e di campagna dellaTenuta di Castelbuono, l’azienda umbra che la famiglia Lunelli ha acquistato nel 2001. In risposta, ho ricevuto un invito al Carapace, la cantina-scultura realizzata da Arnaldo Pomodoro.
Lo raggiungo in una calda giornata autunnale e rimango a bocca aperta davanti alle vigne di sagrantino, che in questo periodo dell’anno cominciano a tingersi di rosso. «Qui produciamo quattro vini, il Montefalco Rosso Ziggurat, il Montefalco Rosso Riserva Lampante, il Montefalco Sagrantino Passito e il Montefalco Sagrantino Carapace, il vino più importante, simbolo dell’Umbria vinicola», esordisce Luca. «Il lavoro comincia in campagna, dove gestiamo i vigneti in regime biologico e dove durante la vendemmia avviene una prima selezione dei grappoli; facciamo una seconda cernita, su appositi tavoli, anche in cantina, così da essere sicuri di pigiare solo uva perfettamente sana e con il grado di maturità desiderata e, infine, una terza selezione con una macchina che è in grado di individuare e di eliminare singoli acini rovinati, eventualmente sfuggiti ai precedenti controlli». Le uve per il Sagrantino crescono in due vigneti, uno a Bevagna, intorno all’azienda, e uno a Montefalco; gli appezzamenti hanno caratteristiche diverse per suoli ed esposizione e, dunque, anche periodi diversi di maturazione dei frutti. «Questo ci permette di avere un vino con maggiore complessità, visto che le uve apportano differenti sfumature di aromi e di sapore, e sempre di qualità, anche in annate difficili dal punto di vista climatico», sottolinea Capaldini. Dopo la selezione e la diraspatura (la separazione degli acini dal graspo) tutto è pronto per la pigiatura.
Niente fretta
Seguo Luca lungo una scala elicoidale che ci porta nel cuore produttivo del Carapace (la struttura esterna sembra davvero il guscio di una gigantesca testuggine), dove si alternano piccole botti di legno, tini troncoconici, qualche recipiente in terracotta e molti serbatoi di acciaio. E qui scopro che la ricetta per fare un grande vino non prevede soltanto grappoli di qualità eccellente. «Pigiando le uve si ottiene il mosto, che viene lasciato a contatto con le bucce per circa venti giorni, in modo che queste possano cedere le sostanze coloranti e alcune sensazioni gustative; per questa operazione utilizziamo recipienti di differenti materiali, come l’acciaio, il legno e la terracotta, che danno al vino caratteristiche diverse», sottolinea Capaldini. «L’acciaio ne preserva la freschezza, il legno ne favorisce l’ossigenazione e rilascia alcuni sentori, come le anfore, che ampliano il bouquet aromatico con profumi di spezie e di argilla». Terminato il processo della vinificazione, comincia quello dell’affinamento. Il disciplinare di produzione del Sagrantino di Montefalco prevede un invecchiamento in botti di almeno dodici mesi, «ma noi lo lasciamo per circa due anni, in contenitori di diversa capacità e realizzati con legni diversi. Abbiamo tonneaux da 500 litri, fatti con il rovere delle foreste francesi di Allier, e botti da 30 ettolitri, realizzate in Austria e in Italia; anche in questo caso i diversi legni e le differenti capacità delle botti concorrono a creare una maggiore complessità finale. «L’uva sagrantino è generosa e dà vini potenti, capaci di evolversi per molti anni, ma che hanno bisogno di tempo per ingentilirsi: una lunga sosta nelle botti di legno è fondamentale per fare un grande vino, non bisogna avere fretta», dice Luca.
Al punto cruciale
Come quando un cuoco crea un nuovo piatto, mescolando i sapori, bilanciando il salato con il dolce, aggiungendo un tocco di amaro o di acidità rinfrescante, così l’enologo assaggia il contenuto dalle tante botti e recipienti che ha a disposizione e decide come realizzare il «taglio finale» del vino che andrà poi in bottiglia. «È il momento più creativo del mio lavoro», spiega Luca mentre ci sediamo a un tavolo ingombro di bottigliette, misurini, pipette e fogli per gli appunti. «Non devi solo pensare alla piacevolezza immediata», mi avverte. «Per creare un grande vino bisogna essere capaci di guardare al futuro, occorre sapere che alcune asperità che si avvertono oggi, spariranno dopo che il vino avrà riposato ancora in bottiglia». Osservo l’enologo al lavoro, apro anch’io qualche bottiglia, prima annuso e poi assaggio il contenuto; prelevo piccoli campioni qua e là e li mescolo; assaggio di nuovo, annoto su un foglio quanti centilitri ho usato di ciascuna bottiglia e le sensazioni che mi vengono in mente. «Dopo che abbiamo scelto il nostro taglio finale, si scende in cantina, si applicano le proporzioni annotate a tutta la massa del vino e infine si imbottiglia». Sarà il tempo a concludere il lavoro.
Avete comprato la farina di ceci e ora non sapete bene come utilizzarla? Dalla farinata di ceci alla schiacciata fino ai pancacke di ceci, ecco tre ricette facilissime e veloci che amerete
Con la farina di ceci si possono realizzare delle ricette sane e sfiziose. Vogliamo proporvi tre ricette a base di farina di ceci deliziose per un aperitivo o come alternativa proteica al pane. Una è la famosissima farinata di ceci, l’altra è la schiacciata. Non possono mancare i pancake, sempre in versione proteica.
Come fare la farinata di ceci
Ingredienti: 150 g di farina di ceci 400 ml di acqua 40 ml di olio extravergine 1/2 cucchiaino di sale rosmarino
Preparazione: Unite tutti gli ingredienti e lasciate riposare il composto per circa 3 ore mescolandolo di tanto in tanto ed eliminando la schiuma che si forma in superficie. Versate il composto in uno stampo basso da forno abbastanza largo, come quello dellapizza, e cuocete a 200° per circa 30 minuti. La farinata resta bassa ed è pronta quando diventa dorata in superficie creando una crosticina. Potete servirla con della burrata sopra e di pomodori secchi sott’olio oppure con affettati e formaggi, ma è ottima anche al naturale.
Come fare la schiacciata di ceci
Ingredienti: 50 g di farina di ceci 120 g di acqua circa sale semi di sesamo olio extravergine di oliva
Preparazione: Questa schiacciata è una specie di enorme cracker, senza farina, se non quella di ceci. Più croccante della farinata, è un’ottima alternativa al pane e con pochi carboidrati e molte proteine essendo tutta a base di legumi. Per prepararla basta mescolate acqua e farina e poi stendere il composto su una teglia ben oliata. Spennellate la superficie con dell’olio, cospargete di semi e aggiungete un pizzico di sale, anche grosso. Infornate a 220° per circa 20 minuti o finché la superficie sarà dorata. Potete conservare la schiacciata di ceci in un sacchetto per il pane fino a 5 giorni e resterà croccante.
Come fare i pancakes di ceci
Sempre con la farina di ceci potete fare dei pancakes dolci o salati. Mescolate 250 g di farina di ceci con 300 ml di acqua e un pizzico di lievito o bicarbonato e aggiungete un cucchiaio di zucchero per la versione dolce o poco sale per quella salata. Una volta pronta la pastella cuoceteli in una padella antiaderente calda, un minuto per lato.