Tag: ricette secondi piatti di carne

40 ricette contro il freddo

La Cucina Italiana

L’inverno è sempre piuttosto mite negli ultimi anni e il meteo un po’ pazzerello, ma indubbiamente le ricette contro il freddo sono sempre gradite nei mesi che una volta erano di nevicate e ghiaccio. E visto che nei prossimi giorni è previsto (finalmente!) il ritorno, anzi, l’arrivo dell’inverno fin qui assente, quale occasione migliore per presentarvi le nostre calde ricette?

Sapete che esistono vere e proprie ricette contro il freddo, capaci di scaldarci e favorire le difese immunitarie grazie alle loro proprietà benefiche? Ve ne proponiamo 40 in una raccolta a base di comfort food tradizionali e abbinamenti originali con il pensiero di piatti caldi per combattere il freddo e avere un’arma in più per allontanare i malanni di stagione. Ma quali sono i cibi che riscaldano di più durante l’inverno?

Ricette contro il freddo: i cibi che riscaldano di più

Partiamo da un presupposto: per riscaldarci non basta che i cibi siano soltanto caldi. Per essere efficaci, le ricette contro il freddo da portare in tavola devono aiutarci a produrre più energia e, di conseguenza, calore, stimolando il nostro metabolismo. Alcuni ingredienti sono capaci di fare esattamente questo lavoro grazie al giusto equilibro fra apporto calorico e proteico. Stiamo parlando in particolare di carne, legumi e verdure di stagione, che ci aiutano ad aumentare in modo sano le calorie giornaliere necessarie in inverno per combattere le temperature più rigide.

Legumi

Fra gli alimenti che riscaldano di più ci sono i legumi. Fagioli, lenticchie e ceci sono ricchi di ferro, che aiuta proprio a rafforzare le nostre difese contro il freddo. I legumi sono un ingrediente molto speciale per le nostre ricette invernali, a partire dalla classica pasta e fagioli, fino a zuppe, vellutate e minestre – tradizionali e non –  da abbinare preferibilmente ai cereali.

Carne

Fra gli ingredienti più proteici non può mancare la carne, da consumare con moderazione, prediligendo quella bianca e alternandola a pesci e legumi. Quando fa freddo, sopratutto per le occasioni speciali come il pranzo della domenica, ci lasceremo facilmente conquistare da piatti come la bistecca, lo spezzatino o un bell’arrosto fumante.

Spezie

Le spezie sono perfette per dare gusto e profumo, ma anche per aiutare il nostro corpo a riscaldarsi. Molte spezie, come il cardamomo o il cumino, vengono spesso utilizzate come rimedio naturale per tosse e raffreddore, mentre zenzero e peperoncino sono capaci di aumentare il flusso sanguigno e, quindi, scaldarci. Un tocco di peperoncino nel minestrone oppure un’infuso allo zenzero sono due armi infallibili.

Frutta e verdura di stagione

Sembrerà scontato, ma è sempre meglio ripeterlo: consumare ingredienti stagionali è una regola che vale sempre. La natura infatti sa bene come venirci in soccorso nell’alternarsi delle stagioni e ogni alimento ha proprietà adatte a diversi momenti dell’anno. Per evitare spiacevoli raffreddori, la vitamina C è fondamentale, ecco perché fare il pieno di arance, mandarini e kiwi è un’ottima idea durante la stagione fredda. Zucca, broccoli, spinaci, patate, carciofi e cavolfiori sono ingredienti stagionali capaci di stimolare le nostre difese immunitarie e perfetti per preparare piatti caldi e gustosi. Non dimenticate cipolla e aglio, ricchi di proprietà benefiche.

L’idratazione è importante anche durante l’inverno: non c’è niente di meglio che sorseggiare una tisana calda.

Le nostre ricette contro il freddo

ricette contro il freddo

Le nostre ricette contro il freddo

4 Ristoranti: il miglior ristorante dell’Ogliastra, Sardegna

4 Ristoranti: il miglior ristorante dell’Ogliastra, Sardegna

È la terra del maialino allo spiedo, della carne di capra, dei malloreddus e dei culurgiones. È stata l’Ogliastra la quinta tappa di 4 Ristoranti di Alessandro Borghese. Questa volta, lo chef è andato alla scoperta della suggestiva Costa Orientale della Sardegna, per conoscere le ricche tradizioni culturali e gastronomiche di questo territorio custodito tra i rilievi del Gennargentu e le acque del Mar Tirreno (non a caso è chiamato anche l’«anfiteatro sul mare»).

Le regole del gioco sono sempre le stesse: quattro ristoratori si sfidano invitando a pranzo nel proprio locale gli altri tre concorrenti, accompagnati dallo chef Alessandro Borghese. I commensali assaggiano i piatti e assegnano un punteggio da zero a dieci a location, menù, servizio e conto. C’è anche una quinta categoria su cui ogni ristoratore viene valutato: è il piatto tipico, rappresentativo del territorio di riferimento. In questo caso si trattava dei culurgiones, pasta fresca ripiena – nata proprio in queste terre – dalla tipica chiusura a spiga di grano (sa spighitta). La ricetta cambia di paese in paese, e spesso presenta differenze per formato, impasto e ripieno.

A vincere la sfida (tutta al femminile), questa volta, è stato il ristorante Sa Cadrea di Emanuela, a Santa Maria Navarrese. Gli altri locali in gara erano il Ristorante Abba ‘E Murta di Carla, a Tortolì, Al Porticciolo di Francesca, nel porticciolo di Arbatax e Incontro di Vino di Carpe Diem di Teresa, a pochi passi dalla baia di Porto Frailis. Andremo a conoscerli tutti meglio nella gallery. Anche questa volta, il vincitore, oltre a conquistare il titolo di miglior ristorante, ha ricevuto anche un contributo economico da investire nella propria attività.

Dopo l’Ogliastra, il viaggio gastronomico di Alessandro Borghese 4 Ristoranti, che ha già esplorato le proposte gastronomiche della Costa Azzurra, dell’Oltrepò Pavese, di Lisbona e del centro storico di Ravenna, farà tappa lungo tutta la penisola e toccherà Gorizia, Lucca, Monza e Mantova.

Cos’è l’umami, il quinto elemento del gusto

La Cucina Italiana

«Che gusto ha?» «Umami!». Oramai è sempre più comune rispondere così davanti ad un piatto. Le caratteristiche del “quinto sapore” sono entrate nel nostro patrimonio gastronomico, o più che altro abbiamo imparato a dare un nome ad un gusto che appartiene da sempre alla cucina italiana. Fino a qualche anno fa parlare di umami suonava esotico, e il termine si usava per la sola cucina giapponese, poi la consapevolezza si è diffusa fra gli chef internazionali e sino alla cucina della nostra quotidianità. Ma che cosa significa e a che cosa corrisponde questo umami?

Dalle alghe giapponesi al Parmigiano Reggiano

Quella che potrebbe sembrare una moda passeggera, o l’ennesima invenzione “del mondo del food” si basa su studi cominciati nel 1908 in Giappone dallo scienziato Kikunae Ikeda, professore del Dipartimento di Chimica della School of Science di Tokyo, che per primo cominciò a parlare della presenza di un gusto ulteriore oltre ai quattro canonici. Un gusto saporito (umami letteralmente significa saporito in giapponese), indefinibile attraverso i quattro sapori utilizzati sino ad allora. Per primo ne riconobbe l’alta concentrazione nelle alghe kombu, ricche di glutammato monosodico – presente anche in altri alimenti come il katsuobushi (una bottarga di tonno che viene utilizzata in scaglie), nei funghi shitake essiccati, e nel miso. Si definisce umami (definizione ufficiale dell’Umami Information Center) «un gusto sapido piacevole che viene da glutammato, inosinato e guanilato, che si trovano naturalmente in carne, pesce, verdura e prodotti lattiero caseari». Il gusto umami infatti non ha nulla a che vedere con la sola cucina giapponese e può essere riconosciuto in prodotti localissimi, tant’è che lo stesso Ikeda intuì l’esistenza del gusto umami in Europa, assaggiando per la prima volta pomodori, asparagi e formaggio. Tornato in patria, sviluppò un metodo di produzione per il glutammato monosodico (MSG), brevettato poi nel 1908.

Umami = buono

Amato dai bambini proprio perché hanno un palato vergine e istintivo, il gusto umami è anche quello del latte materno, che contiene una percentuale elevatissima di glutammato, e che quindi ci svezza, rendendolo al genere umano universalmente gradito – al di là invece di altri condizionamenti culturali legati al sapore dei cibi. Saper riconoscere i sapori è alla base della sopravvivenza umana, e dei gusti innati delle persone. L’amaro e l’acido sono due segnali di pericolo per il nostro cervello perché in quantità eccessive significano cibi velenosi o avariati. Lo zucchero invece – fonte di energia – è invece percepito come piacevole dal nostro palato proprio perché segno di un cibo utile, così come il salato, fonte di sali minerali. Il gusto umami è quello dei cibi proteici, necessari al nostro organismo e quindi piacevoli, stimola la salivazione, la digestione e l’assorbimento dei nutrienti – tanto che alcuni studi identificano non solo sulla lingua ma anche nello stomaco la presenza di papille gustative dedicate a questo sapore. Ecco perché l’umami in equilibrio con gli altri gusti di base determina la prelibatezza di un piatto.

Patrimonio UNESCO perché l’umami è parte di una cucina sana

La strada per l’ufficializzazione scientifica di questo nuovo gusto è stata lunga, basti pensare che solo nel 2002, a quasi un secolo di distanza, sono stati individuati dei particolari recettori presenti nella nostra bocca e che nel 2013 la maestria nell’uso del sapore umami degli ingredienti, invece dei grassi animali, in cibi sani ma saporiti ha decretato l’introduzione della cucina tradizionale giapponese nel patrimonio immateriale dell’umanità UNESCO. Controtendenza all’idea che il glutammato monosodico non faccia poi così bene, i ricercatori della Tohoku University del Giappone hanno anche sperimentato come l’insensibilità all’umami determini perdita di appetito, conseguente perdita di peso e quindi indebolimento del fisico e della salute, soprattutto nei pazienti più anziani. Inoltre l’umami aiuta a ridurre il contenuto di sale in cucina.

L’Umami nella cucina italiana: pomodori e Parmigiano

L’umami si trova in una varietà di alimenti tra cui carne, pesce e verdure. Ne sono ricchi i pomodori, tonno e sardine, carne di manzo, pollo e maiale, funghi, cipolle, piselli, asparagi, broccoli, rape. La componente umami degli alimenti aumenta poi a seguito di lavorazioni come la maturazione e la fermentazione, ossia nel Parmigiano Reggiano, nel prosciutto crudo e in condimenti come la salsa di soia o le salse di pesce – che infatti vengono proprio per rendere più buoni e appetibili i cibi su cui vengono utilizzati. Le ricette di tutto il mondo mostrano come la scoperta moderna dell’umami non sia altro che il riconoscimento scientifico di un sapere secolare che ha portato nel tempo a cucinare questi ingredienti, e le loro componenti di glutammato, inosinato e guanilato, mixandoli fra loro proprio per massimizzarne gli effetti gastronomici. Riso in bianco e soia, pasta in bianco e parmigiano, brodo di carne e dote di verdure…. le ricette anche italiane che sono buone perchè umami sono tantissime, risotto al pomodoro inclusa.

Umami come il glutammato: facciamo chiarezza

Il glutammato monosodico è uno degli ingredienti più studiati in campo alimentare, spiega il Consiglio europeo di informazione sull’alimentazione (EUFIC), veniva estratto da cibi ricchi di proteine naturali come le alghe marine e funghi, ma oggi è ottenuto da un processo di fermentazione industriale a partire da barbabietole da zucchero, canna da zucchero o melassa. Il glutammato monosodico (MSG), brevettato da Ikeda nel 1908, viene così utilizzato per intensificare il sapore e l’appetibilità degli alimenti senza rischi per la salute e ne può perfino abbassare il livello di sodio. In alcuni paesi viene utilizzato come condimento da tavola, in Occidente viene aggiunto agli alimenti salati preparati e trasformati e si trova etichetta sottoforma di sinonimi: vetsin, ajinomoto, glutammato monosodico, E621, glutammato di sodio, L-glutammato monosodico e acido glutammico monoidrato. Viene utilizzato per le sue proprietà gastronomiche ma anche perché contiene solo un terzo del sodio contenuto nel sale da tavola , e può essere quindi utilizzato in quantità minori. Nonostante un ristretto numero di persone dichiari di essere sensibile all’MSG, studi scientifici hanno messo in evidenza che non vi sarebbe alcun legame diretto tra tale sostanza e reazioni allergiche o intolleranze nell’uomo. La “sindrome del ristorante cinese” quindi, non esiste. Nessun allarme, come tutti gli alimenti, basta essere morigerati.

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