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Ricetta Fonduta di Gruyère con verdure

Ricetta Fonduta di Gruyère con verdure

Semplice da preparare, la Fonduta di Gruyère è un antipasto invernale che si presta a essere condiviso. Posta al centro della tavola, ogni commensale può intingervi con l’aiuto di un bastoncino verdure di stagione a piacere in quantità e varietà.

Per realizzare la fonduta di Gruyère organizzatevi in anticipo perché il formaggio dovrà riposare in latte e farina per un’ora prima che la preparazione venga fatta fondere sul fuoco. Come verdure vi consigliamo un misto di ortaggi crudi e lessati, come carciofi e broccoli.

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Casa Sanremo 2024: cosa mangeranno gli artisti al Teatro Ariston?

Casa Sanremo 2024: cosa mangeranno gli artisti al Teatro Ariston?

Casa Sanremo nasce nel 2008 ed è la “casa” dove gli artisti, i giornalisti, gli addetti ai lavori ogni anno durante passano per rifocillarsi o anche solo rilassarsi con uno spuntino prima, dopo e durante il festival della canzone italiana. «A Casa Sanremo ci siamo da cinque anni», spiega Lucio Camisa, responsabile della Food Area e direttore de Il Mulino della Signora, ristorante-resort di Sturno di proprietà di Gianfranco Testa, nel cuore dell’Irpinia, in Campania. «Ci occupiamo della parte ristorativa del roof, proponendo ogni giorno piatti della una cucina nazionale, un menù che cambia di volta in volta, in base agli ingredienti disponibili», aggiunge Camisa, che lavorerà a stretto contatto con la chef, Maria Carmela Tarantino e il sous chef Vito De Luca. «Non esiste un menù predefinito perché cambia in base agli ingredienti messi a disposizione dalle varie regioni d’Italia che sponsorizzano Casa Sanremo». Non mancherà il pane di Altamura, la pasta di Gragnano e molte altre specialità che la chef e il sous chef promuoveranno a tavola e attraverso un format  televisivo, il cooking show L’Italia in Vetrina, «con collegamenti da tutte le regioni per raccontare le eccellenze gastronomiche nazionali».

Un piatto della chef Carmela Tarantino de Il Mulino della Signora

L’Arena del gusto

Al piano inferiore c’è, invece, il “tempio della pizza”. Per il quinto anno consecutivo a dirigere l’Arena del gusto è Enzo Piedimonte, pizzaiolo napoletano trapiantato in Sicilia, a Rodia, Messina (sua la pizzeria Piedimonte 1.0). Definito l’”artista della pizza”, Enzo ci ha raccontato qualche aneddoto e quali sono le pizze create apposta per la kermesse sanremese. «Dobbiamo gestire una 50na di pizzaioli che arrivano dall’Italia e dall’estero, ma tutti italiani, e che suddividiamo in tre fasce orarie diverse». La selezione viene effettuata di anno in anno. «Ma spesso riconfermiamo i più bravi in base alla velocità, pulizia e capacità di conversazione con gli ospiti, che vi assicuro non è affatto facile».

Le pizze più richieste

In assoluto la pizza più richiesta è la Amadeus, «non poteva mancare quella dedicata al direttore artistico, con provola di bufala affumicata a cui aggiungiamo speck e chips di patate». L’anno scorso andava molto anche la Ferragni, «con crema di cacio e pepe, provola affumicata, e in uscita patate viola porchetta e mandarle, ma lei non è mai passata e quindi non l’ha assaggiata». Altro best, la Ornella Muti «con pomodoro San Marzano, fiordilatte, in uscita prosciutto cotto, burrata e basilico fritto». Insomma, pizze ricche. Ma alcuni artisti le preferiscono “light”.

Le pizze “light”

Ciro Di Maio, non solo la pizza Mano de Dios per Maradona. Intervista

La Cucina Italiana

Lo raggiungiamo in una delle poche, pochissime, pause che si prende dal lavoro. «Entro in pizzeria alle 9 di mattina e esco all’una di notte. Non prendo un giorno da mesi e sono felice così», dice. E così è sempre stato: 33 anni di cui 19 trascorsi a impastare, Ciro Di Maio ha cominciato a fare pizze da piccolissimo, a 14 anni, perché già allora ha avuto bisogno di un’altra strada. Un’alternativa dopo un’infanzia complessa nelle palazzine popolari dei sobborghi di Napoli con un padre con un passato burrascoso. Un padre che poi però ha trovato a sua volta una nuova strada e gli ha dato l’esempio, mostrandogli che una vita migliore passa anche dall’aiutare chi ha bisogno. Ciro ora a suo modo fa lo stesso con i detenuti, con i ragazzi che vivono nei quartieri disagiati in cui è cresciuto lui, con chi bussa alla sua porta. Insegna un’arte che per tanti è ancora la via del riscatto, formando nuove generazioni di pizzaioli a cui spiega che la pizza può essere anche un modo per raccontare se stessi, le proprie origini. Come ha fatto lui con la Mano de Dios, in fondo. Ne abbiamo parlato in questa intervista:

L’intervista al pizzaiolo Ciro Di Maio

Oltre che su Instagram, la pizza Mano de Dios è piaciuta nella realtà?
«Sta andando molto bene, ai clienti piace, un po’ perché è scenica un po’ perché è buona. La chiedono tanti napoletani che abitano a Brescia, ma anche tanti bresciani».

La citazione calcistica è immediata per tutti?
«Certo, è impossibile non conoscere Maradona. È stato un idolo. Io sono cresciuto guardando Maradona. Ricordo ancora che quando andavo a scuola sul bus trasmettevano i video dei suoi gol. Maradona non è stato solo un calciatore. È stato amore per il calcio, per la vita, per la gente. Ha unito unito Napoli e l’Argentina. Una volta ho chiesto a un cliente argentino “perché voi siete così forti a calcio?”, e lui ha risposto “perché abbiamo sangue italiano”».

Hai altre pizze particolari come questa in menù?
«Noi facciamo la classica ruota di carro, in tutti i gusti classici e con i prodotti tipici campani. Questa Mano de Dios è unica nel suo genere non solo per la forma, ma anche per la cultura che racchiude. Per me è un modo per raccontare Napoli».

Cosa ha significato per te portare l’arte della pizza napoletana fuori da Napoli?
«Per me ha significato tante cose: non solo far conoscere la pizza verace, ma anche la vera cultura napoletana. Ci sono ancora tanti stereotipi, ingiustificati, su Napoli e chi ci abita, e che con il nostro lavoro possiamo contribuire a smontare. Napoli è bella e brutta allo stesso tempo, come le persone che possono essere buone e al contempo cattive. Di sicuro se non fossi nato a Napoli non sarei quello che sono. C’è un detto che dice che “O napulitan se fa sicc’ ma nun mor“, cioè “il napoletano può diventare pelle e ossa ma non morire”. Sappiamo resistere, anche nella povertà assoluta. Come tutti abbiamo da imparare, ma credo che l’unicità dei napoletani stia anche nella capacità di rialzarsi. Un po’ come ho fatto io».

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