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Fancy Food Show 2022 da New York: Italia protagonista

Fancy Food Show 2022 da New York: Italia protagonista

È il trionfo di tutto qui a New York, è il Fancy Food Show 2022.

Dopo due anni di stop forzato, l’architettura folle del Javits Convention Center torna finalmente a riempirsi di un’incalcolabile folla di espositori e di visitatori.

E lo fa, peraltro, in un’edizione che non segna “soltanto” la rinascita in presenza (e si spera mai più in videoconferenza!), ma che si consegna alla storia come un’autentica ode all’Italia e alla cucina italiana.

Proprio a noi, infatti, è dedicata la straordinaria rassegna di quest’anno, che ospita sì tutti i Paesi del mondo, ma che mette l’Italia al centro, come “Paese d’onore” appunto.

Ad aprire le danze della festa, la nostra Ambasciatrice negli Stati Uniti Mariangela Zappia, che dà il benvenuto alle oltre 300 aziende italiane, che ringrazia di cuore gli organizzatori della Specialty Food Association, che sorride a tutti, come solo una elegante e magnifica padrona di casa sa fare.

Poi tanti ospiti, tanti imprenditori e tanti temi.

Antimo Caputo, titolare dell’omonimo Mulino di Napoli, ne tocca e ne affronta parecchi: le difficoltà legate alle logistica e ai container a rilento nei porti, la “crisi del grano” figlia della guerra in Ucraina, il mercato americano ripartito, ricco e puntualmente denso di opportunità incredibili.

Questo, nota a margine ma importante, mentre Biden fa cadere tutte le restrizioni anti Covid: per essere qui, non soltanto non serve più il vaccino, ma non serve già più neanche un tampone negativo.

Si respira, insomma. E si ritrovano sorrisi e amici.

Il solito Ciro Iovine, ad esempio. Che canta e che strilla, in uno stand assediato d’affetto e di foto. Che sforna pizze, fritture, pasta, risate e Napoli. Che stringe forte tutti, con tutti che si stringono forte tra loro, tra loro e attorno al cibo.

Che sia prosciutto o parmigiano, che sia carne o che sia pesce, che sia Italia o che sia mondo.

Il cibo, il cibo è tornato.

E con lui anche New York, e con New York anche la vita.

Chef Giuseppe Bruno, patrimonio Italia a New York

Chef Giuseppe Bruno, patrimonio Italia a New York

Giuseppe Bruno si è inventato tutto un mondo. Anzi, se n’è inventati due: Sistina e Caravaggio. Situati entrambi nell’Upper East Side, tanti gli ospiti illustri

Un patrimonio.
Un patrimonio del gusto, dell’arte, dell’Umanità.
La cucina italiana che si mescola con New York, con dei Matisse da milioni di dollari, con una cantina di 200mila bottiglie di vino che, chissà, forse valgono ancora di più.

Giuseppe Bruno si è inventato tutto un mondo.
Anzi, se n’è inventati due: Sistina e Caravaggio.
Originario di Battipaglia, provincia di Salerno. Emigrato all’inizio degli anni ’80, alla carica americana assieme ai suoi fratelli. Ambasciatore del buono, ma anche del bello.

Due ristoranti che quasi meriterebbero le virgolette: sono, infatti, due musei a tutti gli effetti. Situati entrambi nell’Upper East Side, a una manciata di passi l’uno dall’altro e peraltro proprio a una manciata di passi da un altro museo, forse il più famoso del mondo, quel Metropolitan con cui in qualche modo si fondono, in un tutt’uno affascinante, interessante e squisito.

Entrare significa entrare in un’altra dimensione.
Se cercate l’atmosfera del mito di Manhattan, sta qui.
Se cercate l’autentica cucina italiana, sta sempre qui.

I prezzi non sono di certo una carezza, ma siete nel quartiere più chic della Grande Mela e, soprattutto, siete seduti dove si siedono abitualmente Michelle e Barack Obama, Hillary e Bill Clinton, Melania e Donald Trump, passando pure per Hollywood e dintorni tra Martin Scorsese, Robert De Niro, George Clooney, fino ai mostri dell’alta finanza come Larry Fink (CEO del fondo BlackRock), John Mack (ex CEO di Morgan Stanley) e Fabrizio Freda (CEO di Estée Lauder). In una parola sola, dunque? Il vertice.

E lo stesso Henri Matisse, in realtà, è…soltanto uno dei tanti. Donald Baechler ha decorato di suo pugno un’intera parete di Caravaggio. Frank Stella ha tracciato le sue preziose geometrie. Ellsworth Kelly ha fatto sfoggio del suo minimalismo. E infine Sandro Chia, italianissimo, ha impresso il suo neo espressionismo.

Insomma, definire Giuseppe Bruno l’Executive Chef di Sistina e Caravaggio è evidentemente riduttivo. Bruno è un genio che in quarant’anni non ha mai smesso di lavorare, di collezionare e di sognare. In grande, per sé e ancora di più per i suoi ospiti.

Punto di riferimento. Per i tanti giovani che lo osservano. Per tutti quanti noi che cerchiamo l’Italia in America.

Nota a margine, con tanto di ricetta.
Mentre scrivo, mangio insalata di mare cotta al vapore, guarnita con salsa vinaigrette di pomodori secchi, limone e finocchio.
Trionfo di aragoste, gamberi, calamaretti, cappesante, cozze e vongole.
Naturalmente con un tocco di olio extravergine di oliva a crudo, «Non faccio nomi perché non amo fare pubblicità, ma quell’olio mi costa più di un’eccellente bottiglia di vino!», grida Giuseppe divertito da qualche parte.
Deliziosa, leggera e salutare.

Cin. E la vita è servita.

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Foto di Luigi Gallo Artist

A New York il ristorante che non produce rifiuti

A New York il ristorante che non produce rifiuti

È un wine bar a Brooklyn basato su riuso, riciclo e compostaggio. Serve ostriche, formaggi e pesce in scatola e non c’è niente che va in discarica

Pensate a quanti rifiuti produciamo ogni giorno nelle nostre cucine e poi pensate a quanti ne produce, in proporzione, la cucina di un ristorante. Scarti di preparazione, confezioni e imballaggi degli alimenti, avanzi di cibo della clientela. Fortunatamente però, così come tanti di noi in questi ultimi tempi si stanno sforzando di condurre uno stile di vita più ecosostenibile, anche alcuni ristoranti stanno adottando pratiche virtuose per la riduzione dei rifiuti.

Rhodora, il wine bar newyorkese a spreco zero

Un esempio, come ha raccontato il New York Times, è il wine bar Rhodora di Brooklyn, a New York, che sta provando a lavorare a rifiuti zero per ridurre l’impatto ambientale della sua attività e per soddisfare le esigenze dei clienti più ecologisti. Un recente rapporto di ReFED, un’organizzazione no profit focalizzata sulla riduzione degli sprechi alimentari, ha scoperto che i ristoranti negli Stati Uniti generano circa 11,4 milioni di tonnellate di rifiuti alimentari ogni anno: «Non ha senso prendersi cura di qualcuno per una cena e poi riversare la produzione di rifiuti e di CO2 di quella serata su quella stessa persona», ha detto Henry Rich, proprietario del locale.

Progettualità green

Ma come riesce il wine bar a non produrre rifiuti? I proprietari hanno impiegato dieci mesi e 50mila dollari per progettare e attuare la loro rivoluzione green cambiando il modo di pensare e gestire il ristorante. La filosofia ruota tutto intorno alle azioni di riutilizzo-riciclo-compostaggio. Per prima cosa hanno bandito la plastica monouso e ricercato produttori locali che utilizzassero imballaggi sostenibili e compostabili, quindi hanno acquistato un trituratore di cartone che riduce le scatole di vino in materiale da compostaggio, poi hanno installato una lavastoviglie che trasforma il sale in sapone e utilizzano una pellicola alimentare in cera d’api invece di quella di plastica. Tutto lo staff è impegnato a pensare menu con i prodotti dei fornitori di zona che sposano la loro filosofia per esempio effettuando le consegne in bici in contenitori di plastica riutilizzabili. I menu sono di carta e quando cambiano o si usurano vengono trasformati in compost. Non ci sono cestini tradizionali per la raccolta di rifiuti, ma due contenitori per la raccolta di rifiuti difficili da riciclare, come gomme e plastiche, che si possono utilizzare per creare nuovi oggetti. Le bottiglie di vetro vengono recuperate da un servizio che si occupa di riciclo, i tappi di sughero vengono donati a chi li trasforma in suole di scarpe e in blocchi per praticare lo yoga.

Menu sostenibile

Nel menu, che si ispira ai tapas bar spagnoli, non mancano mai formaggi, scelti a pasta dura e che si conservano a lungo, verdure in salamoia e pesce in scatola (l’alluminio è facilmente riciclabile). Gli scarti di cibo diventano anch’essi compost da utilizzare come fertilizzante nei mini giardini del locale. Uno studio ha stimato che i ristoranti risparmiano in media 7 dollari per ogni dollaro investito in pratiche di riduzione dei rifiuti alimentari in cucina. Il sistema di Rhodora non è ancora perfetto ma i proprietari sperano di ispirare tante persone a non produrre rifiuti «perché è così meravigliosamente semplice non avere spazzatura da portare in discarica».

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