Nel confronto con le famiglie, con gli operatori della scuola, con i medici, con i ragazzi che fanno esperienza con i disturbi del comportamento alimentare emerge forte l’importanza di dare attenzione a ciò che non si vede, a ciò che non è facile vedere. La paura di non essere accettati, di non sentirsi all’altezza, l’ossessione di doversi riconoscere in un modello che diventa stereotipo, la presa di coscienza di sentirsi fallibili, non performanti. Allo stesso tempo, dalle storie di chi è stato male ed è riuscito rimettersi in cammino, dalle testimonianze dei genitori e dei professionisti che li hanno affiancati emerge la percezione che convivere con la nostra fragilità ci aiuta a dare senso alla nostra intuizione, alla nostra vocazione, alla nostra unicità. Una strada impegnativa, che rende tutti più consapevoli, a volte molto stanchi. Ma, finalmente, golosi di identità.
Perché, sì, i disturbi alimentari non riguardano il cibo in sé, bensì sono un mezzo per arrivare a un disagio più profondo; un mezzo per cercare la propria identità. È così che tra le tante attività che Fondazione Cotarella sta portando avanti ci sono i Laboratori di cucina, nati in collaborazione con l’associazione Animenta (Associazione per i disturbi alimentari), che vedono come protagonisti ragazzi che hanno oramai superato la malattia o che sono ancora in cura. «Sono qui per dare la mia testimonianza diretta di quello che è successo dalla prima volta che io e Dominga ne abbiamo parlato», ha affermato Paolo Vizzari, narratore gastronomico, «ma sono anche testimone del mio terrore a riguardo perché sono stato un adolescente obeso e so cosa significhi lottare ogni giorno con il proprio peso. In questo anno Dominga ha conquistato la mia fiducia poco alla volta e, anche grazie al mio vissuto, abbiamo cominciato ad approcciare la gastronomia in modo utile. Insieme ad Aurora Caporossi, fondatrice di Animenta, abbiamo avviato i primi laboratori con alcuni chef per far recuperare il senso di meraviglia attorno al cibo. La mia più grande sorpresa è stato l’incontro tra due anime, lo chef e la persona malata, che interagiscono e si scambiano le proprie esperienze: si è creato un gioco di squadra dove entrambi sono membri della stessa nazionale che ha un nemico comune: la malattia».
I primi chef a supportare il progetto sono, come detto sopra, Alessandro Negrini e Fabio Pisani, chef del ristorante stellato Aimo e Nadia, dove a settembre 2022 c’è stato uno dei laboratori. Qui non sono gli chef a insegnare ai ragazzi, ma è apprendimento reciproco, in cui prospettive diverse si incontrano con un unico mezzo: il cibo usato per colorare la vita delle persone.