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Carovita: Top 10 degli aumenti dei prodotti alimentari

Carovita: Top 10 degli aumenti dei prodotti alimentari

Fare la spesa o andare al ristorante diventa sempre più caro, il carovita non perdona. Se pensavamo di aver passato il peggio durante il lockdown, sembra invece che le ripercussioni della pandemia stiano rivelandosi ora. La situazione è sicuramente aggravata anche dalla crisi alimentare provocata dalla guerra in Ucraina, che purtroppo non accenna a diminuire. A inizio mese, l’ISTAT ha reso noti i dati relativi ai maggiori rialzi annui e  le notizie non sono confortanti. La spesa media mensile per consumi delle famiglie residenti in Italia è stimata a 2.437 euro in valori correnti (2.328 euro nel 2020; +4,7%) ma la metà delle famiglie spende meno di 2.048 euro al mese.

A rielaborare i dati è stata l’Unione Nazionale Consumatori, che segnala come l’inflazione dei prodotti alimentari e delle bevande analcoliche sia decollata passando dal +6,4% tendenziale di aprile al +7,5% di maggio, con una variazione mensile dell’1,3%. Per essere più chiari, l’associazione ha elaborato i dati con esempi pratici: una famiglia composta da 4 persone subisce una stangata su base annua pari a 561,50 euro solo per mangiare e bere, mentre una coppia con 1 figlio scende di poco a 505 euro. Per quanto riguarda il tempo libero, segnamoci già che per andare al ristorante dovremo pagare il 4,6% in più dell’anno scorso.

Ecco la Top 10 degli aumenti dei prodotti alimentari:

prezzi di alcuni alimentari al ribasso

prezzi di alcuni alimentari al ribasso

L’emergenza Coronavirus comincia a fare sentire i primi contraccolpi sul prezzo (al ribasso) dei generi alimentari

Non è solo il clima, quest’anno, a stravolgere il mercato della frutta e della verdura (le primizie sono arrivate con un mese di anticipo, dopo l’inverno anomalo, con temperature bollenti e privo di precipitazioni significative). Anche l’emergenza Coronavirus, con tutte le norme stabilite per cercare di contenere l’epidemia, comincia a far sentire i primi – e già pesanti – contraccolpi sul commercio dei generi alimentari. Ristoranti, bar e locali per la ristorazione hanno dovuto chiudere i battenti, e molti dei prodotti di stagione che venivano utilizzati in grande quantità dalla ristorazione sono rimasti invenduti e adesso vengono proposti a prezzi davvero stracciati.

I prodotti invenduti

Un esempio è il pesce: i ristoratori di Milano, i principali acquirenti sul mercato italiano, non lo stanno acquistando. Ma, allo stesso tempo, i pescivendoli non possono disdire i contratti con pescherecci, perché rischierebbero di compromettere anche i loro accordi futuri. Il pesce, quindi, in questo momento si trova in vendita a un prezzo decisamente conveniente.

Un discorso analogo è valido anche per le fragole che, normalmente, vengono acquistate dalle pasticcerie e dai ristoranti: in questi giorni si possono acquistare a circa 3 euro al chilo, contro i 5 o 6 della scorsa settimana. Anche gli asparagi, in questa stagione, fanno di solito gola ai ristoratori, che li propongono volentieri in menu: oltre la metà della produzione viene assorbita dai locali. Quest’anno non succederà: adesso che è entrata nel vivo la raccolta in Puglia e in Maremma, è disponibile un’enorme quantità di prodotto, venduta a prezzi davvero minimi.

La mancanza di manodopera

La Coldiretti segnala anche un altro problema dovuto al Coronavirus: la mancanza di manodopera per i nuovi raccolti, anticipati per effetto dell’inverno caldo. «Con i vincoli alla circolazione tra Paesi è a rischio più di un quarto del made in Italy a tavola che viene raccolto nelle campagne da mani straniere con 370mila lavoratori regolari che arrivano ogni anno dall’estero, soprattutto dall’Europa dell’est, come Romania, Albania, Bulgaria e Polonia. Sono molti i “distretti agricoli” del nord dove i lavoratori immigrati rappresentano una componente bene integrata nel tessuto economico e sociale come nel caso della raccolta delle fragole e asparagi nel Veronese, delle mele in Trentino, della frutta in Emilia Romagna, dell’uva, delle mele, delle pere e dei kiwi in Piemonte, dei pomodori, dei broccoli, cavoli e finocchi in Puglia».

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