Tag: plastica

Rompere il ciclo della plastica in agricoltura si può?

La Cucina Italiana

Dobbiamo parlare del ciclo della plastica. I prodotti in plastica sono diventati uno strumento comodo in molti settori della vita, anche nell’agricoltura. La plastica viene utilizzata per qualsiasi cosa, dai vassoi per le piantine ai tubi per l’irrigazione, dai contenitori per i pesticidi ai sacchi per il mangime del bestiame. Tuttavia, la sua proliferazione ha portato a crescenti problemi ambientali che minacciano la salute del suolo, la qualità dell’acqua e il benessere umano.

Rompere il ciclo della plastica

Alla fine del 2021, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) ha pubblicato un importante rapporto che valuta l’uso della plastica in agricoltura. Il rapporto ha calcolato che, nel 2019, le catene di valore agricole hanno utilizzato 12,5 milioni di tonnellate di prodotti in plastica nella produzione vegetale e animale e 37,3 milioni di tonnellate negli imballaggi alimentari.

«Abbiamo stimato che i settori della produzione vegetale e dell’allevamento hanno contribuito insieme con 10 milioni di tonnellate, seguiti dalla pesca e dall’acquacoltura con 2,1 milioni di tonnellate e dalla silvicoltura con 0,2 milioni di tonnellate», ha dichiarato Richard Thompson, Specialista FAO in materie plastiche e sostenibilità agricola e uno degli autori del rapporto. «La domanda mondiale di pellicole per serre, pacciamatura e insilamento dovrebbe aumentare di circa il 50% entro il 2030», ha aggiunto.

La vita ultraterrena delle plastiche agricole

Ma dove va a finire tutta questa plastica una volta che ha esaurito il proprio scopo? I dati esistenti indicano che solo una piccola parte della plastica agricola viene raccolta e riciclata, mentre la maggior parte viene interrata o messa in discarica, con conseguenti impatti negativi sugli ecosistemi, sulla biodiversità e sulla salute umana.

È allarmante che molte plastiche non vengano smaltite affatto. Un buon esempio sono le pellicole per la pacciamatura, che gli agricoltori usano comunemente per coprire il terreno e aiutare a regolare la temperatura, conservare l’umidità e sopprimere la crescita delle erbe infestanti. Queste pellicole possono essere difficili da recuperare dopo il raccolto e spesso lasciano residui di plastica nel terreno che causano erosione, riduzione dell’infiltrazione dell’acqua e diminuzione dell’attività microbica.
Le plastiche abbandonate tendono a degradarsi in particelle più piccole, note come microplastiche. Le microplastiche possono accumularsi nel suolo e danneggiare gli organismi benefici, come i lombrichi e i funghi micorrizici, essenziali per la salute del suolo e la crescita delle piante. Possono anche trasferirsi e accumularsi nelle catene alimentari, minacciando la sicurezza alimentare e potenzialmente la salute umana.  
Secondo Lev Neretin, responsabile FAO del programma Bioeconomia per l’alimentazione e l’agricoltura sostenibili, «dobbiamo monitorare meglio le quantità di prodotti in plastica che vengono utilizzati e che si disperdono nell’ambiente e promuovere modelli più responsabili in agricoltura, come la bioeconomia sostenibile e circolare».

Potenziale della bioeconomia

La bioeconomia sostenibile e circolare – basata sull’uso responsabile ed efficiente di risorse biologiche rinnovabili come piante, alghe, funghi e batteri – offre soluzioni promettenti per migliorare la sostenibilità della plastica utilizzata in agricoltura.
A monte, in alcuni casi potrebbe essere semplice eliminare la plastica: ad esempio utilizzando colture di copertura e residui vegetali come la paglia al posto dei pacciami di plastica. Ma si potrebbe anche passare all’utilizzo di plastiche a base biologica, che sono interamente o parzialmente prodotte da risorse biologiche. Le plastiche biobased possono essere meno tossiche e avere un’impronta ambientale e di carbonio inferiore rispetto alle loro equivalenti a base di petrolio. Tuttavia, permangono alcuni problemi legati ai costi, alla separazione dei rifiuti, alla biodegradabilità e alla compostabilità delle plastiche biobased.
Per questo motivo le opzioni biodegradabili e compostabili – quelle che possono essere scomposte da microrganismi presenti in natura come batteri e funghi – sono ancora raccomandate per alcuni sistemi agricoli e operazioni di pesca, soprattutto quando la plastica non può essere evitata, ovvero non può essere sostituita con materiali riutilizzabili o più durevoli e non può essere facilmente recuperata.
Guardando più a valle, il biorisanamento – in cui organismi viventi come piante e batteri vengono utilizzati per ridurre la contaminazione da microplastiche e altri inquinanti – è un esempio innovativo di una promettente applicazione della bioeconomia che può aiutarci ad affrontare l’inquinamento. Diversi studi hanno confermato che alcuni microrganismi e piante possono rimuovere micro e nanoplastiche dal suolo o dall’acqua.

Cosa sta facendo la FAO

Dato che molti rifiuti di plastica possono essere attribuiti ai sistemi agroalimentari, la FAO sta progettando soluzioni e sostenendo i governi nella gestione sostenibile delle plastiche agricole. Un buon esempio è il progetto Financing Agrochemical Reduction and Management (GEF FARM), finanziato dal Fondo Globale per l’Ambiente, attraverso il quale la FAO sta sostenendo il Kenya e l’Uruguay nel rafforzare le politiche e i quadri normativi per ridurre e migliorare la gestione dei prodotti agrochimici e delle materie plastiche utilizzate in agricoltura.

Nel settore della pesca, il programma GloLitter Partnerships, che la FAO conduce insieme alla Norvegia e all’Organizzazione Marittima Internazionale, assiste i Paesi in via di sviluppo, compresi i piccoli Stati insulari in via di sviluppo (SIDS) e i Paesi meno sviluppati (LDC), nell’identificare le opportunità per la prevenzione e la riduzione dei rifiuti marini. Il programma sostiene il rafforzamento delle capacità, le riforme politiche e istituzionali, le misure di gestione dei rifiuti portuali, la prevenzione dello scarico degli attrezzi da pesca e l’incremento dei partenariati pubblico-privato e delle migliori pratiche.

All’orizzonte

Con la plastica in cima all’agenda ambientale, la FAO sta sostenendo i Paesi nelle delibere in corso del Comitato intergovernativo di negoziazione per sviluppare un trattato giuridicamente vincolante per porre fine all’inquinamento da plastica. La FAO sta anche assumendo un ruolo guida a livello mondiale per sviluppare un nuovo Codice di Condotta Volontario sull’uso sostenibile della plastica in agricoltura.

Nel frattempo, anche noi possiamo fare la nostra parte. Esistono molte soluzioni innovative e creative per affrontare l’inquinamento da plastica e il suo impatto sulla salute umana e ambientale. 

Fonte Fao

Coronavirus, i guanti di plastica distruggono l’ambiente

Coronavirus, i guanti di plastica distruggono l’ambiente

Spesso non vengono smaltiti in maniera responsabile. Simili ai sacchetti, presto raggiungeranno fiumi e mari trasformandosi in cibo per la fauna marina. E possono anche diffondere il contagio

Se non sono usati correttamente, possono addirittura trasformarsi in veicolo per la diffusione del coronavirus. E se non vengono smaltiti in modo responsabile, porteranno a un vero e proprio disastro ambientale, con lo sterminio di tante creature innocenti. I guanti di plastica possono essere utili, ma non in tutte le circostanze e solo a patto di rispettare le regole per il loro uso. Lo sottolinea l’associazione Plastic Free, che ha lanciato una petizione diretta a Sergio Costa, ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, che è già stata firmata da quasi 6mila persone.

«Pensi che servano davvero i guanti in plastica se poi tocchiamo ogni cosa? Soprattutto quando andiamo a fare la spesa, con gli stessi guanti usciamo di casa, guidiamo l’auto, tocchiamo il carrello, poi il telefono per leggere la lista della spesa, poi la spesa, i soldi o la carta di credito per il pagamento. Una volta tolti, tocchiamo nuovamente la spesa e il cellulare senza problemi. Davvero pensi che l’utilizzo dei guanti in plastica siano davvero efficaci?», si legge nel testo. In effetti, bisognerebbe anche ricordare che il virus sopravvive fino a 72 ore sulla plastica. Lo spiega anche l’Istituto superiore di sanità (Iss), che sul suo sito scrive che l’uso «dei guanti, come quello delle mascherine, aiuta a prevenire le infezioni ma solo a determinate condizioni. Diversamente, il dispositivo di protezione può diventare un veicolo di contagio».

Sì ai guanti a patto che «non sostituiscano la corretta igiene delle mani che deve avvenire attraverso un lavaggio accurato e per 60 secondi, siano ricambiati ogni volta che si sporcano ed eliminati correttamente nei rifiuti indifferenziati, come le mani, non vengano a contatto con bocca naso e occhi, siano eliminati al termine dell’uso, per esempio, al supermercato, e non siano riutilizzati».

L’altro enorme problema è la loro dispersione nell’ambiente. «Nella maggior parte dei casi, il loro utilizzo si circoscrive all’interno dei centri commerciali dove a fine utilizzo vengono lasciati nei carrelli, gettati in secchi della spazzatura senza coperchio o lasciati a terra. Un colpo di vento e vanno ovunque», dice ancora la petizione.

«La situazione sta davvero sfuggendo di mano. L’uomo e la plastica non vanno d’accordo, non lo sono mai andati. Il coronavirus doveva farci riflettere sull’importanza del nostro pianeta, ma non è andata così. L’inquinamento e l’inciviltà è aumentata, il senso di responsabilità per avere un mondo migliore è scomparso. I guanti in plastica monouso, spesso simili a bustine, sono ovunque e presto raggiungeranno fiumi e mari trasformandosi in cibo per la fauna marina. Cosa significa questo? Disastro ambientale e sterminio di tante creature innocenti».

L’unico modo per «fermare questa catastrofe», dice l’associazione, è smettere di utilizzare i guanti di plastica e, piuttosto, appena usciti dal supermercato, igienizzarsi le mani con un disinfettante gel prima di toccare il volante dell’auto o prendere il telefono.

Proudly powered by WordPress