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Stoccafisso, baccalà e i piatti di magro che hanno cambiato la (nostra) storia

Stoccafisso, baccalà e i piatti di magro che hanno cambiato la (nostra) storia

Il piatto più diffuso in tutta Italia non è la pizza, la pasta o il risotto, ma il baccalà. Il merluzzo dei mari del Nord, conservato essiccato o sotto sale, che dal XV secolo viaggia dalla Norvegia sino a Vicenza, Napoli, Reggio Calabria… ed è diventato una pietra miliare di tutte le cucine regionali. Esiste una versione di baccalà (merluzzo salato) o di stoccafisso (essiccato) quasi in ogni città d’Italia: alla messinese, alla genovese, alla bolognese, alla romana, all’abruzzese, alla ligure, all’anconetana… Guardando ai ricettari antichi però, Bartolomeo Scappi, cuoco di Pio V vissuto nel Cinquecento, non ne parla praticamente mai, mentre diventa più facile trovare il baccalà nei ricettari più recenti. L’Artusi a fine Ottocento ne conta ben sette ricette, segno che nel giro di tre secoli la diffusione era diventata capillare: alla fiorentina, alla bolognese, in gratella, fritto, dolceforte, come cotoletta e montebianco (alias, mantecato). Il motivo? Religioso.

I precetti della Chiesa

Il motivo di questa diffusione così capillare è dovuto alla sua conservabilità – fondamentale in epoca in cui i frigoriferi erano lungi dall’essere inventati –, ma soprattutto un motivo religioso. Chi ha più di 40 anni ricorda ancora che il venerdì era il giorno in cui si mangiava pesce, “di magro”. Anche se oggi questa usanza è quasi scomparsa, è stata una costante della cucina italiana per secoli. La religione ha sempre governato il rapporto fra gli uomini e il cibo. Fra i cinque precetti generali della Chiesa, il quarto impone il digiuno in giorni stabiliti e l’astensione dalla carne, cibo che nel Medioevo assume anche la connotazione di barbaro. Per la religione cattolica l’anno veniva scandito da giorni di digiuno, altri in cui far penitenza astenendosi da alcuni cibi, grassi, e giorni di festa, in cui poter consumare liberamente. Nei giorni di magro, ci si asteneva dalla carne, dal lardo, ed erano invece consentiti latticini e pesce, l’olio preferito al burro; ossia con regole però difficilmente gestibili dalle classi più popolari o da chi viveva in latitudini che rendevano impraticabili queste restrizioni.

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L’Italia, una repubblica fondata sul baccalà (e sullo stoccafisso)

La Controriforma di Lutero e il Concilio di Trento

Nel 1517 Martin Lutero affisse le sue 95 tesi alle porte del duomo di Wittemberg, accusando la chiesa cattolica di predicare bene, ma di razzolare molto male. «A Roma si fanno beffe del digiuno mentre ci obbligano a consumare olio d’oliva che non userebbero nemmeno per ingrassare la pelle delle loro scarpe e ci vendono il permesso di mangiare del grasso», scriveva Lutero. «Mangiare il burro sembra più grave che mentire, bestemmiare o commettere atti impuri». I protestanti cominciarono a rifiutare le regole alimentari troppo restrittive e i giorni di digiuno, riappropriandosi della dieta locale. Le accuse e le successive proteste smossero la Chiesa Cattolica a intraprendere riforme, oggetto del Concilio di Trento. Cominciò nel 1545 e durò quasi vent’anni, non fece abbastanza per riuscire a ricomporre lo scisma protestante, ma ci regalò il precetto ancor più stringente del “mangiar di magro” e una maggiore sobrietà in tavola seguendo le regole monastiche. Quanti giorni? Il venerdì, ma non solo, anche il mercoledì, durante la Quaresima, nella vigilia delle feste tanto che i giorni di magro arrivarono fino a 150 all’anno.

Pesce bianco, simbolo di purezza e sobrietà

Il cibo divenne ancor di più non solo nutrimento per il corpo, ma anche per l’animo, alcuni vengono beatificati altri guardati con sospetto. Le carni lussuriose e grasse, inducevano al peccato, mentre il pesce, magro e bianco, a una condotta retta. Ma se il pesce fresco era appannaggio quasi esclusivo di ricchi e popolazioni costiere, il pesce salato come le acciughe in barile o le aringhe (primo pesce non Mediterraneo a essere stato importato su larga scala) non erano sufficienti a sfamare un’intera popolazione. Il pesce era un cibo nobile anche perché leggero, ma poco nutriente quindi e poco utile alle classi non abbienti. Ed ecco che un certo padre Olaus Magnus di origini svedesi suggerì al Concilio l’uso di «pesce detto merlusia, essiccato ai venti freddi». Intuizione? Pare che il prelato commercializzasse di famiglia i preziosi pesci, tanto da essere stato ospite a Venezia per lungo tempo, proprio a casa della famiglia Querini. La famiglia del capitan Piero Querini che nel 1432 era naufragato fino a finire «in culo mundi», ovvero nel nord della Norvegia, ed era tornato indietro importando i primi sessanta stoccafissi nella città di Venezia, ma l’accoglienza non era stata da subito entusiastica. Con il Concilio di Trento invece lo stoccafisso si diffuse per tutta la penisola e in Paesi fortemente cattolici come Spagna e Portogallo. L’aringa invece, molto diffusa nei paesi della Controriforma, venne pressoché abbandonata. 

Dal Sedicesimo secolo l’Europa si può dire che si divise in due: carne, lardo, burro, a nord. Olio, pesce, cereali e verdure, a sud. Una cesura fra storia Medioevale e storia Moderna della cucina. Oggi, nel pieno della storia contemporanea della cucina, baccalà e stoccafisso hanno ripreso posto nei menù dei ristoranti stellati e vengono venduti in ogni supermercato, anche già ammollati e pronti all’uso. Perché mangiare “di magro” 150 giorni all’anno è tornato (fortunatamente) di moda.

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Il merluzzo in 50 ricette

Lo stoccafisso accomodato, il pesce cucinato come si usa fare a Genova

Lo stoccafisso accomodato, il pesce cucinato come si usa fare a Genova

È un piatto tipico della tradizione genovese, fatto con patate, pomodori e pinoli

I genovesi sono da sempre abituati a trattare il pesce come un alimento preponderante nella loro cucina e nelle loro ricette più tradizionali spesso compaiono prodotti non proprio locali, come in questo caso il merluzzo, che è un pesce tipico dei mari del nord. La ricetta dello stoccafisso accomodato mette insieme la tradizione nordica con i prodotti liguri, a cominciare dai pinoli e dall’olio di oliva, per un risultato davvero interessante.

Lo stoccafisso, il merluzzo seccato all’aria

Si fa spesso confusione su cosa siano lo stoccafisso e il baccalà. In realtà sono entrambi merluzzi, ma lavorati in diversa maniera. Lo stoccafisso è il pesce che, appena pescato e pulito, viene lasciato essiccare all’aria aperta sulle isole a nord della Norvegia, per 4 mesi, da febbraio a maggio. Una volta disidratato si conserva a lungo, mantenendo intatte tutte le sue proprietà. Prima di consumarlo va ammollato per diversi giorni, cambiando più volte l’acqua. Il baccalà è, invece, il merluzzo messo sotto sale. Anche la salatura era un mezzo per conservare il pesce in mancanza di refrigerazione. Come per lo stoccafisso, anche il baccalà si consuma previo ammollo per almeno 48 ore. Le sue carni hanno un sapore meno deciso di quelle dello stoccafisso.

Stoccafisso accomodato

La ricetta dello stoccafisso accomodato

Ingredienti
700 g stoccafisso bagnato, olio di oliva, 2 spicchi di aglio, 2 patate, 3 pomodori maturi, una manciata di uvetta sultanina, 100 g pinoli, sale, pepe, prezzemolo tritato.

Procedimento
Ammollate l’uvetta in acqua tiepida. Togliete le lische allo stoccafisso e poi tagliatelo a pezzetti. In una padella fate rosolare l’aglio in poco olio extravergine e, quando sarà imbiondito, aggiungete i pezzi di stoccafisso. Unite anche i pomodori puliti e tagliati a pezzetti, coprite con un coperchio e lasciate cuocere per due ore, aggiungendo poca acqua se necessario. Trascorso questo tempo, mettete anche le patate, pelate e affettate, l’uvetta strizzata e i pinoli. Mescolate e lasciate cuocere per un’altra ora. Fuori dal fuoco aggiungete il prezzemolo. Alla fine della cottura, l’intingolo dovrà essere ristretto.

Nel tutorial qualche suggerimento per preparare lo stoccafisso accomodato

 

Stoccafisso Alla Mediterranea

Tritate una cipolla, uno spicchio d’aglio e un ciuffetto di prezzemolo. In un tegame scaldate mezzo bicchiere d’olio, fatevi insaporire il composto tritato, poi adagiate nel recipiente lo stoccafisso sgocciolato tagliato a pezzi piuttosto grandi e cuoceteli 5 minuti per parte. Aggiungete i pelati spezzettati, sale e pepe, cuocete ancora per 10 minuti. Lavate, dissalate e diliscate le acciughe, riducetele a pezzetti, unitele alla salsa. Quando sono disciolte, fate ancora insaporire per 5 minuti e, un minuto prima di togliere il recipiente dal fuoco, unite un cucchiaio di capperi interi. Vini di…

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