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Montevecchia e il Parco del Curone, la Brianza da scoprire

La Cucina Italiana

Così scriveva Stendhal di Montevecchia: «All’orizzonte si scorge il Duomo di Milano, e sullo sfondo una linea azzurra disegnata dalle montagne di Parma e Bologna. Ci troviamo in cima a una collina. A destra vista stupenda, pianura fertile, roccia e due o tre laghetti a sinistra l’altra vista magnifica che, nei dettagli, è l’opposto dell’altra; con le colline e la Madonna di Montevecchia. Sul davanti, questa bella Lombardia con tutto il lussureggiare della sua verzura e delle sue ricchezze. L’occhio si perde trenta miglia più in là, tra le brume di Venezia».

La vista che si stendeva ai piedi di Stendhal due secoli fa non era certo la stessa che si apre oggi agli occhi di chi visita Montevecchia. Lo skyline della metropoli segna in modo definito il paesaggio, tracciando un profilo immediatamente riconoscibile. Eppure ancora oggi quella vista incanta, ancora oggi quegli spazi riempiono gli occhi. E Milano è talmente vicina che sembra di poterla toccare. O meglio: Montevecchia con le sue bellezze e il suo respiro è a un passo dal capoluogo. Pochi minuti di macchina e ci si ritrova in un altro mondo, una cornice perfetta per una gita fuori porta, per un picnic, per una passeggiata o una corsa in bicicletta, per un pranzo all’aria aperta.

Montevecchia: cosa vedere

Alle parole di Stendhal fa eco Mario Soldati, che scrive: «Quella delle terrazze di Montevecchia è tra le più belle posizioni della Brianza: uno spalto altissimo, un balcone che si erge, fuori dalle nebbie, e si affaccia dritto a sud; nelle giornate di vento si vede dalla Cisa al Monte Rosa». È proprio la posizione a dare nome a questa località: Mons vigiliarum, veniva detta in epoca romana, perché qui le vedette vigilavano dall’alto sulle strade e sui passaggi che attraversavano l’Adda. E la vista è certo una delle prime attrattive di quella che viene comunemente chiamata “la prima montagna di Milano”. Ma non è l’unica. Questo spicchio verde tra la città e il lago di Lecco si offre infatti per molteplici opportunità.

Gli appassionati di arte possono visitare il Santuario della Beata Vergine del Carmelo, seicentesco, posto sulla sommità del colle: centottanta gradini fiancheggiati da tigli e ligustro portano al santuario e consentono, ancora una volta, di apprezzare il meraviglioso panorama. Chi ama i misteri nella Valle del Curone potrà invece ammirare le misteriose piramidi, formazioni collinari con caratteristiche simili per disposizione e orientamento alle piramidi egizie della Piana di Giza: si tratta di colline artificiali, costruite dall’uomo in epoca remota (si ipotizza fra i 3mila e i 10mila anni orsono) e usati come siti astronomici già dalle popolazioni celtiche. I naturalisti dilettanti proprio nel Parco regionale di Montevecchia e della Valle di Curone troveranno modo di osservare specie rare di animali, come la salamandra e il tasso, e soprattutto la rarissima rana di Lataste, mentre gli sportivi troveranno itinerari da percorrere a piedi o in bicicletta. Chi è abituato a osservare la natura non potrà non notare il particolare microclima di Montevecchia: qui in inverno più si sale e più fa caldo, tanto che si possono coltivare essenze mediterranee, come il basilico, la salvia, il timo e il rosmarino, oltre alla vite. Che dà un ottimo vino. È anche questo a rendere la gita a Montevecchia gastronomicamente molto interessante.

Cosa mangiare (e dove) a Montevecchia

A Montevecchia si va anche e soprattutto per mangiare bene. A Montevecchia i Milanesi e i Monzesi da sempre vanno a comprare i furmagitt, “formaggini”, quelli che vengono chiamati anche “caprini”, pur se in realtà sono prodotti quasi sempre con latte vaccino: secondo alcuni il nome è da ricollegare semplicemente alla forma, secondo altri al fatto che una volta i furmagitt si preparavano con latte di capra. E poi a Montevecchia c’è il vino buono, il miele, le erbe, gli ortaggi. Così una gita fuori porta si trasforma in un’occasione di shopping enogastronomico. L’Azienda Agricola Il Ceresè apre le sue porte a chi vuole comprare specialità come il delizioso salame di capra, i formaggi freschi e stagionati, il vino di una piccola e curatissima produzione, e ancora le confetture, il miele, le uova. Per i latticini un indirizzo da tenere a mente è quello della latteria Maggioni, mentre per il miele non va dimenticata l’azienda Agricola Chelidonia. Ancora vino, ma anche frutta e verdura di stagione alla Cascina Limonta, dove è possibile anche pranzare o fare uno spuntino con i prodotti tipici della zona.

Del resto chi vuole ristorarsi con ottimo cibo a Montevecchia non ha che l’imbarazzo della scelta. La Costa offre la possibilità di soggiornare, di comprare specialità del territorio e vini locali, di vivere esperienze che vanno dalla visita guidata in vigna al corso di panificazione e soprattutto di sedersi ai tavoli del ristorante Galbusera Nera e gustare i piatti di una cucina lenta, attenta, stagionale. Qualche esempio? Ravioli al ragù bianco con piselli e mascherpa stagionata, maltagliati con pesto di aglio orsino, arrosto di coppa al rosmarino con crostoni di polenta, senza dimenticare i dolci, i formaggi e i salumi. Sempre nel Parco si può scegliere l’Oasi di Galbusera Bianca, agriturismo bio di charme, dove assaporare piatti realizzati con i prodotti biologici della stessa azienda; e alle proposte gourmet come il Risotto al Resegone e mela verde con polvere di rapa rossa e gocce di aceto balsamico o lo Sformato di patate alla noce moscata con cuore di cipolla stufata su salsa al pomodoro, timo e sesamo nero  si affianca l’irresistibile Pic-nic all’Oasi, un cestino di prelibatezze da gustare sotto gli alberi da frutto dell’azienda. Ancora, la Cascina Bagaggera offre la possibilità di degustare taglieri di salumi e formaggi prodotti in loco in mezzo alla natura: un pranzo in campagna ideale per famiglie con bambini; prodotti da forno, salumi, formaggi si possono anche acquistare e portare a casa. Il panorama è un punto di forza per il ristorante Al Galeazzino, dove vengono serviti pochi semplici piatti tipicamente lombardi: polenta, uova fritte, salumi, cotechini e salamelle, e gli immancabili formaggi. In paese a Montevecchia la Trattoria da Pasqualino offre i sapori della vecchia Brianza: i risotti, da quello giallo a quello con i funghi, senza dimenticare quello con l’ossobuco; i grandi piatti locali, dal capriolo al brasato alle lumache, serviti rigorosamente con la polenta; i formaggi, il salame, il lardo e la bresaola.

Salone Nautico: dove mangiare bene a Genova

La Cucina Italiana

Il Salone Nautico o, più correttamente, il Salone Internazionale della Nautica, al di là del valore per gli addetti ai lavori, è un simbolo per Genova: la 62ª edizione si svolge dal 22 al 27 settembre, spartiacque tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno, con la speranza di vivere giornate calde. Perché buona parte della rassegna è all’aperto con decine di imbarcazioni bellissime nel marina, quasi tutte a motore. Una festa per gli appassionati vecchi e nuovi del mare, tra la realtà di un gommone e il sogno di un super yacht. Più facile, senza dubbio, un post Salone all’insegna del cibo e del vino, sedendosi in uno dei locali della città che dopo anni di stasi culinaria, sembra aver ritrovato la voglia di stupire tra nuove idee, azzeccate rivisitazioni o il rispetto della tradizione che conta anche qui, che sia Ponente, Levante o sotto la Lanterna.

Street food al top

Un buon consiglio è arrivare al Salone già colazionati, ma alla genovese. Lo street food per eccellenza è la focaccia: quella di Recco al formaggio, la fugassa genovese, quella con le patate o la cipolla. L’ultima nasce come alimento dei quartieri più popolari di Genova dove è chiamata a fugàssa co-e çiòule. Era (guarda caso) la colazione usuale degli scaricatori del porto, molto economica e capace di saziare molto, in quanto la cipolla blocca i recettori dello stimolo della fame. Con un calice di vino bianco – u gianchettu – regala il massimo. Ma non trascurate la farinata, a base di ceci, cibo diffuso in tutta Italia con vari nomi. Con gli stessi ingredienti della farinata, salvo l’olio extravergine ligure ovviamente, si prepara la panissa da non confondere con il piatto piemontese.

Mare e terra

Bisogna ammettere che la cucina genovese (e ligure in generale) è una delle cucine più sottovalutate in Italia, con il luogo comune che sia dominata dal pesce. Ora è vero che i gamberi rossi di Santa Margherita e di Sanremo che sono eccezionali crudi, le acciughe di Monterosso – fritte, ripiene, marinate con un filo d’olio o nel famoso bagnun – e i gianchetti preparati a frittella sono eccezionali. E le ricette tradizionali sono popolari e di grande impatto: il ciupin (la zuppa di pesce), il brandacujun del Ponente a base di patate e stoccafisso, il ricco cappon magro con le verdure, i frisceu di baccalà. In realtà, la vera Liguria è cucina di terra, sostanzialmente povera, che sfrutta al meglio le verdure con l’asparago e il carciofo su tutti, le erbe (maggiorana, boraggine, basilico e quelle selvatiche per il preboggion), i formaggi tipici come il Brussu della Valle Arroscia e la Prescinseua destinata alla focaccia di Recco, il coniglio e la selvaggina.

Preparazione storiche

Una cucina dove un ruolo importante è giocato dalle torte salate, da consumare anche giorni dopo la preparazione: la Pasqualina (molto raffinata nella sua semplicità) è al vertice per storia e fama, anche fuori dalla Liguria. Ha qualcosa di religioso anche la Sacripantina, la torta soffice e liquorosa un tempo servita durante le festività: delizia tutta genovese, è composta da pan di Spagna imbevuto di rum, marsala e zucchero e ricoperto da diverse creme al burro. L’alternativa è il Pandolce, nato intorno al Cinquecento sotto la Lanterna, a seguito di una competizione tra maestri pasticceri indetta dal doge Andrea Doria, interessato a trovare un dolce che fosse a lunga conservazione e rappresentativo della Repubblica di Genova. C’è riuscito.

Tanti primi piatti

Detto questo, cosa ordinare a Genova? I primi hanno nelle trofie al pesto (altra tipicità ligure, che più terricola non si può) e nei pansotti al sugo di noci i piatti cult. Ma ci sono altre paste da assaggiare come le trenette – linguine a sezione ovoidale – o i corzetti genovesi, i testaieu della Val Graveglia e i testaroli della Lunigiana, la mescciua spezzina (zuppa di leguni e cereali) e il famoso minestrone alla genovese. C’è storia antica nel tuccu zeneize: il ragù preparato con un solo pezzo di carne – un tocco appunto – cotto per lungo tempo in (poca) salsa di pomodoro.  L’ideale è abbinarli ai mandilli, fazzoletti di pasta all’uovo, importati dagli arabi con cui i genovesi intrattenevano rapporti commerciali. Se il coniglio è il re delle carni, la ricetta più famosa della regione è la cima alla genovese che consiste in un pezzo di pancia di vitello, tagliata in modo da formarvi una tasca e farcito di numerosi e svariati ingredienti. Divertitevi insomma, pensando, alle barche viste (e magari acquistabili).

In pausa dal Salone Nautico, andate qui

Un posticino gestito da una brigata giovane, che punta tutto su una cucina del mercato, dove il pesce domina la carta: piatti diretti, freschi come le acciughe impanate e fritte che sono la specialità dell’insegna. Poi primi e dolci fatti in casa.

Tradizione e sobria creatività nel menù in questo locale di Sestri Ponente, con il pesce in pole position a partire dalle crudité. Menù vegetariano, valida cantina. Curiosità: il nome dell’insegna si riferisce alle tavole spesse di questo posto ultracentenario, ma sempre molto amato.

A Genova, bastano la parola e i 400 anni di cucina alle spalle. Stagionalità e tradizione le due stelle polari, interpretate secondo copione: bagnun di acciughe, mandilli al pesto, moscardini in umido, stoccafisso brandacujun…

Quando un locale dedica l’insegna a una delle più famose canzoni di Fabrizio De André, è evidente che ci sia sapore di Liguria. Cucina legata al territorio, con tocchi contemporanei come nelle tapas di baccalà.

Il mitico locale di Quarto, chiuso dal 2016, ha riaperto in chiave osteria moderna con un bancone da cocktail. La cucina non è integralista, attenta a conquistare un po’ tutti: la zuppetta di pesce del Bai e il gran fritto misto; il crudo di pesce e la battuta al coltello di Fassona; i tagliolini al pesto e il coniglio imperiale. Cantina di 300 etichette.

Anche a Genova ci sono locali fuori dagli schemi. Questo si distingue per la capacità  di contaminare i cibi della tradizione con tocchi stranieri come i pescetti secchi con l’insalatina orientale. Grande cantina di vini naturali.

Storica insegna – nata nel 1862 – rimasta fedele all’impostazione dei fondatori: si preparano solo piatti regionale come le paste con il pesto, la salsa di noci, i funghi; le acciughe e il coniglio; le verdure ripiene. Tutto da accompagnare ai vini liguri.

La summa di come deve essere un’osteria ligure: tanto legno, scaffali pieni di (buone) bottiglie, servizio caloroso e ovviamente una cucina fedele alla tradizione, con il plus di una sezione per carnivori che guarda al mondo.

Pesce, pesce e ancora pesce in questo locale – con piacevole dehors – dove la tradizione non esclude qualche spunto come i totanetti con verdure croccanti o i gnocchetti con salicornia, vongole e ricci.  Vini biologici.

Nella visione sin troppo turistica di Nervi, ecco una trattoria familiare, con 50 anni di attività: buona cantina e una qualità costante dei piatti. Carta orientata sul pescato del giorno, i primi classici come i ravioli di pesce e una Sacripantina perfetta.

Bosco, orto, cascina, stalla e acqua – parole loro – sono i fornitori della famiglia che gestisce da sempre l’osteria più amata di Bolzaneto. Niente voli pindarici, tanta ottima sostanza che sia la cima genovese integralista o la grigliata mista di pesce.

L’avanguardia della cucina ligure: il giovane Marco Visciola – chef con valide esperienze – sta riscrivendo la cucina ligure con passione (è nato a Bogliasco), grande tecnica e il giusto pizzico di provocazione in ogni ricetta. Cantina con tante etichette interessanti, il locale si trova all’ultimo piano di Eataly con una splendida vista su Porto Antico.

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