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Toast diviso in due: il sovrapprezzo è legale? L’avvocato risponde

La Cucina Italiana

La storia del toast diviso in due per 2 euro in più sta dividendo anche i social. Arriva dal comasco, da Gera Lario, dove una coppia si è ritrovata inaspettatamente a pagare un sovrapprezzo per un servizio che non avrebbe mai immaginato di dover pagare. Tutto documentato dallo scontrino: è stato pubblicato su Tripadvisor dai clienti arrabbiati e, accanto alla voce “diviso a metà”, compare chiaramente il costo: 2 euro, appunto.

Così l’avventura della coppia ha fatto il giro delle bacheche, prima di arrivare ai giornali locali che hanno approfondito riportando anche la versione del bar. «Se un cliente mi chiede di fare due porzioni di un toast devo usare due piattini, due tovaglioli e andare al tavolo impegnando due mani. È vero che il cliente ha sempre ragione, ma è altrettanto vero che le richieste supplementari hanno un costo», ha provato a giustificarsi il gestore. Ha ragione lui o il cliente? Come comportarsi se ci si ritrova in situazioni simili? Lo abbiamo chiesto ad Alessandro Presicce, avvocato e presidente provinciale della sezione di Lecce di Adoc (Associazione per la Difesa e l’Orientamento dei Consumatori).

Toast diviso in due: il sovrapprezzo è lecito?

«Facciamo una premessa: di questa storia ci mancano alcuni elementi», dice l’avvocato Presicce. «Per quel che sappiamo, a mio parere c’è premeditazione: per impostare sul registratore di cassa la voce “diviso a metà”, chiaramente indicata sullo scontrino diventato virale sui social, serve del tempo, e dubito che il cameriere o chi per lui l’abbia fatto ad hoc per la coppia protagonista di questa vicenda. Evidentemente, perciò, era una voce già impostata che ha utilizzato per calcolare il conto finale».

Il caso in cui il ristoratore ha ragione 

«Il punto legale però è un altro: la maggiorazione nel caso di portate divise è indicata sul menù? Questo non lo sappiamo ma, se è indicato il ristoratore ha senza dubbio ragione», prosegue Presicce. «Quando ci si siede in un ristorante, infatti, è come se tacitamente si sottoscrivesse un contratto in cui il gestore detta delle regole di ingaggio e il cliente, nel sedersi e nell’ordinare, le accetta. Se tra queste regole c’è anche il surplus per extra come questo, il cliente non può fare altro che pagare», prosegue l’avvocato. E c’è di più: il ristoratore può decidere arbitrariamente la cifra per il servizio, per quanto di poco conto possa apparire agli occhi di un cliente: «Non ci sono regole che dettano il prezzo, in questi casi», prosegue infatti l’avvocato Presicce. 

Il caso in cui il ristoratore ha torto (ma…)

Cosa succede, però, se sul menù non c’è nessuna voce che specifichi di dover pagare una maggiorazione per servizi di questo tipo? «In questo caso viene meno il principio di trasparenza e correttezza al quale il ristoratore deve attenersi nei confronti del cliente. Di qualsiasi tipo siano, le regole vanno sempre chiarite», puntualizza Alessandro Presicce. Il fatto, però, è che gli strumenti a nostra disposizione non sono molti. «In questi casi il cliente può decidere di non pagare. Se, però, a sua volta il ristoratore si impunta, e non si riesce a trovare un accordo, si può ricorrere al Giudice di Pace, perché non esiste un’autorità pubblica, amministrativa, che sovrintende il mercato per casi come questo», continua ancora Presicce. «L’avvocato scriverebbe negli atti che, non essendo previsto, il costo della maggiorazione non era preventivatile e quindi non deve essere pagato. Si tratta però di un caso di scuola: cause come queste sono troppo costose, e non varrebbe la pena intentarle».

Cosa può decidere il ristoratore e cosa no

Ma se il ristoratore può imporre delle regole, perché la maggiorazione per servizi come questi è consentita, e non lo sono – ad esempio – il dress code o il divieto di ingresso ai bambini? «Il ristoratore può anche scrivere sul suo sito o su un cartello che nel suo locale si richiede abito da cocktail e che i bambini non sono graditi, ma non può certo impedirgli di entrare, in quanto somministra un servizio di primaria necessità. Senza contare che certi divieti potrebbero essere discriminatori. Dato che però il ristorante, per quanto locale pubblico, resta di proprietà privata, ha carta bianca sulle regole da rispettare se ci si siede e si accetta di mangiare o bere».

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Pagamenti con il pos: la maggiorazione è legale? Il caso

La Cucina Italiana

Un euro in più per aver saldato con il Bancomat: l’ultima singolare storia sui pagamenti con il pos arriva da San Donà di Piave, in provincia di Venezia. Protagonista una donna che ha fatto colazione seduta al tavolo in un bar del paese e che, quando ha pagato il conto, si è accorta di un’anomalia: oltre al cappuccino, alla brioche, al servizio al tavolo, nello scontrino si è ritrovata un supplemento del 22% per il «servizio pagamento bancomat». La spiegazione del gestore? Di fatto nessuna, e così la cliente ha pensato di rivolgersi alle forze dell’ordine che sono prontamente intervenute e, dopo una contestazione formale, hanno segnalato il bar all’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato che gli comminerà una multa salata.

Maggiorazione per i pagamenti con il pos: è legale?

Applicare un surplus per i pagamenti con il pos è infatti assolutamente vietato. L’articolo 62 del Codice del Consumo parla chiaro: «I professionisti (termine generico per indicare imprenditori, commercianti, eccetera, ndr) non possono imporre ai consumatori, in relazione all’uso di determinati strumenti di pagamento, spese per l’uso di detti strumenti». Di questi strumenti, dunque, fanno parte tutti i pagamenti elettronici, e quindi carte di credito e debito, prepagate, applicazioni per smartphone.

Anche le regole europee parlano chiaro, e lo ha ricordato per primo Paolo Carestiato, comandante della polizia locale che è intervenuta in aiuto della malcapitata cliente del bar di San Donà di Piave. «Oltre che nel codice del consumo, il divieto è stato rimarcato anche dalla direttiva europea PSD2 (Payment Service Directive II), recepita nel nostro ordinamento dal decreto legislativo 218 del 15 dicembre 2017, anche se semplicemente posto a carico di coloro che utilizzano circuiti relativamente meno diffusi (come ad esempio American Express o Diners) rispetto ai più “classici” Visa o MasterCard». È dal 2017, infatti, che in Italia vige l’obbligo di accettare i pagamenti con il pos, e dal 2022 è prevista anche una sanzione per chi si rifiuta di accettare questo tipo di pagamenti. Anzi, una sanzione doppia: fissa di 30 euro, a cui si deve aggiungere il 4% del valore dell’operazione per cui pagamento elettronico non è stato accettato. Le sanzioni per chi consente di pagare con il pos ma chiede un supplemento sono anche più care: vengono comminate proprio dall’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato, a cui la polizia di San Donà ha segnalato il caso del bar, e vanno da un minimo di 2.000 euro ad un massimo di 5 milioni di euro.

Pagamenti con il pos: il comportamento corretto dei gestori 

Regole che i ristoratori conoscono, e che gli vengono continuamente ricordate. «L’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato dirama circolari e inoltra comunicazioni, anche per tramite delle associazioni di categoria, invitando tutti gli esercenti commerciali, ivi inclusi i venditori di piccole dimensioni di beni e servizi, del divieto di applicare un supplemento di prezzo nei confronti dei consumatori che utilizzano carte di credito o di debito», ha infatti specificato ancora il comandante Paolo Carestiato.

Perché il pos diventa un problema

Perché allora tanta ostilità nei confronti dei pagamenti con il Pos? I «no pos» si lamentano delle commissione, ma negli ultimi 5 anni i costi per acquistare un Pos sono crollati del 66,5% (dati Osservatorio ConfrontaConti.it e Sostariffe.it), e intanto si sono moltiplicate le banche che non chiedono commissioni sotto i 10 o i 5 euro (la cifra, più o meno, del conto della signora di San Donà di Piave). 

Come segnalare le anomalie

Quel che è certo è che se capita di avere problemi possiamo tutelarci chiamando le forze dell’ordine e segnalando il fatto all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), compilando un semplice modulo che si trova su www.agcm.it/segnala-online/come-segnalare.

Ristorante senza pos: cosa fare

È altrettanto certo che un ristoratore deve avere il pos e che, se non funziona, ha l’obbligo di comunicarlo chiaramente al cliente prima che si sieda e ordini la cena. Regole che abbiamo ricordato in occasione di un’altra singolare storia sui pagamenti con il pos: quella del giornalista e conduttore radiofonico di Rai Radio1 Giancarlo Loquenzi che pochi giorni fa è stato costretto ad andar via da un ristorante di Roma nonostante i piatti fossero già in tavola perché il gestore non aveva il pos né accettava alternative per il pagamento. Come ci ha spiegato l’avvocato Elia Ceriani, quando il post non funziona il ristoratore deve lasciare il cliente libero di scegliere se restare oppure no. E non solo: «Se il cliente non ha contanti, può proporre un’alternativa per il pagamento, come un bonifico istantaneo o altre modalità di pagamento elettronico (come ha fatto Loquenzi, ndr)».

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