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Marco Polo: sulle golose tracce tra dim sum e cicchetti

La Cucina Italiana

Nel gennaio del 1324 Marco Polo chiudeva gli occhi per sempre a settant’anni, a Venezia, ricco e famoso. Dante Alighieri, che era venuto a mancare appena tre anni prima, ci ha saputo condurre fino a lontani luoghi dello spirito diventati patrimonio dell’immaginario collettivo; Marco Polo fu invece viaggiatore molto terreno, per mestiere e per piacere.

Infatti a diciassette anni il giovane Marco partì con il padre Niccolò e lo zio Matteo, entrambi mercanti, per un’avventura che lo avrebbe condotto a fare esperienze straordinarie, lungo la Via della Seta. Altro che turismo estremo. Ma papà e zio Polo erano già stati da quelle parti, facendosi benvolere dal sovrano della Cina di allora, Kublai Khan, nipote del celeberrimo condottiero mongolo Gengis.

Marco non tornò a casa per vent’anni. Quando ci riuscì, c’era la guerra tra Venezia e Genova, e lui fu preso prigioniero dai genovesi. Suo compagno di detenzione era Rustichello da Pisa, altra città in guerra con Genova. Rustichello mise nero su bianco i suoi racconti, scrivendo in un pastiche di francese antico, veneziano, pisano e idiomi orientali. Quest’opera, che se fosse stata un piatto sarebbe stata pura cucina fusion, diventò celebre col titolo Il Milione.

E a proposito di cose da mangiare, nel suo viaggio lunghissimo Marco Polo visitò tanti Paesi e assaggiò gusti nuovi, ma trovò anche preparazioni che gli ricordavano gli usi veneziani; per esempio, in Cina si servivano i dim sum, dei deliziosi snack dolci o salati che accompagnavano le varietà di tè e che somigliavano concettualmente ai cicchetti dei bacari della laguna, innaffiati da un’ombra de vin. In entrambi i casi, uno spuntino perfetto per il viaggiatore, per chi vuole qualche cosa che soddisfi in modo sfizioso e veloce. Antenati dei nostri happy hour, dice qualcuno.

Così ci è sembrato giusto proporre un mix di esotici dim sum e di nostrani cicchetti, per scoprire insieme che nessun posto è davvero lontano e nessuna civiltà così diversa, nemmeno quando si tratta di mettere qualcosa di buono nel piatto. E questo è solo il primo appuntamento gastronomico col nostro viaggiatore curioso che ci accompagnerà tutto l’anno alla scoperta dei sapori nascosti che attraverso la Via della Seta e delle spezie diventeranno goloso patrimonio comune.

4 Ristoranti: il miglior ristorante italiano di Lisbona

4 Ristoranti: il miglior ristorante italiano di Lisbona

Questa volta, nella nuova puntata di 4 Ristoranti di Alessandro Borghese, c’è il miglior ristorante italiano di Lisbona. Lo chef, col suo mitico van, dopo avere esplorato le proposte gastronomiche della Costa Azzurra e dell’Oltrepò Pavese, si è spinto fino alla capitale del Portogallo per andare alla scoperta dei locali italiani del centro città dove si può gustare una cucina tradizionale. Baccalà mantecato o bacalhau, sarde a beccafico o sardinhas, zuppa maritata o caldo verde?

Anche questa volta, ognuno dei quattro ristoratori ha invitato nel proprio locale i tre colleghi sfidanti e lo chef Alessandro Borghese: i commensali, dopo avere assaggiato le specialità del ristorante, hanno assegnato un punteggio da 0 a 10 a location, menu, servizio e conto, ma anche alla «quinta categoria», che è un piatto differente in ciascuna puntata. Tutti e quattro i concorrenti, infatti, si devono misurare con lo stesso piatto, il più rappresentativo del territorio, che viene assaggiato da tutti gli sfidanti, per un confronto ancora più puntuale. A Lisbona, questo piatto è il baccalà, che viene proposto in tantissime ricette differenti, rivisitato o preparato secondo tradizione.

Ad aggiudicarsi il titolo di miglior ristorante italiano di Lisbona è il Davvero, all’interno dell’Hotel Sublime Lisboa nel quartiere Amoreiras. Gli altri ristoranti in gara erano Makkà Restaurant, un locale romantico, dal design moderno e dal tocco vintage, nel quartiere Campo Pequeno, La Pasta Fresca, un autentico ristorante italiano nel quartiere Campo Pequeno, dove tutto è fatto a mano e Parao73 con Angelo, locale aperto di recente nel quartiere multiculturale di Arroios.

Il viaggio di Alessandro Borghese 4 Ristoranti continua nelle prossime settimane tra Ravenna, Sardegna, Gorizia e Lucca, poi ancora Monza e Mantova.

Intanto, andiamo a conoscere meglio i quattro locali di Lisbona che si sono sfidati per aggiudicarsi il titolo di miglior ristorante italiano di Lisbona, in equilibrio tra tradizione e contaminazione, e ricevere un contributo economico da investire nella propria attività.

Ricerche frequenti:

Alain Ducasse, l’intervista: «La cucina italiana è di tutti»

La Cucina Italiana

Ama tanto l’Italia…
«Ho sempre guardato all’Italia con molto affetto, non a caso il mio primo libro s’intitola La Riviera di Alain Ducasse. È il mio secondo Paese, il più vicino al cuore e al gusto. La trovo sempre interessante, da sud a nord, ogni regione con la sua identità, il cibo, la cultura».

Non a caso in dicembre arriva a Roma dove ha aperto i suoi ristoranti all’interno dell’hotel Romeo. Teme la capitale?
«Sono già stato dieci anni in Italia, all’Andana, con la famiglia Moretti, ma Roma è Roma. Faremo una cucina che si iscrive in quella locale senza toccare i piatti tipici della città, altrimenti sarebbe come competere con la pasta preparata dalla mamma o con il sushi a Tokyo. Saranno piuttosto sapori della tradizione mediterranea, come ho già fatto a Montecarlo al Louis XV, il ristorante dell’hotel de Paris (tre stelle della guida Michelin nel 1990, il primo ristorante d’albergo a ottenere il riconoscimento massimo della “Rossa”, ndr). E di certo non sarà cucina francese».

Quanto la cucina francese influenza quella italiana e viceversa?
«La Francia ha influenzato la cucina italiana nella tecnica, non certo nel gusto. Abbiamo il cosiddetto professionismo. Pensi che nella mia scuola a Meudon (vicino a Parigi), ho persone di 74 nazionalità diverse e tutte imparano le basi; è come il solfeggio per la musica, poi ognuno suona la sua. Abbiamo codificato certi passaggi secoli fa, anche se poi va detto che uno dei primi libri di cucina della storia con ricette è italiano (si riferisce allOpera di Bartolomeo Scappi, mi dirà poi, ndr)».

E l’italiana?
«La vostra è una cucina matriarcale, che proviene dalla mamma…».

Vero, però le cucine stellate sono più che altro piene di uomini…
«Ah, les machos! In Francia sono ancora molto maschilisti, l’Italia segue, la Spagna è pure peggio! Ma gli ultimi sono i catalani!».

Trova che la cucina di casa sia protagonista nella cosiddetta «alta cucina»?
«Sì, solo che devi eseguire tutto perfettamente, sublimarlo. Ricordo una pasta con il lievito di birra e il burro di Riccardo Camanini. Rigore, perfezione… ero sedotto dalla semplicità e dalla bontà allo stesso tempo. Amo la semplicità quando diventa assoluta e si trasforma in perfezione. O, ancora, penso ai “ragazzi” come Davide Oldani che da un piccolo ristorante in un paesino ha creato una destinazione con una professionalità fuori del comune. Fa un buonissimo lavoro, buonissimo! E non parliamo di Massimò (Bottura), straordinario! Sono stati tutti con me a Monaco, anche Gennarino (Esposito di Vico Equense)».

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