Categoria: Ricette veloci

Aperitivo a Trastevere a Roma: 7 locali perfetti per l’estate

Aperitivo a Trastevere a Roma: 7 locali perfetti per l'estate

L’aperitivo a Trastevere, per romani e turisti, è un rito. E lo è ancora di più d’estate quando il bel tempo e le giornate lunghe permettono di riversarsi nelle strade con un bicchiere di vino alla mano oppure di godere di un piccolo dehors o di una terrazza per gustare un cocktail in compagnia. Dopo una giornata di lavoro o di “sgambettate” in giro per la città, l’happy hour può essere un momento rigenerante, soprattutto se all’aria aperta. 

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Ai piedi del Gianicolo e delimitato per un lato dal lungofiume, Trastevere è tra i quartieri più caratteristici e celebri della città con i suoi vicoli pittoreschi, le piccole piazze come Santa Maria in Trastevere con l’omonima basilica, le trattorie tipiche, le enoteche. Pur essendo molto frequentato dai turisti non ha perso la propria identità ed è amato anche dai romani. Se di giorno qui ci si può concedere piacevoli passeggiate, all’ora dell’aperitivo inizia la movida che prosegue fino a notte inoltrata. 

Aperitivo a Trastevere: i locali per stare all’aperto

Per un pre-cena nel quartiere in una serata estiva, ecco in gallery una selezione di indirizzi.

Ravioli e tortelli, qual è la differenza?

La Cucina Italiana

Salimbene de Adam, frate francescano del XIII secolo autore di una singolare Cronica, ricca di informazioni non solo su eventi politici e religiosi ma anche sul clima, l’agricoltura, gli usi alimentari, per il 1284 ci regala una curiosa nota gastronomica: «Quell’anno, il giorno della festa di santa Chiara [11 agosto] mangiai per la prima volta dei ravioli senza crosta di pasta». Dunque era più normale il contrario: avvolgere i ravioli in un involucro. Allora, il termine «raviolo» non era sinonimo di «tortello», come di fatto è diventato oggi: esso indicava il ripieno di un contenitore, un tortello appunto, una piccola torta l’oggetto gastronomico per eccellenza della cucina medievale.Così come il raviolo poteva essere contenuto in un tortello, il tortello poteva contnere un raviolo. In entrambi i casi si trattava di una scelta. Lo chiarisce bene un libro di cucina toscano del Trecento, quando spiega che i tortelli si fanno di qualsiasi forma: «ferro da cavallo, fibbie, anelli, lettere e ogni animale che tu vuoi», precisando, alla fine, che «li puoi riempire, se tu vuoi». Eventuale il ripieno. Eventuale la «crosta di pasta». Il tortello può essere vuoto o ripieno; il raviolo può essere «protetto» o nudo – in Toscana si chiamano ancora così: gnudi.

Anche Maestro Martino, nel XV secolo, sull’argomento è chiarissimo: a proposito dei «ravioli bianchi» scrive che «voleno esser senza pasta». Ma una nota marginale al testo aggiunge: «et se cum pasta li vorrai, falli». Allo stesso modo, il ricettario cinquecentesco di Bartolomeo Scappi prevede ravioli «con spoglia» e «senza spoglia». È questa, pur con qualche incertezza e con una certa variabilità locale di usi linguistici, la nozione prevalente fino a Pellegrino Artusi: i suoi «ravioli all’uso di Romagna» altro non sono che gnocchetti di farina, ricotta, parmigiano e uova, lessati e conditi con formaggio e sugo di carne. Quando poi introduce i «ravioli alla genovese», così commenta: «Questi, veramente, non si dovrebbero chiamar ravioli, perché i veri ravioli non si involgono nella sfoglia». Il «raviolo aperto» di Gualtiero Marchesi, un celebre, iconico piatto del grande maestro, con cui illustriamo questa pagina, accoglie l’uso – ormai invalso nel Novecento – di chiamare «ravioli» anche i «tortelli». In questo modo egli sovverte il senso antico del gesto del chiudere, attribuendolo non al raviolo (che, restando nudo, non è racchiuso da nulla) bensì al tortello (che non è più racchiuso su sé stesso). Ci riporta, però, Marchesi, con questa sua provocazione, al secolare dibattito sulla possibilità di chiudere o meno quegli oggetti gastronomici. La cucina italiana è cresciuta – e continua a crescere – nel segno di una irriducibile libertà.

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