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Antonio Guida: il pranzo in famiglia dello chef

Antonio Guida: il pranzo in famiglia dello chef

Sono stata a casa di Antonio Guida in Puglia tempo fa, quando stavamo scattando le foto per il libro che poi uscì con Silvana Editoriale. Antonio è lo chef che conosco più da vicino (insieme a  Davide Oldani), e che è venuto a casa mia con la moglie Luciana e la figlia Viola anche in giorni importanti tipo la cena del Natalino. Una volta avevo cucinato tutto io, ovviamente ero andata in panico e ovviamente mi aveva corretto tutto (sì, la soia può trasformare un brodo, sì, possiamo  rendere sublime un risotto senza personalità, sì, possiamo inventare un sugo in cinque minuti con le erbette giuste, basta guardare come fa un mago come Guida).

Ma torniamo alla Puglia, dove andammo in piena estate. L’idea era raccontare l’universo di Antonio, da dove era partito, dove era cresciuto, prima di approdare alle grandi tavole, come a Parigi da Pierre Gagnaire, a Punta Campanella da Alfonso Iaccarino, a Firenze all’Enoteca Pinchiorri, a Roma all’Eden e, prima ancora, sulle navi da crociera in Alaska dove aveva trascorso mesi a lavorare pur soffrendo il mal di mare.

Destinazione: Depressa, frazione di Tricase, in quella terra meravigliosa che è il Salento, tra Maglie e Leuca. Siamo stati in giro per i suoi luoghi, a bere il caffè, al mercato, a passeggiare per il paese, in spiaggia per un tuffo, alla Taverna del Porto per l’aperitivo con vista blu tra i più memorabili della vita e poi siamo entrati in casa sua. Era domenica e avevamo chiesto alla sua mamma di prepararci dei piatti per scattare le foto nella sua cucina spaziosa, con un patio, vicino ai campi coltivati dal padre Donato, un uomo un po’ taciturno e con la faccia intensa di chi è stato agricoltore tutta la vita. Quando arrivammo, ci chiese se ci andasse un melone bello fresco e dopo cinque minuti tornò con un frutto appena staccato dalla pianta. Michelina, la madre di Antonio, è la sua principale ispiratrice, forse anche più dei grandi cuochi che ha frequentato. «Ho sempre cucinato con lei ancora prima di andare a fare l’apprendista pasticciere da Rafelino Bello, da ragazzo», mi ha raccontato tante volte. Le sagne ’ncannulate che propone oggi al Seta, il ristorante due stelle dell’hotel Mandarin Oriental a Milano, sono questo, un omaggio a lei, a una donna che con una calma impassibile abbinata a un’efficienza assoluta produce quantità di pasta straordinaria «con il giro». «Perché le sagne di mia madre sono uniche, sono solo sue, solo lei le arrotola così». Nel menù di Antonio le troviamo invece con gli anemoni di mare, le cozze, i gamberi, il limone nero e la salsa di ravanelli. Un ricordo di gioventù che rivediamo nella complessità dei sapori della cucina di Guida.
Comunque, mentre valutiamo come scattare le foto, capiamo anche che i piatti non ci bastano, e che sarebbe più significativo creare una tavolata e mettere tutta la famiglia intorno. Senza scomporsi la signora chiama a raccolta tutti, figli, cugini, nipoti, zie, accende il forno, improvvisa un sugo con la salsa pronta e fatta in casa che aveva in dispensa. Io aiuto come posso e mi metto a spostare tavoli, sistemare sedie, stendere la tovaglia e apparecchiare come se fossi a casa mia e questa fosse la mia, la nostra di famiglia. Intanto le sagne aumentano veloci in quantità, da un piatto stiamo per produrne quasi venti.

In molte cucine stellate sarebbero già tutti isterici, qui invece abbiamo i bambini che scorrazzano tra le nostre gambe con il triciclo e il pallone mentre lavoriamo e passano file di bicchieri. C’è chi chiacchiera, chi si beve un sorso di vino. Donato affetta il famoso melone e il profumo si diffonde leggero e dolce. Stiamo per sederci, quasi pronti a scattare. La pasta è in cottura, il sugo è sempre più tiepido sul fuoco. Rumore di sedie, ci accomodiamo trepidanti e affamati. Per un attimo le foto sono solo un pretesto per vivere una parentesi temporale così intima e bella. Antonio arriva con la marmitta colma di pasta e distribuisce a tutti nei piatti. Non è in giacca da cuoco, è nella sua camicia d’estate. Eppure i sapori sono tutti qui, splendidi, semplici, italiani.

Chi è Antonio Ziantoni, premio Michelin giovane chef 2021

Chi è Antonio Ziantoni, premio Michelin giovane chef 2021

Sorrisi, umiltà, tecnica e una squadra di giovani affiatatissima: il successo annunciato di Antonio Ziantoni, Ida Proietti e Christian Marasca, che hanno conquistato l’unica nuova stella di Roma, con il loro ristorante di Trastevere

Quando un paio di anni fa ha aperto questo bel ristorante nel cuore di Trastevere, a un passo da piazza san Cosimato, avevamo già avuto modo di parlare di una rivoluzione gourmet che stava vivendo quel versante un po’ appartato di un quartiere turistico, ma anche decisamente vivo della Capitale. Da subito Antonio Ziantoni e la deliziosa Ida Proietti, sua compagna nel lavoro e nella vita, avevano fatto capire che volevano puntare in alto.

E se all’inizio tutti parlavano del fatto che lui fosse uno dei “Genovese boys”, i ragazzi cresciuti professionalmente nelle cucine del Pagliaccio (unico bistellato di Roma), in breve si è capito che non solo Antonio Ziantoni era uno dei più bravi, ma anche che il suo progetto era probabilmente quello che più si adattava ai canoni etici ed estetici della Michelin. Una cucina creativa e tecnicamente impeccabile, una sala gestita con grazia da Ida, che ha impostato il tutto su un’informale eleganza, con una bell’apparecchiatura e una cantina più che all’altezza. Gioventù e sorrisi a condire il tutto, con una sana attitudine competitiva (mai hanno nascosto che l’obiettivo era la stella), ma con umiltà. Il tutto addolcito dalla pasticceria di Christian Marasca, che da sola si è meritata una linea di delivery e asporto nei momenti più bui della pandemia.

Da qui alla stella, con tanto di menzione d’onore come Giovane chef 2021, ci è voluto fin troppo, perché chi vive e frequenta la ristorazione a Roma aveva già sotto la lente questo gruppo di giovani talenti da tempo. Dopo il 2019 di comprensibile cautela, nell’ultima edizione molti avevano detto: «Peccato, sarà per l’anno prossimo». Nel mezzo c’è stata una pandemia, il timore che i progetti di giovani intraprendenti come Antonio e Ida potessero andare in fumo, fra un lockdown e l’altro.

Finalmente è arrivato il riconoscimento che attendevano, a dare una meritata boccata d’ossigeno, perché si può scommettere che alla riapertura serale Zia sarà sold out. Chi già c’è stato andrà sicuramente a ricercare le sensazioni di piatti riuscitissimi come l’animella di vitello, tre latti e pomodoro, oppure l’ostrica che d’estate si accompagna a cetriolo e gin e d’inverno si sposa invece con cavolo e nervetti. Nei primi le paste sono rigorosamente fatte in casa e non può mai mancare un risotto (ora è in carta quello con bufala, limone e genziana), mentre fra i secondi la scelta cade facilmente sui volatili, con il piccione in civet, che è ormai un piatto signature. I dolci, come si è detto, meritano menzione a parte: un saliscendi di ricordi, dal babà al millefoglie, dove tuttavia prevale la tecnica di un altro grande giovane professionista, Christian Marasca.

Last but not least, qui si fa un’esperienza stellata a prezzi più che concorrenziali, perfino bassi per la Capitale. Il menu degustazione da cinque portate è a 55€, quello da sette piatti a 75€. Si spera che riusciranno a mantenere questi prezzi quasi anticrisi. Per ora solo a pranzo, dal mercoledì alla domenica, auspicabilmente presto anche a cena.

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