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Torta Setteveli: 5 segreti del dolce più premiato (che arriva a Milano)

La Cucina Italiana

La torta Setteveli Vojage

Ispirata a Salomè

Il nome evocativo svela la suggestione che c’è dietro questa voluttuosa torta al cioccolato, definita dai suoi creatori «un viaggio sensoriale nell’universo femminile» e l’hanno descritto come «la danza della bella Salomè: ogni morso evoca emozioni intense che affiorano come il corpo della giovane principessa a ogni velo caduto». Il risultato, spiega Biasetto, «è stato così sbalorditivo da conquistare la giuria cancellando tutti gli assaggi precedenti e tutti quelli successivi alla torta, in un contesto dove il palato dei giudici era sottoposto a tantissime proposte giornaliere e già molto provato».

I numeri della Setteveli

Ci vogliono 2 giorni di lavorazione, 5 persone e 37 ingredienti per questo dolce che dal 1997 conquista i palati degli italiani e non solo. Il costo? «78 euro per una torta da 6 porzioni».

Il cioccolato più raro

«Setteveli per essere perfetta deve soddisfare il mio istinto, in primis sorprendermi. È realizzata con il miglior cioccolato al mondo, quello di una piccola piantagione in Madagascar che ha però una lunghissima persistenza in bocca. Supera il caffè a intensità, ma non copre la nocciola».

Il vino con cui abbinarla (e l’errore da non fare)

«La temperatura del servizio è importante: deve essere estratta dal frigo 24 ore prima: in questo modo i sapori si amalgamano meglio e i profumi si sprigionano. Il miglior abbinamento: il vin da Viajo. Io amo quello di una cantina di Monselice che ne produce 600 esemplari l’anno. I mercanti veneziani commerciavano questo vino dolce già in antichità: lo apprezzo perché è uno dei pochi vini che regge l’intensità del cioccolato. Un errore da non fare? Mangiare la Setteveli quando si è troppo sazi: l’ideale sarebbe a stomaco vuoto e non certo in fondo al pasto».

«A chi è dedicata? Sicuramente a mia moglie Sandra perché è colei che mi ha portato a scoprire l’Italia nella sua bellezza e spontaneità. C’è un’energia qui che si respira in pochi Paesi». 

Luigi Biasetto

Dove trovarla: ora anche a Milano

Per gustarla questi sono gli indirizzi: Padova, Prato o Pieve di Cadore, sede delle pasticcerie dei tre maestri pasticcieri che nel frattempo hanno esteso la propria rete di distribuzione. La pasticceria Beduschi, per esempio, ha una rivendita anche a Firenze. Gianluca Mannori, invece, ha aperto un nuovo negozio, nel 2013, a Sasso Marconi (Bologna). Ora è possibile assaggiare la Setteveli anche a Milano dove ha inaugurato Ai Chiostri Milano una nuova Caffetteria & Lounge nel suggestivo complesso claustrale del XV secolo sede della Fondazione Umanitaria, che da gennaio inaugurerà anche un bistrot con dehors.
Sul bancone torte a fette, plumcake, frolle, i cornetti farciti al momento, ma anche gli iconici
macaron di Biasetto (altra specialità per cui il maestro pasticciere è molto noto) e le sue imperdibili torte moderne, prima tra tutte la Setteveli Voyage. Tra le chicche in menù anche il caffè servito al tavolo con la moka.

Albert Adrià arriva da Nobu per una cena fusion a 4 mani

La Cucina Italiana

Si chiama Armani Restaurants Insieme il ciclo di incontri che porterà il 13 e 14 giugno a una cena a 4 mani unica. Lo chef Albert Adrià, infatti, sarà ospite di Antonio D’Angelo, Corporate Chef Armani, nella cucina di Nobu. 

Un incontro unico di esperienze, tecniche e gusti che porta la contaminazione e la sperimentazione culinaria a un livello superiore, in cui gioco di squadra e scambio di opinioni fanno da fil rouge. L’Executive Chef di Nobu Milano proporrà alcune delle sue più famose creazioni, coniugate perfettamente alla filosofia culinaria dello Chef Adrià in un menu degustazione unico.

Un incontro, questo, tappa di un tour già passato per i ristoranti di Tokyo e New York, che si concluderà il 26-27 settembre nell’Armani Ristorante di New York sempre con chef Albert Adrià.

Chi è Albert Adrià

In oltre 35 anni di carriera, Albert Adrià ha creato nuovi format di ristorazione e pasticceria, aperto il ristorante nikkei Pakta, gli stellati Hoja Santa ed Enigma, ultimo suo successo inaugurato nel 2017, e ricevuto numerosi riconoscimenti. È stato nominato tra le persone più influenti nel panorama gastronomico dalla rivista Time. È il fratello di Ferran Adrià, padre fondatore della cucina molecolare, e con lui ha lavorato a El Bulli come responsabile della linea dessert.

Chi è Antonio D’Angelo

D’Angelo, Corporate Chef Armani ed Executive Chef di Nobu Milano, ha condotto un percorso professionale eclettico che gli ha permesso di guadagnare una comprensione completa del mondo della cucina e delle sue logiche. Chef personale di Giorgio Armani per anni, dal 2009 guida la cucina di Nobu Milano e affianca a questo ruolo quello di Corporate Chef, occupandosi in prima persona di tutti i progetti di ristorazione del gruppo – dalle nuove aperture al catering, dal delivery alle collaborazioni, come Armani Restaurants Insieme. Ha creato l’Orto di Mimì, orto kilometro zero con agricoltura sostenibile che fornisce Nobu Milano di verdure, wasabi e molto altro.

Il nuovo modello biologico arriva dalla Danimarca

La Cucina Italiana

Parliamo del modello biologico danese. La Danimarca non ha bisogno di presentazioni: è terra ormai più che nota in ambito ristorativo. Paradossale in quanto 20 anni fa mai si era sentito parlare della Danimarca o Copenhagen come meta gastronomica. Diciamo che non si distingue per la sua biodiversità e varietà di prodotti, sicuramente, però, è una terra che si è fatta conoscere per la sua predisposizione all’innovazione e per la visione al futuro. La prima pietra miliare è stata posta dal New Nordic Kitchen Manifesto, che ha messo nero su bianco i fondamenti dell’alimentazione globale, nonché gli odierni principi base del concetto di sostenibilità alimentare: dalla stagionalità allo spreco alimentare, senza trascurare il benessere alimentare. Chi ha portato in tavola per la prima volta questi aspetti è stato l’illustre Renè Redzepi con il suo Noma a Copenhagen. Di lui tutto si può dire tranne che non sia stato e sia tutt’ora un’avanguardista.

Nelle sue cucine si sono riscoperti ingredienti locali come cacciagione, alghe, muschi, funghi, licheni, bacche selvatiche, insomma tutto quello che concerne il prendere risorse dall’ambiente circostante, come il foraging. Oggi la Danimarca conta 29 ristoranti stellati. E il Noma è stato votato, per ben cinque volte, il miglior ristorante nel mondo nella classifica World’s 50 Best Restaurant. La New Nordic Cuisine ha quindi influenzato il mondo intero, ispirato gli chef di tutto il pianeta e riportato sulle tavole l’uso di prodotti biologici, a km zero, il no waste, la stagionalità e la sostenibilità della cucina. 
Come mai questo fenomeno arriva proprio dalla Danimarca? Quali sono le basi e gli esempi su cui si poggia questo paese?

Questo tema è stato al centro del discorso durante un evento tenutosi a Milano presso Horto Ristorante e organizzato da Danish Agriculture & Food Council, VisitDenmark, il Trade Council della Reale Ambasciata di Danimarca, che hanno portato come modello e caso studio le aziende biologiche Fatdane, Thise, The Good Food Group, Naturmaelk. Una case history internazionale di transizione biologica, oggi uno dei punti di forza dell’alimentare danese, all’avanguardia in un mondo che richiede sempre più prodotti alimentari sostenibili.

Il modello danese per il biologico a cui ispirarsi 

Il successo del modello danese è frutto di diversi interventi applicati da oltre 30 anni. Questo risultato si è ottenuto quindi grazie alla collaborazione tra Stato, produttori, catene di supermercati e aziende alimentari che, insieme, hanno reso accessibili i prodotti biologici, aumentando la domanda dei consumatori. Attualmente il 12% dell’area agricola in Danimarca è coltivata a biologico. Insieme a questo la Danimarca è stato il primo paese al mondo ad aver introdotto regole per la produzione biologica. L’etichetta BIO danese (marcata con la Ø) esiste infatti dal 1989. È così che lo spirito cooperativo accomuna tutti gli attori dell’intera catena del valore.

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