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I custodi del pomodoro Riccio di Parma

I custodi del pomodoro Riccio di Parma

Riccio di Parma: no, non si parla di capello, ma una varietà di pomodoro! In tre, uniti per reintrodurre (con successo) un’antica varietà parmense, dalle dimensioni extra-large!

Rosso brillante, pelle sottile, costoluto, dolce, ma con una punta leggermente acidula. Il Riccio di Parma è uno dei pomodori italiani più grandi. L’aspetto perfetto e le dimensioni extra large non devono insospettire: all’origine non ci sono sementi selezionate dalle multinazionali dell’agroalimentare e coadiuvanti chimici, ma una storia di passione e perseveranza. Probabilmente è sulle tavole parmensi da diversi secoli, ma è solo dalla seconda metà dell’Ottocento che ha acquisito un’identità precisa. Il merito spetta all’agronomo Carlo Rognoni, che ha cominciato a coltivarlo nel suo podere, seguito poi da altri contadini della zona pedemontanta, fra Traversetolo e Felino. È stato parte integrante dell’economia e della cultura agricola locale fino alla Seconda guerra mondiale, quando il metodo industriale ha cambiato gli scenari: servivano varietà più produttive, da gestire con le macchine, mentre il riccio ha la pelle molto delicata e deve essere raccolto scrupolosamente a mano.

riccio

Per decenni solo pochi hanno continuato a coltivarlo in piccoli orti. E per fortuna, perché i semi sono stati preziosi per la sua reintroduzione e valorizzazione come eccellenza della Food Valley, come il parmigiano reggiano, il prosciutto crudo e altre specialità. Nel 2017 è nata l’associazione Agricoltori Custodi del Pomodoro Riccio di Parma (pomodororicciodiparma.it), che raggruppa i tre produttori di questa antica varietà: Monica Azzoni, la famiglia Colla e la famiglia Cotti lo coltivano come centocinquant’anni fa, con il sistema dei filari, così le foglie assorbono omogeneamente i raggi solari, e il frutto cresce sano e vigoroso fino alla piena maturazione naturale.

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Azienda Agricola Colla.
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Azienda Agricola Cotti.

«La lavorazione comincia in primavera con la preparazione dell’impianto e si conclude con la raccolta tra luglio e inizio ottobre, quando il pomodoro sprigiona tutto il sapore e il calore dell’estate», spiega Gabriele Colla, proprietario dell’omonima Agricola. «Il nostro sapere non è scritto, si tramanda, e siamo gli unici custodi di questo prodotto pregiato». Perciò lo espongono con orgoglio al Rural Festival, che si occupa di recuperare varietà vegetali e razze animali quasi estinte di Emilia- Romagna, Liguria e Toscana. Il riccio si trova al Rural Market in centro a Parma, fresco e in passata che, come aveva intuito il professor Rognoni, è il modo migliore per conservarlo.

Api, custodi del pianeta: un volo sostenibile dalle Dolomiti alla Sicilia

Api, custodi del pianeta: un volo sostenibile dalle Dolomiti alla Sicilia

Una conversazione sull’Italia della biodiversità attraverso l’ingrediente miele e un animale simbolo della salvaguardia della Terra: le api. Insieme a noi: una start-up innovativa, un apicoltore bio di grande esperienza e una sommelier del miele. Un percorso didattico e gustativo che porta un’eccellenza del nostro Paese, nel mondo

Albert Einstein diceva che senza le api il genere umano si sarebbe estinto in quattro miseri anni. Partiamo da un’intuizione apparentemente apocalittica del grande genio per parlare di un tema chiave per la salvaguardia della nostra biodiversità: questi preziosi insetti impollinatori.

Ne hanno parlato con noi sulla piattaforma ilfuturocheciaspetta.lacucinaitaliana.it, tre grandi esperti del settore.
A partire da Diego Pagani, Presidente di Conapi – Mielizia dal 1979 il marchio degli apicoltori di Conapi, Consorzio Nazionale Apicoltori, la più importante cooperativa di apicoltori in Italia e una delle principali al mondo. «Dal Piemonte alla Sicilia, i nostri apicoltori raccolgono le migliori produzioni italiane di miele, polline, pappa reale e propoli», ci racconta lo stesso Pagani, apicoltore biologico lui stesso. «Se parliamo di biodiversità in Italia dobbiamo ricordare che abbiamo la fortuna in di avere l’ape ligustica e l’ape carnica, esportate in molti Paesi nel mondo, e in Sicilia una sottospecie autoctona, l’ape sicula, il cui miele è anche presidio Slow food».

Apicoltura non è solo biodiversità, ma anche sostenibilità e zero sprechi. «Abbiamo imparato dall’alveare» prosegue Pagani, in cui non si butta via nulla. Con la polvere di polline, ad esempio, noi di Conapi-Mielizia prepariamo integratori integratori eccellenti: normalmente sarebbe considerata materiale di scarto di lavorazione». Le api sono anche sinonimo di tutela del territorio Italiano. Alcuni apicoltori infatti operano in zone protette e oasi WWF: «noi ci prendiamo cura del territorio insieme insieme alle api», sottolinea Pagani. In Piemonte c’è il parco Parco dell’Alpe Veglia e dell’Alpe Devero ad esempio che arriva fino al confine della Svizzera. La Pollinosa, una nostra azienda affiliata in Toscana, ha portato le api sull’isola di Giannutri, dove c’è una bellissima fioritura di rosmarino. Il bello del nostro Paese è che ha un clima che va dal Mediterraneo al Mitteleuroeo, questa conformazione particolare determina una biodiversità incredibile e in virtù di quello riusciamo a produrre 50 miele monoflora: di eucalipto in Centro Italia, di corbezzolo in Toscana e in Sardegna e vi dicendo».
Concorde Elisa Prosperi, sommelier del miele appartenente all’omonimo Albo « il miele rappresenta la biodiversità grazie alle sue molteplici differenze di colore e sapore, di consistenza e profumo. Quello di acacia, ad esempio, è liquido e chiaro: dipende dal nettare e da come le api lo lavorano con i loro enzimi».

E infine api e urbanizzazione: una serie di iniziative degli ultimi anni vedono un virtuoso rapporto di collaborazione tra amministrazioni pubbliche e apicoltori. «Col Progetto Giardini Naturali Amici delle Api abbiamo contribuito all’eliminazione dei diserbanti chimici dai parchi cittadini per favorire il ritorno delle api, sì, ma anche una più sana permanenza dei bambini. Partito in Emilia Romagna si sta estendendo a varie regioni italiane, tra cui la Lombardia».
Sempre di api e città si parla con Roberto Pasi, co-founder di Beeing, start-up emiliana ormai celebre nel mondo con le sue B-Box, sorta di arnie metropolitane hi-tech, e dei complessi sistemi di monitoraggio di salute delle api. «Una volta ognuno in campagna c’era la propria arnia. Ora le api sono sempre più in pericolo a causa degli habitat compromessi.
Abbiamo voluto cercare di ricucire il rapporto delle città con gli ambienti naturali: abbiamo cercato un modo di fare delle nuove arnie più facili da utilizzare per fare gli apicoltori. Le nostre B-box non sono un gioco ma sono pensate per persone che non sono interessate a produrre grandi quantità di miele. Abbiamo studiato un camino in cui gli insetti entrano a 2 metri di altezza, come se fossero su un albero: è un prodotto di design che permette di osservarle senza disturbarle. E offriamo ai nostri clienti dei corsi di apicoltura perché le api non sono animali addomesticabili».

La risposta è stata importante ad ogni angolo del pianeta: l’apicoltura urbana è una grande opportunità per api e biodiversità perché rende le città un ambiente integrato tra uomini, insetti, edifici e natura. Da lì è nata anche la collaborazione con Conapi prima e Legambiente poi per il progetto Orti urbani. Perché?
Le api sono dei bioindicatori, volando sui fiori assorbono una traccia dell’ambiente attraverso cui volano: monitorare api e il miele dà indicazioni anche sulla qualità dell’aria. Ci raccontano della presenza delle polveri sottili, del PM10 ad esempio».
E se la tecnologia è un grande alleato nella tutela delle api, lo sarà sempre di più anche il turismo: molte strutture di ricezione (hotel, b&b, resort) hanno ormai le proprie arnie e degli apicoltori che le seguono appositamente e le fanno anche visitare agli ospiti in sicurezza: così a seconda di dove si soggiorna si può assaggiare un miele diverso. Magnifico no?»

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