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Roberto Valbuzzi: cosa si mangia a casa dello chef?

Roberto Valbuzzi: cosa si mangia a casa dello chef?

Alla scoperta di chef Roberto Valbuzzi. Cince, passeri e usignoli. Se ci si ferma e si presta attenzione, forse si riescono a distinguere anche le altre voci del bosco. Sono quelle che circondano in un continuo e garrulo concerto la casa del cuoco contadino Roberto Valbuzzi (volto noto del programma Cortesie per gli ospiti su Real Time) a Malnate, nel Varesotto, dove vive con la sua grande famiglia. Grande perché le generazioni che si alternano in un abbraccio collaborativo sono almeno tre, anzi quattro, da quando anche Alisea, la primogenita, ha iniziato a cucinare con il papà, ben assistita dalla mamma Eleonora Laurito. Il più piccolo della famiglia, Elan Gabriele, non ha ancora l’età per maneggiare i coltelli, ma nei travasi di riso e di farina di mais è imbattibile. È questa armonia il segreto dei piatti di Roberto, quelli che prepara ogni giorno per i suoi cari e quelli che si possono gustare al ristorante.

Prima di metterci ai fornelli per preparare due ricette di famiglia e poi raggiungere il suo Crotto Valtellina per scoprire i due piatti davvero speciali, facciamo un giro nell’orto, fonte primaria di verdura e frutta; è razionale e curato, studiato per seguire le giuste rotazioni e non impoverire il terreno, coltivando in consociazione le specie che meglio crescono le une accanto alle altre. Poco oltre si vedono il frutteto e la marroneta: una sedia di diverse decadi fa, di cemento decorato a mo’ di tronchi d’albero, è posizionata nel punto in cui la vista si perde verso l’orizzonte: è quella di Luciano, nonno di Roberto, che ha fatto il pastore e ha costruito tutte le case della famiglia, pietra dopo pietra, con la tecnica che aveva imparato dal suo, di nonno. L’anima di ferro della seggiola inizia a intravedersi, ma rimane salda lì, per reggere all’impeto delle arrampicate di Alisea e di Elan Gabriele.

Raccogliamo le erbe aromatiche e torniamo in cucina per preparare gli gnocchi e i porcini. Le ricette sono di nonna Gisella: prima che gli gnocchi vengano fotografati, senza che Roberto se ne accorga, lesta controlla che siano venuti bene, della giusta consistenza. È tempo di andare al ristorante, come ogni giorno fa lo chef, un saluto a tutti e via al Crotto Valtellina, dove ci accoglie suo papà Leonardo. È proprio lui che ha creduto in Roberto fin da subito, da quando, chiedendogli di sostituirlo in «cooking show», ha decretato il suo successo, anche televisivo. Siamo in un luogo magico dove la potenza della natura e della mano dell’uomo si intrecciano: al riparo di una cava di arenaria nel 1905 i contadini cercavano il conforto del fresco e di un bicchiere di vino. Questo ristoro, fatto di preparazioni piene di estro e di raffinatezza, che però affondano le radici nella tradizione, non è mai venuto meno. Anzi, si è moltiplicato, grazie alle ricette e all’attitudine sempre accogliente di Roberto e alla capacità della sua brigata di essere anche un po’ famiglia.

Le due ricette dello chef Roberto Valbuzzi

Ricetta Polenta con ragù di salsiccia e funghi

Ricetta Polenta con ragù di salsiccia e funghi

Step 1

Per la ricetta della polenta con ragù di salsiccia e funghi, portate a bollore 1 litro di acqua, salatela e versatevi la polenta. Cuocetela, sempre mescolando, per circa 40 minuti.

Step 2

Mondate e tritate finemente sedano, carota e cipolla. Soffriggeteli in una casseruola per 2-3 minuti, quindi unite la salsiccia e lasciatela rosolare per 2-3 minuti. Sfumate con 1 bicchiere di vino, quindi coprite la salsiccia con il brodo vegetale, chiudete la casseruola con il coperchio e lasciate cuocere il ragù per 30 minuti circa.

Step 3

Pulite tutti i funghi e tagliate gli champignon a fettine. Saltateli in una padella con un filo di olio e 1 spicchio di aglio con la buccia, che poi toglierete. Cuoceteli per circa 7-8 minuti.

Step 4

Servite la polenta con il ragù e i funghi, completando con un po’ di prezzemolo tritato.

Ricetta: Sara Foschini, Foto: Claudio Tajoli, Styling: Beatrice Prada

Antonio Guida: il pranzo in famiglia dello chef

Antonio Guida: il pranzo in famiglia dello chef

Sono stata a casa di Antonio Guida in Puglia tempo fa, quando stavamo scattando le foto per il libro che poi uscì con Silvana Editoriale. Antonio è lo chef che conosco più da vicino (insieme a  Davide Oldani), e che è venuto a casa mia con la moglie Luciana e la figlia Viola anche in giorni importanti tipo la cena del Natalino. Una volta avevo cucinato tutto io, ovviamente ero andata in panico e ovviamente mi aveva corretto tutto (sì, la soia può trasformare un brodo, sì, possiamo  rendere sublime un risotto senza personalità, sì, possiamo inventare un sugo in cinque minuti con le erbette giuste, basta guardare come fa un mago come Guida).

Ma torniamo alla Puglia, dove andammo in piena estate. L’idea era raccontare l’universo di Antonio, da dove era partito, dove era cresciuto, prima di approdare alle grandi tavole, come a Parigi da Pierre Gagnaire, a Punta Campanella da Alfonso Iaccarino, a Firenze all’Enoteca Pinchiorri, a Roma all’Eden e, prima ancora, sulle navi da crociera in Alaska dove aveva trascorso mesi a lavorare pur soffrendo il mal di mare.

Destinazione: Depressa, frazione di Tricase, in quella terra meravigliosa che è il Salento, tra Maglie e Leuca. Siamo stati in giro per i suoi luoghi, a bere il caffè, al mercato, a passeggiare per il paese, in spiaggia per un tuffo, alla Taverna del Porto per l’aperitivo con vista blu tra i più memorabili della vita e poi siamo entrati in casa sua. Era domenica e avevamo chiesto alla sua mamma di prepararci dei piatti per scattare le foto nella sua cucina spaziosa, con un patio, vicino ai campi coltivati dal padre Donato, un uomo un po’ taciturno e con la faccia intensa di chi è stato agricoltore tutta la vita. Quando arrivammo, ci chiese se ci andasse un melone bello fresco e dopo cinque minuti tornò con un frutto appena staccato dalla pianta. Michelina, la madre di Antonio, è la sua principale ispiratrice, forse anche più dei grandi cuochi che ha frequentato. «Ho sempre cucinato con lei ancora prima di andare a fare l’apprendista pasticciere da Rafelino Bello, da ragazzo», mi ha raccontato tante volte. Le sagne ’ncannulate che propone oggi al Seta, il ristorante due stelle dell’hotel Mandarin Oriental a Milano, sono questo, un omaggio a lei, a una donna che con una calma impassibile abbinata a un’efficienza assoluta produce quantità di pasta straordinaria «con il giro». «Perché le sagne di mia madre sono uniche, sono solo sue, solo lei le arrotola così». Nel menù di Antonio le troviamo invece con gli anemoni di mare, le cozze, i gamberi, il limone nero e la salsa di ravanelli. Un ricordo di gioventù che rivediamo nella complessità dei sapori della cucina di Guida.
Comunque, mentre valutiamo come scattare le foto, capiamo anche che i piatti non ci bastano, e che sarebbe più significativo creare una tavolata e mettere tutta la famiglia intorno. Senza scomporsi la signora chiama a raccolta tutti, figli, cugini, nipoti, zie, accende il forno, improvvisa un sugo con la salsa pronta e fatta in casa che aveva in dispensa. Io aiuto come posso e mi metto a spostare tavoli, sistemare sedie, stendere la tovaglia e apparecchiare come se fossi a casa mia e questa fosse la mia, la nostra di famiglia. Intanto le sagne aumentano veloci in quantità, da un piatto stiamo per produrne quasi venti.

In molte cucine stellate sarebbero già tutti isterici, qui invece abbiamo i bambini che scorrazzano tra le nostre gambe con il triciclo e il pallone mentre lavoriamo e passano file di bicchieri. C’è chi chiacchiera, chi si beve un sorso di vino. Donato affetta il famoso melone e il profumo si diffonde leggero e dolce. Stiamo per sederci, quasi pronti a scattare. La pasta è in cottura, il sugo è sempre più tiepido sul fuoco. Rumore di sedie, ci accomodiamo trepidanti e affamati. Per un attimo le foto sono solo un pretesto per vivere una parentesi temporale così intima e bella. Antonio arriva con la marmitta colma di pasta e distribuisce a tutti nei piatti. Non è in giacca da cuoco, è nella sua camicia d’estate. Eppure i sapori sono tutti qui, splendidi, semplici, italiani.

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