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Giancarlo Perbellini rileva la storica insegna 12 Apostoli | La Cucina Italiana

Giancarlo Perbellini rileva la storica insegna 12 Apostoli
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Si apre un nuovo importantissimo capitolo per chef Giancarlo Perbellini. Da piazza San Zeno, chef Perbellini trasferirà la sua cucina e la sua squadra in vicolo Corticella San Marco, in quello che è stato uno dei templi della ristorazione italiana, dove nel 1984 lo chef scaligero iniziò a muovere i primi passi come cuoco: il ristorante 12 Apostoli. Un locale che ha fatto la storia, reso celebre da Giorgio Gioco, fondatore del premio giornalistico e letterario “12 Apostoli”.

L’annuncio: non chiude Casa Perbellini, trasloca

La notizia arriva dallo stesso patron di Casa Perbellini, che dà l’annuncio con la voce rotta dalla commozione: si chiude Casa Perbellini in piazza san Zeno per cambio location – e che location!

«Veronesi tutti matti si dice, ed evidentemente nel dna di ogni veronese come me c’è davvero un po’ pazzia. L’11 luglio dell’anno scorso ho deciso di dare la disdetta e chiudere Casa Perbellini. È un posto che ci ha dato tanto, ma con delle problematiche che non ci avrebbero più permesso di crescere. Per più di 9 mesi ci siamo guardati attorno alla ricerca di un posto dove andare, senza trovarlo. Una sera passo davanti a un locale che ho sempre desiderato e dico a mia moglie che era davvero un gran peccato che non eravamo mai riusciti a prenderlo. Era un sabato sera. Il martedì siamo in treno che torniamo da Milano. Ricevo una telefonata. “Avrei bisogno di parlarti”, mi dice la persona all’altro capo. Era Antonio Gioco, il proprietario del 12 Apostoli»

Riparte quindi dalla storica insegna la nuova storia di Giancarlo Perbellini: “È sempre stato il mio sogno”, dice lo chef.

Il ritorno “da maestro”

«Inizia un nuovo storico, progetto apostolico a fare da domani la grande storia della ristorazione italiana che tanti anni fa era già passata da qui. Sarà l’amico Giancarlo Perbellini ad aprire il nostro vecchio portone cigolante di memoria che lui soltanto può essere in grado di rappresentare», dice la famiglia Gioco. «Giancarlo iniziò giovanissimo nella nostra cucina e torna oggi da maestro rimettendosi in gioco con l’entusiasmo che soltanto le persone speciali sono capaci di conservare intatto lungo una carriera straordinaria. Ebbene sì, a Giancarlo Perbellini lasciamo il ristorante 12 Apostoli, un pezzo di noi. In Giancarlo riponiamo volentieri il nostro orgoglio convinti che proprio a lui toccherà scrivere il capitolo più importante di questa incredibile storia».

Il 12 Apostoli: un pezzo di storia

Il ristorante 12 Apostoli è tra i locali più antichi di Verona. Fu a lungo frequentato da scrittori, musicisti, pittori e rappresentanti delle istituzioni, ed è stato la culla del “Premio 12 Apostoli”, ideato da Giorgio Gioco, istrionico cuoco e poeta, tra i grandi protagonisti della storia della ristorazione italiana. È qui che nel 1984 – a soli 20 anni – Giancarlo Perbellini iniziava a muovere i primi passi in quella che all’epoca era considerata una delle cucine più prestigiose e innovative d’Italia. Il 12 Apostoli divenne un ristorante stellato già nel 1958 quando il riconoscimento venne assegnato per la prima volta in Italia.

La piadina romagnola autentica come insegna uno chef di zona

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In vacanza per la prima volta a Cesenatico (località consigliatissima) ho deciso di assaggiare la deliziosa piadina romagnola, che conoscevo solo per averla assaggiata in qualche chioschetto a Milano, la mia città. Lasciatevi dire che servita da uno chef del posto, la piadina ha tutto un altro sapore. Ma non si sono limitata all’appagante esperienza gustativa. Curiosa come sono di conoscere tutto ciò che riguarda la tradizione gastronomica locale, ho chiesto allo chef Thomas Spinelli di Valverde Ricci Hotel di Cesenatico di spiegarmi per filo e per segno come si prepara la piadina romagnola. Prima di addentrarmi nella parte pratica, vi racconto alcune curiosità che ho appreso chiacchierando con lo chef. 
In primis che la piadina romagnola ha origini antichissime: pensate che sono state rinvenute tracce dell’utilizzo da parte dei popoli Etruschi insediati in quella che oggi conosciamo come Romagna di un sostituto del pane. Consisteva in un preparato rotondo di farina grezza e cereali. 
In un salto temporale in avanti, ho scoperto dallo chef che alla fine degli anni Venti la piadina è entrata nella quotidianità delle famiglie locali. La piada (come viene chiamata in Romagna) veniva preparata tutte le sere dalle donne di casa al rientro dai campi, rapidamente impastata, cotta al forno in un contenitore di argilla e subito mangiata in maniera conviviale. 
Per arrivare ai tipici chioschi di piadine sul lungomare occorre attendere gli anni Cinquanta. E se avete notato differenze in termini di spessore a seconda della località di villeggiatura non c’è da sorprendersi: nella Romagna settentrionale la piadina è più spessa, mentre più ci si sposta in direzione sud, più diventa sottile.

Ricci Hotels: la piadina. Foto Francesca Bocchia

Francesca Bocchia

Quello che ho imparato sulla preparazione della piadina romagnola originale

Iniziamo dagli ingredienti da procurarsi. Considerando il quantitativo per 5 piadine, ponete sul piano di lavoro 500 grammi di farina di grano tenero dell’Emilia Romagna tipo 1M; 70 grammi di strutto di mora romagnola (salume presidio Slow Food); 2 pizzichi di bicarbonato di sodio oppure 10 grammi di lievito in polvere per torte salate; 8 grammi di sale dolce di Cervia; acqua quanto basta. Mettete la farina su una spianatoia, create un cratere con al centro un buco ben largo. Aggiungete ora sale di Cervia, lievito e lo strutto di mora romagnola. Solo alla fine, versate dell’acqua, andando a occhio e senza esagerare. Lavorate il cratere, avendo l’accortezza di impastare dall’esterno verso l’interno. Terminata la fase di impasto, occupatevi di formare delle palline di circa 120/140 grammi ciascuna (ricordando che, come già detto, la piadina cambia il suo spessore in base alla zona in cui ci si trova, dunque non esiste una regola stringente). 
Importante: la piadina si tira solo da un verso con il matterello e si gira in modo che sia rotonda. Ponetela sulla teglia a cuocere per qualche minuto, forandola prima da un lato e poi dall’altro. Ricordate di non lasciarla all’aria, altrimenti rischiate di seccare l’impasto e renderla la piada meno morbida. Quando inizia a dorare si gira una volta sola, ma sappiate che non c’è un tempo standard di cottura (anche se in Romagna non la fanno mai troppo cotta). 
Come farcirla? Dallo chef Thomas Spinelli ho imparato che la combinazione di prosciutto crudo, rucola, pomodori estivi tagliati a fette e squacquerone è imbattibile, anche se in origine si utilizzavano erbe di campo. Fresca e saporita, deliziosa e saziante, consiglio la piada per pranzi e cene estive, da soli e in compagnia. Mangiarla con le mani aggiungerà un ulteriore elemento godereccio all’esperienza gustativa.

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