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Il sesto senso del cioccolato: intervista doppia

Il sesto senso del cioccolato: intervista doppia

Vista, tatto, udito, olfatto e gusto sono i giudici della sua eccellenza. Ma l’emozione arriva dalla maestria di chi lo interpreta. Un’intervista doppia che svela i segreti del cioccolato

Quando abbiamo cominciato a diventare intenditori di cioccolato? E, soprattutto, quando in Italia è arrivato un cioccolato da intenditori? Quando, cioè, il nostro palato ha cominciato a notare, al di là della golosità, quelle nuance di caffè, di frutta secca, di fragole, di lamponi e altre bontà espresse da pochissimi grandi cru di cacao, selezionati direttamente nelle loro piantagioni, che gli specialisti chiamano «aromi secondari». 

Per decenni il cioccolato è stato sinonimo di golosità femminile e infantile. Al vertice, i grandi esperti del cioccolato al latte, i belgi. E gli svizzeri, inventori del cioccolato ripieno, le irresistibili praline in testa. Non che noi dormissimo. Anzi, la creatività italiana già all’inizio del Novecento sfornava specialità a ritmo sincopato, dal cremino Fiat di Majani nel 1910; ai Baci Perugina nel 1925; ai cremini della Baratti nel ’34, al Mon Chéri Ferrero nel 1956 e, nove anni dopo, alla Nutella

Ma dobbiamo aspettare gli anni Ottanta per sentir parlare di Grand Cru de Cacao e veder irrompere dalla Francia con la prima collezione di cioccolato fondente il piacere dell’amarissimo nel dolce. Poi sono gli anni Novanta e l’Italia si presenta al nuovo mercato elitario e difficile con due personaggi d’eccezione. Uno si chiama Gianluca Franzoni, ed è una sorta di moderno capitano di ventura con una missione: salvare dall’estinzione le piante del cacao più raro e squisito del mondo, il Criollo, nella sua culla, in Venezuela; l’altro si chiama Cecilia Tessieri, ha un laboratorio di pasticceria in Toscana, a Pontedera, e vuole diventare creatrice di cioccolato. Si diploma, prima donna al mondo, Maître Chocolatier dai grandi di Francia, torna, e dopo anni di sperimentazione presenta la sua prima tavoletta. 

Queste vocazioni iniziali oggi si chiamano Domori e Amedei, due nomi bandiera tra le aziende leader dell’eccellenza del cioccolato nel mondo, con personalità distinte, ma accomunate dalla ricerca della qualità suprema e dalla visione di un’Italia con un progetto alimentare unito e forte.

Ad Andrea Macchione, amministratore delegato di Domori (n.d.r. oggi al Polo del Gusto), e a Michele Pontecorvo, presidente di Amedei, abbiamo chiesto di raccontarci l’arte tutta italiana di crescere restando artigiani di qualità.

Due aziende giovani, approdate in un panorama affollato di grandi nomi. Una sfida.

MACCHIONE «Per Domori una sfida in due fasi. Prima Gianluca Franzoni costruisce il proprio sogno sulla genetica del Criollo, una varietà di cacao pressoché estinta. Poi entra il Gruppo illy che, lavorando sulle singole origini, oggi ha acquisito una posizione di marchio, filosofia e immagine premiante».

Andrea Macchione Polo del Gusto
Andrea Macchione, ex amministratore delegato di Domori del Gruppo illy, oggi a capo del Polo del Gusto. (ph press)

Amedei invece è un progetto femminile. Come dire la visione della trasformazione creativa.

PONTECORVO «L’idea di Cecilia Tessieri era creare l’azienda produttrice del miglior cioccolato in assoluto presentato con eleganza. Ma mancava la strategia adatta. L’ingresso di un fondo cinese non ha funzionato. Adesso, entrando nel nostro gruppo, Amedei è tornata a essere un’azienda tutta italiana pronta ad affrontare il mercato».

Michele Pontecorvo Ricciardi, presidente di Amedei. (ph Lorenzo Cabib)

Perché Ferrarelle, l’acqua minerale del famoso claim «Liscia Gassata o Ferrarelle», ha deciso di entrare nel cioccolato, così lontano dalla sua vocazione originaria?

PONTECORVO «Sembrano due settori molto distanti, ma sono accomunati dall’avere lo stesso profilo: l’eccellenza dell’acqua e l’eccellenza del cioccolato coincidono. E le opportunità si moltiplicano».

Per illy, invece, aggiungere le fave del cacao ai chicchi del caffè sembra un cammino idealmente segnato.

MACCHIONE «Direi familiarmente segnato. Nel ’33 il nonno Illy produceva cioccolato, tè e, in una piccola azienda agricola, confetture. Poi Riccardo, lasciato l’incarico di sindaco di Trieste, ha deciso di diversificare la gamma dell’azienda, inglobando il cioccolato Domori, le confetture Agrimontana, il tè francese di Dammann Frères. E nel 2019, torna al cioccolato, acquisendo Prestat, il produttore di cioccolato che fornisce la Casa Reale inglese».

Un presidente e un amministratore delegato… Conservate anche un ruolo pratico seguendo le fasi di lavorazione del vostro cioccolato?

PONTECORVO «Non sono un esperto, ma sto studiando: per lanciare un marchio devi conoscere bene il prodotto, ed è per questo che vado ogni settimana in azienda a Pontedera a dare una mano. E poiché degustare cioccolato per dovere professionale richiede un palato pronto, l’acqua Ferrarelle mi accompagna anche in questa occasione».

MACCHIONE «Per noi il cioccolato oltre che un progetto è una passione che coinvolge tutti i protagonisti e seguire il lavoro dei tecnici di produzione contribuendo con idee e assaggi ne fa parte».

Domori (ph cortiliphoto)

Sostenibilità, il nostro futuro. Come si realizza nella vostra nicchia?

MACCHIONE «Partiamo da questo concetto: nel cacao sono importantissimi la genetica delle piante e il corretto lavoro nel campo. Noi abbiamo instaurato da tempo un rapporto diretto coi coltivatori creando un disciplinare per la lavorazione sul posto del cacao, poi facciamo un test. Se coincide con la qualità Domori, avviamo la collaborazione. Se ci sono difetti, spieghiamo il prodotto, cerchiamo di capire gli errori commessi e l’anno successivo valutiamo di nuovo il lavoro fatto. E garantiamo agli agricoltori un margine costante e invitante».

PONTECORVO «Sono totalmente convinto che i consumatori richiedano con sempre maggior fermezza che il commercio abbia anche un cuore. Con l’acqua abbiamo avviato un concreto processo di sostenibilità in ogni anello della produzione riciclando il nostro contenitore di plastica PET per farne uno nuovo. Mentre con Amedei stiamo studiando un progetto per sostituire tutti gli imballi con una carta ricavata riutilizzando le bucce delle fave del cacao. Visto che crediamo che la sostenibilità non sia uno slogan ma un preciso impegno, dal 2015 pubblichiamo il nostro Bilancio di Sostenibilità per raccontare come lavoriamo, anche con Amedei, in questa direzione».

È l’economia circolare, spettacolarizzata ma ancora poco compresa.

PONTECORVO «È importante far vedere al consumatore come un imballo può tornare a essere un imballo e valorizzare il suo ruolo nell’economia circolare: noi aziende possiamo e dobbiamo fare la nostra parte, ma è il consumatore con il suo gesto che chiude davvero il cerchio del riciclo».

MACCHIONE «L’anno scorso abbiamo convertito in carta riciclabile il packaging delle uova pasquali, abbassato la grammatura degli astucci, eliminato il polistirolo».

Praline, blocchi, tavolette, gianduiotti, cremini… C’è ancora spazio per inventare qualcosa di nuovo nel cioccolato?

MACCHIONE «La risposta è sì, perché c’è la fantasia e la ricerca scientifica e la tecnologia permettono di migliorare le ricette anche a vantaggio della salute. Io che sono celiaco lo posso testimoniare. Il nostro intento è di lavorare alla creazione di un polo italiano del gusto che riunisca marchi e prodotti di “qualità dirompente”, vale a dire con una superiorità delle materie prime tale che sia percepibile anche ai palati meno esperti, con processi di produzione originali, e con il rispetto della biodiversità».

PONTECORVO «A noi le innovazioni non piacciono se non sono corroborate da studi, e coerenti con la linea del prodotto. Così come Ferrarelle non andrebbe mai verso un’innovazione fatta di soft drink zuccherini e gassati. Oggi, per esempio, piace il cioccolato crudo, cioè senza tostatura, che in noi suscita forti perplessità sulle sue qualità effettive».

Amedei (ph press)

In tema di cioccolato come sono cambiati i gusti degli italiani?

PONTECORVO «Credo che per il cioccolato sia importante coordinare energie e risorse per puntare sulla qualità e fare un passo avanti verso ricette con meno ingredienti e più attenzione alla salubrità».

MACCHIONE «Direi piuttosto che sono cambiate le tendenze con una maggior attenzione alla qualità. Oggi sappiamo che siamo (anche) quello che mangiamo».

Avete fatto scelte particolari per affrontare la situazione creata dal Covid?

MACCHIONE «In un 2020 molto complicato abbiamo avuto l’idea di raccogliere sul mercato un bond da cinque milioni di euro, che è stato il primo e l’unico bond quotato con garanzia dello Stato, il che ha permesso a Domori di essere la prima azienda quotata del Gruppo illy. E ci ha dato una iniezione di liquidità e di buon umore».

PONTECORVO «Ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo usato il tempo a disposizione per lavorare un po’ su noi stessi rinnovando il sito per la vendita on line e recuperando efficienza».

In che misura ritenete che la cultura del cioccolato faccia parte del patrimonio gastronomico italiano proposto all’Unesco dalla nostra testata?

PONTECORVO «Quello Unesco sarebbe un riconoscimento formidabile, al di là di certe qualifiche di denominazione che hanno dimostrato di essere un po’ fallaci».

MACCHIONE «Pensi al grande valore aggiunto che porta a una ricetta il gesto attento ed esperto delle persone che fisicamente la realizzano. Da noi ci sono operazioni che non si potrebbero mai eseguire al computer».

La vostra pausa gourmand?

MACCHIONE «Dopo cena, qualche quadretto di fondente ottanta per cento. Che è anche quello “funzionale” di rabbocco di energia dopo la corsa e lo sport».

PONTECORVO «Anch’io sono per l’amarissimo dopo cena, anche se una tavoletta di cioccolata al latte con le nocciole sarebbe la mia razione ideale».

 

Intervista apparsa su La Cucina Italiana – aprile 2021

Insieme per l’eccellenza: intervista a Andrea Macchione, Polo del Gusto

Insieme per l'eccellenza: intervista a Andrea Macchione, Polo del Gusto

Intervista a Andrea Macchione, primo amministratore delegato del Polo del Gusto, una sub-holding del gruppo Illy che riunisce le aziende di eccellenza extra caffè

Nel giugno 2019 nasce il Polo del Gusto, una sub-holding del gruppo Illy che riunisce le aziende di eccellenza extra caffè: a marzo 2021 viene nominato per la prima volta un amministratore delegato del Polo, Andrea Macchione, con una avvincente sfida da vincere.

Una sub-holding dirompente

Il Polo del Gusto è un gruppo di carattere, per ora, solo “finanziario”: è, cioè, una “srl” controllata dalla famiglia Illy che riunisce diverse aziende di eccellenza, che affiancano la Illycaffè Spa: Dammann per il tè, Domori per il cioccolato, Mastrojanni per il vino, Agrimontana per confetture e marroni e Fgel (Bonetti) per pasticceria gelateria. Aziende che la Illy ha acquisito in varia percentuale negli anni, seguendo linee guida ben precise: qualità eccellente, rispetto per l’ambiente, unicità di prodotto, caratteristiche riunite nell’originale definizione di Qualità dirompente.

Abbiamo intervistato Andrea Macchione, già in azione per conquistare nuovi orizzonti.

Andrea Macchione Polo del Gusto
Andrea Macchione Polo del Gusto

Dott. Macchione, la costituzione del Polo ha come scopo il rafforzamento delle aziende del gruppo, un ampliamento di marchi e una futura quotazione in Borsa. Quali sono le prime azioni che intraprenderà come nuovo Ad?

Azioni che ho già intrapreso: ho avviato la ricerca del partner finanziario, che dovremo trovare entro il 2021. È un’operazione complessa, perché il partner dovrà sposare in toto il nostro progetto, la filosofia con cui vogliamo portarlo avanti, con tutti i nostri valori aziendali, e la “way out”, cioè la chiusura del progetto: dopo 10 anni, pensiamo di quotare in borsa il Polo, o le singole aziende, concludendo il progetto condiviso con il nostro Partner. 

Diciamo che proprio in questi giorni sono partite le “consultazioni”. La fase due, ottenuto il concorso finanziario, sarà quella di sostenere le aziende del gruppo che hanno progetti importanti, e contemporaneamente di acquisirne altre.

Come sa, la nostra Rivista si è fatta promotrice della candidatura della nostra tradizione gastronomica a bene immateriale Unesco. Pensa che l’attività del Polo sia in linea con i valori del made in Italy? Come?

Senz’altro, proprio perché si fa interprete di tutti i valori che stanno dietro, e dentro, ogni prodotto di qualità: unicità del prodotto, eccezionalità, il posizionamento in un determinato tipo di mercato, l’importanza della materia prima, la tracciabilità, la biodiversità, la sostenibilità, il rispetto. 

Il Polo, poi, si propone di ampliare il raggio d’azione delle aziende già presenti e di coinvolgerne altre, in un moltiplicatore di qualità che non può che rafforzare il made in Italy, anche come punto di riferimento per un commercio internazionale. Aziende eccellenti, tutte legate da un filo verde, e dico verde per sottolineare la sensibilità ai temi della sostenibilità. 

Non ci sono solo aziende italiane, però: come mai?

Perché ciò che ci guida è un concetto che definiamo come “qualità dirompente”: un’idea che include, oltre alla qualità superiore, anche una forte identità e una unicità di ciascuna azienda. Certo abbiamo un focus molto importante sull’Italia, quando troviamo qualità, sostenibilità e unicità in un’azienda italiana la preferiamo, altrimenti non ci precludiamo la possibilità di includere produttori stranieri. Sempre tenendo conto che i selezionatori e i criteri di selezione sono i nostri, italiani quindi. 

E sulla tipologia di prodotti? Caffè, tè, vino, cioccolato, confetture e pasticceria stanno tutti bene insieme, come in un’unica famiglia. Avete intenzione di restare in questo ambito o di espandervi oltre?

Per il momento, staremo in questa area, proprio perché è più facile favorire la sinergia tra aziende che hanno affinità tra loro. Ma certo non vogliamo porci limiti a priori.

Il pubblico dei consumatori spesso conosce i marchi delle singole aziende di Polo del Gusto, ma non il Polo stesso. C’è interesse a creare un’identità del Polo più spendibile anche commercialmente? Magari con un marchio ed eventuali punti vendita?

Sì, pensiamo a creare una rete di negozi, sia fisici sia virtuali, con un marchio del Polo, ancora da individuare, nei quali poter acquistare i prodotti delle aziende associate. Negozi di dimensioni medio piccole e piattaforme on line, nelle quali favorire proprio la sinergia tra le singole aziende. 

Lei ha “militato” a lungo come Ad di Domori: qual è l’insegnamento che porterà da questa azienda nella sua nuova sfida?

Certamente i principali valori e la passione per la bellezza che sono comuni a tutte le aziende del Gruppo Illy, e che saranno moltiplicati nel Polo. Inoltre, avendo guidato una realtà come Domori, così bella ma così complessa in uno dei momenti più difficili della storia, porto con me una grande resilienza: “mai mollare”.

Ci rivela la sua top list di golosità Polo del Gusto? 

Comincio dal mondo del cioccolato: il Criollo monorigine Porcelana e i tartufi di Domori, la Jewel Box di Prestat (azienda britannica di cioccolato controllata da Domori, ndr.), ispirata alla scatola personale di Regina Vittoria, ed è piena di delizie tra cui i tartufi, simbolo di Prestat. Per Agrimontana, ho una passione per le marmellate, una linea che si chiama Le extra, in particolare per quella di arance amare. È particolare perché è senza glutine, io sono celiaco, ha il 30% in meno di zuccheri e ha un’etichetta in carta riciclata. Per Dammam il mio preferito è il Jasmin, tè verde al gelsomino. Che oltretutto ha nell’elenco dei tè Dammam ha il numero 13, il mio numero fortunato. Per Mastrojanni, poi, mi piace il Brunello di Montalcino, il base: perché le grandi cantine secondo me si misurano dai vini base, e non dai cru dove ci sono ovviamente le eccellenze. Il Brunello base di Mastrojanni è pazzesco, una cosa incredibile. 

Una cosa che vuole dirci in particolare?

Un piccolo sogno: mi piacerebbe che il primo negozio del Polo si aprisse a Trieste (la città di Illy, ndr). Guadagnerebbe un pizzico di romanticismo, che anche il business, in fondo, deve avere.

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