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Belle maniere a tavola: vecchio e nuovo a confronto

La Cucina Italiana

Quando si parla dell’inizio delle belle maniere a tavola e in cucina, uno dei momenti più significativi della ristorazione a Saint-Tropez è stato, negli anni Ottanta, l’approdo di Alain Ducasse al Byblos, il mitico hotel rifugio di nomi famosi nel cuore di quello che era stato un villaggio di pescatori. Il problema irrisolto era come creare un menù e arredare i tavoli in armonia con lo spirito del luogo. Apparentemente casuale, in realtà con precisi codici di eleganza. Ducasse si inventò un menù costruito su associazioni libere tra portate, contorni e salse e cancellò la complicazione del servizio inventando una posata unica, allo stesso tempo cucchiaio, coltello e forchetta. Una semplificazione geniale che ritorna attuale per un invito informale a casa che oggi deve snellirsi in armonia con l’imperativo di risparmiare energia (e energie!), di ridurre gli scarti e di abbreviare le preparazioni in cucina allungando il piacere di stare in compagnia.

Belle maniere a tavola

La tavola uno contro tre

L’idea di Spoon, la posata unica di Alain Ducasse, è stata ripresa da Davide Oldani nel suo percorso di semplificazione della tavola al D’O, il suo ristorante di Cornaredo. Si chiama Passepartout, è firmata da Schonhüber Franchi e, in versione simile, da altri produttori.

L’uovo a sorpresa

Chiuso, è un bellissimo uovo di metallo color argento da appoggiare al centro della tavola. Aperto, è un contenitore di posate infilate nei loro spazi su una base di legno. Si scoperchia, un oooh di stupore è garantito e tutti si servono man mano della posata utile. Lo produce Christofle.

La Lazy Susan

Si allineano le portate sulla superficie di questo speciale vassoio che ruota grazie a un meccanismo nascosto alla base. Posto al centro della tavola libera la padrona di casa dall’onere di servire gli ospiti. Vari i diametri e i materiali, dal legno al cristallo. Nei negozi di arredo cinese.

La tovaglia

A casa siamo restii a far sedere gli ospiti a un tavolo senza il suo vestito della festa: la tovaglia. Ma è ora di riservarla alle grandi occasioni. E di ispirarci ai tavoli nudi e lustri della Real Casa inglese, a quelli della Great Hall di Harry Potter, cioè dei College di Oxford, e a quelli dei molti grandi ristoranti che il salto l’hanno già fatto. Sì, certo, ci vuole un bel legno, come quello dei nostri nonni.

Cortesie per gli ospiti

Succede sempre più spesso di archiviare il piacere di invitare amici a casa davanti alla prospettiva del tempo da dedicare al prima, al dopo e al durante della cucina e della tavola. Anche se non si tratta di un pranzo formale. E si finisce per andare al ristorante. Ma c’è aria di rinnovamento. Il pranzo classico prevede quattro portate: un antipasto, un primo, un secondo e, in chiusura, un dolce. Ma partendo dall’idea che oggi stare a tavola più di un’ora e mezzo annoia quando non è addirittura ansiogeno, si possono accorciare i tempi promuovendo l’aperitivo ad antipasto. In questo caso sono imperativi prodotti di qualità assoluta in un insieme meditato. Per esempio cubetti di un salume raro, trancetti di salmone serviti con un bicchierino di Akvavit ghiacciata, frutta acida, verdure croccanti con salse ad hoc. Naturalmente piattino e tovagliolo sono d’obbligo. Più sorprendente (ma più laborioso)? C’è anche l’altra soluzione, più confidenziale, che prevede di far seguire un aperitivo rinforzato da un solo piatto e da un dolce leggero. Moltissimi piatti unici della cucina italiana contadina e di quella esotica sono una lezione di risparmio di tempo, stoviglie, ingredienti, denaro. Un cuscus di verdure, un curry di carne con riso Basmati, una vignarola romanesca con le primizie di primavera. E poi un gelato. Vogliamo scommettere che sarà un successo subito imitato?

Le belle maniere in barca: 6 consigli preziosi

Le belle maniere in barca: 6 consigli preziosi

Nel racconto di J.K. Jerome Tre uomini in barca, Harris, George e Jerome, amici di vecchia data, col cane Montmorency, decidono di risalire il Tamigi in barca. Segue una serie di esilaranti avventure non così lontane dalla realtà. Perciò:

CONOSCI TE STESSO

Da uno a dieci, qual è la vostra tolleranza al sole, al freddo, agli spruzzi, al vento, al mal di mare? Anche all’ancora in una baia protetta, il dondolio delle altre imbarcazioni può essere micidiale. Tutelatevi con antinausea. Pelle delicata? In barca oli e creme sono da limitare al massimo se non da evitare perché macchiano e sono scivolosi. Quelli spray vanno usati sottocoperta o sottovento. Se siete ospiti, l’idea più elegante è chiedere proprietari che cosa usano e adeguarsi. L’effetto-sole in mare è molto più tosto che a terra: un’ariosa camicia chiara a maniche lunghe, cappello e occhiali anti-riflesso sono necessari.

PAROLA D’ORDINE: ORDINE!

Il primo a dover osservare questo imperativo è il proprietario stesso della barca. Ogni oggetto deve avere il proprio angolo deputato e lì essere ricoverato, pena vederlo rotolare durante la navigazione. Questo vale per le scarpe, che si tolgono prima di salire sulla passerella e si raccolgono in un cestino, o che ciascuno ritira nella propria sacca; vale per maschere, pinne, asciugamani e costumi bagnati che non si lasciano qua e là. In barca si sale col costume già addosso sotto pantaloncini, per evitare laboriosi metto-tolgo.

CIVILTÀ A BORDO

Non si fuma all’interno della barca per ragioni di sicurezza; all’esterno, ci si mette sottovento. Il volume della musica (ma è proprio necessaria?) va tenuto basso. Parsimonia con l’acqua dolce! Non docciatevi a ogni tuffo. Non sdraiatevi direttamente sulla tolda, ma sulla vostra spugna. Il topless, a meno che non sia usanza della signora che ospita, va evitato. Durante le manovre, se non si è capaci o richiesti, si sta fermi e zitti. Poi ci si può offrire per piccoli servizi come pulire la tolda, arrotolare una cima o lucidare gli ottoni.

RIFIUTI: UMANI E NON

Capita e, spiace dirlo, molto spesso nei luoghi più blasonati. Mentre pisolate felici dopo il pranzo a bordo, ecco avanzare una flottiglia di schiume, piatti e bicchieri di plastica, bucce, bottiglie vuote, buttati fuori bordo dai porcelloni del mare. Voi raccogliete con cura il vostro, briciole comprese, e portate a terra. A proposito: se la barca ha i servizi igienici, guai a sgarrare l’imperativo «solo rifiuti umani nel WC marino». Tutto il resto va nell’apposito cestino.

APPETITI ALL’ONDA

Le opinioni su che cosa mangiare a bordo variano in base alla stazza della barca e se a motore o a vela. Per la gita giornaliera regolatevi come per un picnic spartano: focacce o tramezzini farciti a misura di boccone, evitando salse colanti; frittate a cubetti, verdure a bastoncino, piccoli frutti. I patiti della vela tendono a fare solo due pasti:prima colazione abbondante e cena. Sulle barche a motore i riti sono un po’ meno rigidi. In navigazione si tengono pronte cose solide, che non facciano briciole, facili da mangiare, come ciotole di riso composte tipo poke, ratatouille di
verdure, polpette.

CUCINARE IN BARCA

Non è lo stesso che cucinare tout court. Bisogna sapersi muovere in spazi risicati magari gestendo un fornello basculante e produrre piatti appetitosi in tempi brevi con un limitato numero di ingredienti tra cui molto scatolame. Un consiglio dal navigatore Giovanni Soldini: adottate la pentola a pressione, che serve per tutto e non può rovesciarsi. Altri comportamenti virtuosi: lavare le pentole con l’acqua in cui ha bollito la pasta; usare metà acqua dolce e metà acqua marina per cucinare. La tavola torna protagonista a cena. Dopo un aperitivo rinforzato, il conforto di un piatto caldo è necessario. Domina «lo spago» nelle sue infinite versioni alternato a cuscus o risotti veloci, e seguito da «paciughi» di gelati, sciroppi, frutta fresca e sotto spirito. Fritti? Soffritti? Pesce? Per favore, mangiateli al ristorante.

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