Tag: nata

Monastero Santa Rosa: dove è nata e si mangia la vera sfogliatella

Monastero Santa Rosa: dove è nata e si mangia la vera sfogliatella

La campana suona ancora, ma annuncia l’arrivo degli ospiti, non la messa. Si gira la ruota degli esposti da cui viene servita una limonata e l’orto delle monache si è trasformato in un giardino. Al Monastero Santa Rosa hanno inventato la sfogliatella Santa Rosa e quattro secoli dopo la servono ancora – in versione classica, dessert e persino salata. La sfogliatella Santa Rosa – o meglio “la Santa Rosa” e basta – è uno dei dolci più conosciuti della pasticceria napoletana e della cucina italiana tutta. Oggi la si trova un po’ ovunque, ma nel Settecento la si preparava (così vuole la leggenda) in un unico luogo: un monastero arroccato in Costiera Amalfitana.

Il Monastero Santa Rosa si erge imponente su un promontorio a Conca dei Marini, pochi chilometri da Amalfi, e venne costruito a partire dal 1680 dalla famiglia Pandolfo per la figlia primogenita Vittoria (ordinata suora probabilmente più che per fede, per evitare di disperdere il patrimonio in dote). Monaca domenicana, prese il nome di suor Maria Rosa di Gesù e il grande convento fu dedicato a Santa Rosa da Lima. Santa Rosa da Lima era morta pochi decenni prima, era nobile di origini pure lei e la sua devozione la portò a rinchiudersi in una cella a pregare fra autoflagellazioni e digiuni, fino a infliggersi la morte. Un secolo dopo all’allora Conservatorio Santa Rosa le sorelle del convento inventarono un dolce sostanzioso per lenire gli appetiti della madre superiora e la dedicarono alla santa, da qui il nome di Santa Rosa. Esatto, proprio a lei, che si era lasciata morire di fame.

Dalla storia alla pasticceria moderna

Le versioni sulla nascita del dolce sono molteplici, come spesso accade nella storia cucina. Un altro convento ne rivendica l’invenzione, quello napoletano della Santa Croce di Lucca, ma già prima nel 1570, Bartolomeo Scappi, cuoco che aveva servito papi e cardinali, nonché autore di uno dei più vasti ricettari mai scritti, citava una ricetta di «orecchine, et sfogliatelle piene di bianco magnare». Se la pasta sembrava già la medesima, il ripieno assomigliava a una ricetta probabilmente di origine araba, costituita perlopiù da un composto a base di latte di mandorle o latte animale, petto di pollo o polpa di pesce, zucchero, farina di riso. Diciamo che un secolo dopo la ricetta venne perfezionata in meglio, la sua diffusione contemporanea la si deve però al pasticciere Pasquale Pintauro, che ai primi dell’Ottocento modificò la ricetta originale ottenuta forse da una zia monaca. Nonostante sia un dolce presente oramai in tutti i bar e le pasticcerie di Napoli, ancora oggi è possibile gustare l’originale sfogliatella di Pintauro il cui laboratorio, seppur con una nuova gestione, è sempre lì in via Toledo, con la vecchia insegna perfettamente conservata. E al Monastero Santa Rosa ovviamente.

La ricetta originale, che non si fa più

Nel Settecento le suore, con farina, zucchero e latte, crearono un saporitissimo dolce e vollero dargli un aspetto particolare che ricordasse il cappuccio monacale o una conchiglia, quasi a evocare gli elementi più rappresentativi del luogo: il convento e il mare. Nel corso dei secoli le sfogliatelle Santa Rosa hanno subito qualche lieve ma importante ritocco nel dosaggio degli ingredienti e nella modellazione della forma, fino ad arrivare al gusto e all’aspetto attuali. Per citare il sito della Regione Campania, la base del ripieno era inizialmente costituita da semola, latte, zucchero e frutta secca rigenerata nel rosolio, la crema ottenuta veniva adagiata quindi su una “pettola”, cioè una sfoglia ricavata spianando una piccola quantità di impasto per la preparazione del pane al quale erano stati aggiunti sugna, zucchero e un po’ di vino, fino a ricavarne una friabile pasta frolla, una seconda “pettola” delle stesse dimensioni della prima serviva a ricoprire la crema di semola. Al dolce fu data la caratteristica forma del cappuccio monacale per essere, poi, adagiato nel forno caldo e infine decorato con crema e amarene.

Dolci conventuali e ricorrenze: santa Rosa il 30 agosto

I dolci conventuali come in altri paesi europei venivano prodotti per le famiglie della zona, regalati o, meglio, venduti per sostenere le casse dei monasteri. Qui a Conca dei Marini la tradizione si ripeteva ogni anno il 30 agosto, giorno di santa Rosa, e ancora oggi continua a tenersi annualmente una sagra dedicata a questa sfogliatella. Il ripieno però è formato da semolino, ricotta, canditi, uova, aroma di cannella e zucchero. La sfoglia esterna, composta di farina, sale e acqua lavorati a lungo per ottenere la giusta consistenza, si presenta riccia e guarnita con crema pasticcera e amarene sciroppate.

Da convento a grand hotel

Le monache hanno abitato il grande monastero coltivando spezie per preparare medicinali e rimedi per le malattie con i fiori e le erbe officinali dei propri giardini, orti terrazzati dentro le mura del monastero e oggi tramutati in lussureggianti giardini pensili. Le suore abitarono qui sino al 1912, quando l’ultima sorella morì e il convento tornò al comune e poi venne venduto per essere riconvertito poco dopo in hotel per una sessantina d’anni, prima di essere di nuovo abbandonato negli anni Ottanta. Nel 2000 l’imprenditrice americana Bianca Sharma, durante una crociera nel Golfo di Salerno, fu colpita della massiccia costruzione in degrado che dominava lo spettacolare promontorio, se ne innamorò al punto da acquistare la proprietà e trasferirsi in Costiera Amalfitana per seguire il minuzioso restauro che, nell’arco di dieci anni, lo avrebbe trasformato in un lussuoso boutique hotel. Nel 2012 era finalmente pronto e nel 2022 festeggia i dieci anni.

La cucina dello chef Alfonso Crescenzo

Da ogni finestra si vede il sole e il mare, il restauro conservativo ha mantenuto la struttura originaria e si dorme nelle celle delle monache, in giardino però si affaccia un’infinity pool iconica e fra le più belle al mondo e Il Refettorio è un ristorante stellato. Il nuovo chef Alfonso Crescenzo si occupa di tutto il food & beverage dell’hotel, dalle sfogliatelle classiche che accolgono gli ospiti in camera al loro arrivo sino alle versioni rivisitate. A conclusione del menù degustazione, la sfogliatella mantiene la forma e gli ingredienti, ma si trasforma in un semifreddo. A colazione Il Santa Rosa invece è un sontuoso french toast con prosciutto di maiali locali, uova in camicia e fonduta di provolone. La colazione è destinata ai soli ospiti delle 22 camere dell’hotel, ma pranzo e cena sono aperti anche ai clienti esterni che possono pranzare all’ombra dei limoni al ristorante Antica Rosa con i piatti più classici della cucina partenopea, o cenare sulla terrazza del ristorante stellato Il Refettorio. 
Cinque stelle lusso amato dagli americani, il Monastero Santa Rosa è uno dei luoghi più amati per le proposte di matrimonio anche dai locals e da molti italiani: esiste un pacchetto Proposta di matrimonio “soddisfatti o rimborsati”. Se lei ti dice no, ti rimborsano, e mal che vada puoi ingoiare l’amaro boccone con un morso di sfogliatella Santa Rosa.

È nata la Grande Bottega Italiana

È nata la Grande Bottega Italiana

Una nuova start up per conoscere e degustare le eccellenze italiane. Il tutto fatto con molto sentimento grazie a Davide Rampello e i suoi soci

Scoprire specialità gastronomiche significa raccontare storie. Le storie degli uomini che le hanno prodotte. E’ questo che provano a fare Davide Rampello, profondo conoscitore delle eccellenze enogastronomiche del nostro Paese oltre che ambasciatore nel mondo del Made in Italy, e Stefano Merlo, creatore di startup di successo con importanti trascorsi in ambito finanziario e digitale, grazie al progetto Grande Bottega Italiana, la Community di produttori esclusivi riuniti in una rete agricola, che porterà sulle tavole degli italiani il meglio della nostra tradizione. 

Come è nata l’idea

«Questa storia è iniziata dopo un mio viaggio in Basilicata – spiega Stefano – dove ho conosciuto tanti giovani agricoltori, appassionati del loro lavoro ma con l’esigenza di far conoscere i loro prodotti. Rientrato a Milano ho chiesto a Davide un supporto per poter essere d’aiuto a persone come i giovani lucani, con così tanto entusiasmo e coraggio ma pochi mezzi. La sua risposta è stata un sì immediato. E così mi sono imbattuto in Luigino, un agricoltore di un piccolo borgo a destra del Po, il quale, dopo aver raccolto nella sua proprietà 24 delle 33 razze bovine autoctone in estinzione, cercava un aiuto per il loro sostentamento. In quella struttura un po’ fatiscente ma dall’atmosfera armoniosa, Luigino chiamava ogni sua mucca per nome. Abbiamo deciso di aiutarlo a produrre derivati da latte da fieno. Insieme al nostro socio Luigi Barbarini, che è amministratore e proprietario dell’azienda agricola Mondo Piccolo, oggi produciamo 9000 forme di Parmigiano di altissima qualità utilizzando il latte delle mucche di Luigino. La peculiarità di questo modello di business è un modello misto». La capitalizzazione degli incontri di Davide in dieci anni di conoscenza del territorio e la creazione di una piattaforma digitale hanno fatto sì che ora 40 produttori di specialità agroalimentari italiane di grande qualità abbiano fatto rete e possano farsi conoscere grazie a Grande Bottega Italiana. «Il mercato del cibo – prosegue Stefano – è colmo di eccellenze organizzate in strutture degne di nota. Ma lì si va a fare la spesa. Da noi invece si affina un desiderio, che è una cosa diversa. Il desiderio nasce dall’esperienza e per fare esperienza bisogna essere informati, conoscere il prodotto e confrontarsi con i produttori. Il nostro obiettivo è formare una community tra produttori, allevatori e consumatori, che faccia della cura delle cose il proprio stile di vita. Che faccia le cose con sentimento».

Il vero valore di Grande Bottega Italiana

L’Italia scoperta da Davide e Stefano è il paese della cultura estensiva, dove il contadino è un artigiano, perché è lo studioso dell’ars agraria: tutto il suo lavoro è sostenibile per definizione, nella sua arte è insito il concetto di economia circolare, di non spreco. Dentro questa visione profondamente etica, dove c’è il senso vero e profondo della ricerca del buono, del giusto e del bello, c’è tutto un mondo da mettere assieme e da valorizzare. «Più che di prodotti, noi parliamo di storie di uomini – spiega Davide. Noi raccontiamo di tutti i Mario Rossi, i Gioacchino Rossini che producono un dato alimento. Ne raccontiamo i sogni, le speranze, le disgrazie: oggi questo è il vero valore, raccontare e far conoscere le storie di tutti questi uomini e donne».

Il focus di Grande Bottega Italiana è dato dall’olio extravergine di oliva, dal Parmigiano e dal pomodoro, ma l’idea è quella di allargare a tutte le biodiversità italiane. «Volevamo aspettare il momento giusto per presentare il nostro progetto – afferma Davide – una volta sicuri che tutto fosse stato a posto. La Grande Bottega Italiana nasce con questa sensibilità, non a caso abbiamo parlato di sentimento. Se c’è una cosa che si sta diluendo molto in questi anni è proprio il concetto del sentire, del sentimento, il concetto del ricordo, di memoria. E la nostra start up è nata per raccontare queste storie. Occorre capire di cosa abbiamo bisogno: va benissimo il cibo, gli alimenti, ma tutto questo è per creare una rete che sia un valore aggiunto per donne e uomini che vanno sostenuti, che vanno fatti conoscere. Noi parliamo anche di piccoli comuni, molti dei quali in via di abbandono. Questo spopolamento implica un degrado idrogeologico, è un’unica catena. I ragionamenti che ci hanno spinto a creare questa azienda sono partiti da questo tipo di visione, da questa sensibilità. Conoscere tutte le declinazioni di un territorio significa poterle conservare, non dimenticarle. Dalla parola sapore viene la parola sapere, la radice è la stessa. Se perdiamo sapori, perdiamo saperi. E’ proprio questo che volevamo comunicarvi».

L’Olio di Notte

Pier Luigi Cresciutini è un contadino viterbese che ha avuto una visione. Nel suo territorio, a Montefiascone, ha scoperto l’esistenza di oltre 100 mila ulivi abbandonati, molti dei quali già inglobati nel bosco. Pier Luigi ha deciso di salvarli. «E’ chiaro che lavorare su un ulivo che si sta inselvatichendo – spiega Davide –  significa applicare un sistema di potatura completamente diverso da quello usuale,  occorre ridare linfa alla pianta. Luigi ha anche elaborato un sistema di potatura adeguato a questo e ha messo in piedi una scuola per insegnare ai giovani questa nuova pratica. Ha avuto poi l’intuizione di raccogliere le olive di notte, per evitare l’ossidatura data dal sole e conferire così ancora più valore all’olio. L’oliva viene quindi raccolta e molita nel minor tempo possibile. Questo porta a un aumento per l’olio del 20-25% di polifenoli, un quinto in più dei valori consueti. Noi abbiamo deciso di aiutare Pier Luigi vendendo il suo olio, e tutto ciò che ha fatto lui, ecco fa parte di quel racconto che rende tutto un po’ magico».

L’oliva che sa di nespola

E per narrare meglio le storie di tutti gli agricoltori che fanno parte del progetto di Stefano e Davide, non si può tralasciare di dire che tra gli ulivi recuperati da Pier Luigi, ce ne è anche un tipo che si trova soltanto all’interno della città di Viterbo.  L’oliva che produce, molto grossa, aveva lo scopo di essere molita ma anche mangiata. Si tratta di un frutto molto particolare: per come è stata coltivata, e ha oggi come minimo 700 anni, non sa di carciofo, di erba o di cardo, ma di frutta, di nespola. E’ un unicum che si trova soltanto in questa parte di Italia. Per ogni litro di olio venduto, Pier Luigi riesce a recuperare una pianta. Un buon punto di partenza, senza dubbio!

Cosa offre Grande Bottega Italiana

Tra i tanti prodotti di Grande Bottega Italiana ci sono i box Sapori e Sapere, un insieme di referenze utili per la creazione di un piatto. Un esempio è la Tricolore Box: pasta, Parmigiano Reggiano, pomodori e olio per un magnifica porzione di pastasciutta. «La passata è fatta da Beppe Vessicchio, il direttore d’orchestra – spiega Stefano – che a Sarno ha sperimentato un metodo di coltivazione che è quello delle frequenze musicali, per poter lavorare sulle armonie molecolari dei pomodori San Marzano. E poi pasta di Gragnano trafilata al bronzo e olio extravergine di oliva di varie parti di Italia. Tra i progetti futuri, l’estero e la valorizzazione territoriale di alcuni di piccoli borghi italiani. Da lì si innescherà un sistema rete delle attività tipiche del territorio. Siamo soltanto all’inizio!».

> https://lagrandebottegaitaliana.com/

Il pranzo della domenica con Radio Deejay: come è nata la colomba di Pasqua

Il pranzo della domenica con Radio Deejay: come è nata la colomba di Pasqua

Ospiti a Radio Deejay, abbiamo parlato delle origini della Colomba e delle nuove Uova di Pasqua di tendenza – spunti golosi!

Nell’ultima puntata di Il pranzo della domenica, la rubrica dedicata alla cucina ospite del programma DeeNotte condotto da Gianluca Nicola Vitiello ogni venerdì sera su Radio Deejay, abbiamo commentato una recente diatriba online sulle origini del secondo dolce delle feste più celebre dopo il panettone: la colomba pasquale.

Sembra che la colomba moderna, sia stata lanciata grazie alle campagne pubblicitarie del celebre Dino Villani (lo stesso che lanciò Miss Italia per intenderci) per la ditta fondata nel 1919 da Angelo Motta con un laboratorio in Via Chiusa a Milano. Motta decise di tenere aperto lo stabilimento anche il semestre successivo alla produzione del panettone. Ne nacque un dolce a forma di colomba con una pasta simile a quella del panettone, che venne spedito a famosi scrittori e giornalisti del tempo per sondarne la buona riuscita: fu un successo.

Le prime colombe erano ricoperte di glassa bianca, con una mandorla intera al posto dell’occhio Oggi le versioni e le farciture, da Nord a Sud non si contano: c’è quella al limoncello, alla crema d’arancia, al cioccolato. La tradizione la vorrebbe invece con una glassa bruna fatta di albumi, zucchero e tante mandorle a punteggiarla. Nell’impasto, simile a quello del panettone, soli canditi di arancia.

Tuttavia i primi riferimenti a questo dolce sono ben più antichi rispetto alla produzione della ditta milanese e si sparpagliano su tutta Italia, come succede sempre per le tradizioni. La leggenda risale all’alto medioevo longobardo quando, dopo 3 anni di assedio re Alboino riuscì ad entrare a Pavia alla vigilia della Pasqua del 572 d. C. Per placare la sua ira, sembra che si fosse presentato a lui un panettiere, offrendogli un dolce a forma di colomba, in cambio di una promessa di pace.

Si può auspicare che a colomba derivi non dal panettone ma dalla Veneziana, un dolce della Serenissima, natalizio, e glassato come la colomba o dal Nadalin veronese, una sorta di pane dolce delle feste natalizie.

Infine , riferimenti alla colomba pasquale si ritrovano anche nei cosidetti palummeddi o pastifuori siciliani, antichi dolci pasquali fatti di pastafrolla a forma di colombina , sul cui corpo è inserito un uovo  trattenuto da una croce, come nella più classica iconografica cattolica.

Questa Pasqua potete gustare anche la colomba realizzata da noi de La Cucina Italiana in collaborazione con la storica Pasticceria San Carlo di Milano: un dolce omaggio alla tradizione con una sorpresa in più: acquistandola avrete in regalo 2 mesi di corsi digitali con la nostra Scuola. In vendita su pasticceriasncarlo.it e su larinascente.it.

Nella seconda parte del nostro collegamento invece, parliamo di uova di Pasqua e tendenze 2021. Quest’anno il trend le vuole croccanti: granella a go-go e incrostazioni di frutta secca, in primis il pistacchio, davvero utilizzato da tanti pasticceri anche per farcire e decorare le colombe. Molto in voga anche le uova esotiche a forma di ananas, mango, cocco, papaia.  Grande ritorno del cioccolato bianco. Per i più sofisticati ci sono quelle con messaggi e con le iniziali del destinatario, oppure quelle grafiche, a forma di scultura.

Il prossimo appuntamento con La Cucina Italiana e Deenotte è per venerdì 09 aprile dalle 22 su Radio Deejay: potete collegarvi via radio, Tv, computer e cellulare: basta scaricare l’app. E se ancora dormite o vi siete persi la puntata niente paura: la potete scaricare qui e ci sono anche podcast e playlist. Buona domenica!

Proudly powered by WordPress