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Storie di agricoltura biodinamica: 3 imprenditrici si raccontano

La Cucina Italiana

Federica: «Mi ritengo fortunata perché porto avanti un percorso di agricoltura biodinamica, iniziato da mia madre e che io ho condiviso appieno. A mio avviso, biodinamico è sinonimo di qualità e rispetto. Qualità della nostra vita e di quella di animali, piante e di tutto ciò che ci circonda; rispetto per il presente che viviamo e per quello che lasciamo per il futuro».

Rosalia: «Ho iniziato a produrre riso e cereali biodinamici dopo i 35 anni, ma da decenni leggo Steiner e mi interesso di antroposofia. Quando mi sono dedicata pienamente all’agricoltura, ho seguito vari corsi sulla biodinamica e ho messo in pratica quello che avevo imparato sui libri. Applicare questi principi non significa soltanto adottare un metodo di coltivazione, ma scegliere un vero e proprio stile di vita, nella sfera lavorativa e privata».

Qual è il valore aggiunto di essere un’azienda biodinamica certificata Demeter?

Dora: «La sostenibilità è un tema attuale per il nostro e per altri settori, e possiamo dire che quella biodinamica sia la pratica agricola sostenibile per eccellenza: le piante si nutrono direttamente dall’humus presente nel terreno, la cui fertilità è la prima preoccupazione di chi coltiva, producendo così alimenti sani. La certificazione Demeter garantisce quindi al consumatore, attraverso un marchio riconoscibile in tutto il mondo, che il cibo che sta acquistando faccia bene alla sua salute e a quella dell’ambiente».

Federica: «Essere certificati Demeter, prima di tutto, significa condividere gli stessi principi di vita e di lavoro con colleghi e amici. È inoltre una strada per far conoscere a tutti l’agricoltura biodinamica ed è garanzia per il consumatore».

Rosalia: «Il marchio Demeter ci consente di vendere i nostri prodotti al nostro target, attento alla salute e all’ambiente. Vi sono inoltre iniziative e convegni organizzati dall’associazione, utili per gli addetti ai lavori e per tutte le persone che desiderano approcciare questo metodo di coltivazione e fare networking».

L’impegno delle donne e di tutti gli agricoltori del mondo biodinamico è quindi una costante. Non si tratta solo di un modo di fare agricoltura, ma di una vera e propria filosofia di vita. Demeter Italia, che ha sede a Parma, garantisce che ogni fase del processo, dalla produzione alla trasformazione dei prodotti, sia conforme ai principi di sostenibilità, nel rispetto della natura e del ciclo delle stagioni, e fa sì che le aziende possano fregiarsi di un marchio riconosciuto a livello mondiale.

Le clementine del futuro raccontano l’agricoltura italiana | La Cucina Italiana

Le clementine del futuro raccontano l’agricoltura italiana
| La Cucina Italiana

Clementine e mandarini sono tra i frutti più amati della stagione invernale: piacciono anche ai bambini, sono belle da vedere e facili da mangiare, sia a casa sia in ufficio. Dopo le arance sono gli agrumi più venduti, sono immancabili sulla tavola delle Feste, ma rischiano di scomparire. Il cambiamento climatico ha ridotto infatti il raccolto di più del 30% nello scorso anno e quindi il futuro dell’amato frutto (almeno quello italiano) sembra essere appeso a un filo. Che fare? Ricerca.
Siamo andati così letteralmente “sul campo” per conoscere di più sulla loro coltivazione e scoprire che la storia delle clementine non è molto diversa da quella degli altri frutti, e per avere una visione ben più ambia su quello che portiamo in tavola, e che porteremo nei prossimi anni.

La clementina… non esisteva

Se mandarino, pomelo e cedro sono frutti originari, tutti gli altri agrumi sono la conseguenza di incroci spontanei o voluti dall’uomo in epoche anche remote. Sono nati così limoni, arance e tutto il resto che consideriamo oramai tradizionale, come le clementine, o che appare sul mercato come una novità, tipo mapo, Tacle e via discorrendo. Selezionate da un abate magrebino ai primi del Novecento, le clementine sono un incrocio fra arancio amaro e mandarino e da allora si sono diffuse in tutto il mondo, Italia inclusa. Come per tutta la frutta diffusa oramai da tempo, infatti, oltre alla versione comune sono state create anche diverse varietà, alcune sviluppate da università, aziende o privati. La ricerca è moltissima nel settore dell’ortofrutta ed è focalizzata nel cercare piante più resistenti ai parassiti, più produttive, capaci di dare frutti più “comodi” come quelli senza semi o di adattarsi a climi sempre meno favorevoli. La frutta “naturale” quindi non esiste, ma è il prodotto del sapiente lavoro dell’uomo, che dai tempi di Mendel e degli esperimenti sui piselli, ha saputo individuare e selezionare ciò che riteneva più buono, più utile, più pratico (senza OGM). Oggi questa ricerca prosegue senza sosta, per cercare nuovi prodotti di tendenza, ma soprattutto per sfamare gli 8 miliardi di abitanti della Terra e per superare gli effetti del cambiamento climatico.

La ricerca necessaria

Nel settore delle clementine, ma valga come esempio, minori piogge e condizioni atmosferiche di caldo estremo hanno determinato un drastico calo produttivo della varietà cosiddetta “comune” che rappresenta il 90% della produzione nazionale sparsa fra Calabria, Puglia e Sicilia. «Questo frutto dolcissimo di cui siamo stati per decenni il produttore europeo di riferimento», spiega Marco Eleuteri, presidente della Op Armonia, una delle maggiori realtà produttive e distributive italiane del segmento, «ha via via perso smalto e la produzione nazionale è in continuo calo, nel frattempo altri Paesi, come la Spagna, il Marocco e l’Egitto, sono diventati più competitivi perché, lavorando sul miglioramento varietale, hanno ampliato il calendario commerciale e aumentato la resa. Anche perché qui i consumi si concentrano nell’arco di cinque mesi, e soprattutto tra metà dicembre e fine gennaio, quando oramai scarseggia il prodotto made in Italy». Di questo passo, insomma, rischiamo di non mangiare più clementine italiane a Natale; e questo è solo un assaggio di preoccupazioni economiche e di prospettive ben peggiori per gli agricoltori contemporanei. Il problema non è finire per importare frutta dall’estero, ma smettere di fare ricerca e di vocarsi come Paese a produzioni di qualità, come vera formula per il successo made in Italy. Il protezionismo in questo campo non passa quindi dalla conservazione dell’esistente, ma dalla sua continua evoluzione: l’agricoltura tradizionale – o banale, come la definisce Eleuteri – di varietà “comuni” che punta tutto sul prezzo e non sulla qualità, risulta sempre meno competitiva, garantisce profitti minori e in senso prospettico non sembra quindi rappresentare il futuro dell’agricoltura nazionale. La confessione è che ha fare produzioni convenzionali e “comuni” spesso ci si pagano a malapena le spese e si finisce schiavi degli aiuti economici, mentre a fare qualità ci si guadagna, in tutti i sensi. Camminando fra le coltivazioni sperimentali di agrumi e centri di selezione e confezionamento con i soci della OP Armonia si capisce subito che la soluzione è investire, in varietà innovative o grani antichi poco importa, ma comunque in prodotti ad alto valore aggiunto. E lavorare in sinergia fra produttori in modo organizzato per gestire gli accordi commerciali con le grandi catene di supermercati, e fare marketing. Per fare agricoltura non basta lavorare bene sul campo, insomma.

Perrina, la nuova clementina

Il clima non è più quello di una volta, ma neppure la frutta, ed ecco che la risposta è una nuova clementina, la Perrina, varietà frutto della mutazione spontanea e dell’adattamento naturale della pianta che consentirà presto di avere una produzione tardiva, cioè fino a primavera inoltrata. Arriverà sul mercato nel 2023: la prima volta che il suo scopritore ne aveva parlato era il 1995. Francesco Perri, agronomo calabrese specializzato in agrumi, ha lavorato in collaborazione con Op Armonia e il Crea-Ofa di Acireale, ente pubblico e principale centro di ricerca agrumicola nazionale, a un programma di “miglioramento genetico della clementina italiana” che ha significato un lungo percorso, centinaia di ibridi ancora in osservazione e ingenti investimenti. Il risultato? Una varietà stabile, sicura, già testata, per un frutto buonissimo che ha meritato anche un premio internazionale al Superior Taste Award 2021 insignito da una giuria composta da alcuni dei migliori chef e sommelier del mondo. La Perrina arriverà sul mercato con il marchio DolceClementina, perché la bontà ha bisogno di essere comunicata, e per farlo a Battipaglia si sono inventati anche un logo con cui commercializzare il proprio prodotto e renderlo riconoscibile. Da commodity a brand, la clementina ha iniziato un percorso per non essere più semplicemente “italiana”, e indica una traiettoria per l’agricoltura italiana tutta. Non solo made in Italy, ma riconoscibile, oggettivamente migliore e con un futuro a cui guardare.

Dieci locali che raccontano benissimo il Molise

Dieci locali che raccontano benissimo il Molise

Fra Abruzzo e Puglia, il Molise è una piccola regione che dall’Adriatico si arrampica fino all’Appennino, dove la tradizione è difesa al meglio. Fra cavatelli, torcinelli e baccalà “arraganato”. Seguiteci nel nostro tour

Una cucina antica, ricca di sapori forti e decisi. Basata su una vasta scelta di prodotti tipici genuini e di eccellente qualità, grazie al fatto che nella sua piccola superficie si estende dall’Adriatico all’Appennino. Il Molise non è regione da copertina, forse, ma merita sicuramente una visita quanto le tre con cui confina: a nord l’Abruzzo, a sud la Puglia e a ovest la Campania. L’aspetto più interessante – dal punto di vista culinario – è che ne risente in parte, ma non si è fatta assolutamente schiacciare tanto da crearsi una propria cucina, rustica per molti versi, ma di grande personalità che si può gustare in locali, apparentemente fuori tempo o proprio vecchi per chi arriva da una città, ma in realtà perfettamente calati nello spirito, semplice e curato, dei borghi o delle principali cittadine come Campobasso. Una regione con tante eccellenze agroalimentari (159 per il Ministero dell’Agricoltura, con numerosi latticini, formaggi e salumi), cinque DOP in comproprietà con quelle confinanti e una assolutamente propria, ossia l’olio extravergine Molise, ottenuto dai frutti delle varietà Aurina, Gentile di Larino, Oliva Nera di Colletorto e Leccino.

Specialità di ogni tipo

Il Molise è anche una terra di pasta. La specialità è rappresentata dai cavatelli, ricavati dalla semola di grano duro e lavorati a mano come le orecchiette: vengono serviti al pomodoro o alle verdure mentre il condimento più tipico è il sugo a base di carne di maiale. Una cucina povera con peculiarità sorprendenti: la “pizza e minestra”, che unisce a una focaccia di grano e patate le verdure lessate e condite; le sagne, pasta fresca di acqua e farina di grano duro, di forma romboidale, con ceci o fagioli; il pancotto, zuppa di verdure con pane raffermo e guanciale. E poi un trionfo di carne, con i torcinelli a fare la parte del leone: involtini a base di intestini di agnello, avvolti intorno a un ripieno di fegato e trippa, preparati alla griglia o al forno. Creano dipendenza. Ma non dimentichiamo che nei pochi chilometri di sbocco al mare – con Termoli centro principale – ci si diverte molto con il pescato. E in ogni caso il piatto simbolo del Molise – quello che vedete in apertura – è il baccalà ‘arraganato’ ossia un timballo dove il pesce viene unito a mollica di pane, pomodorini, olive, uvetta e pinoli. Era tipico della Viglia di Natale, ora (fortunatamente) è stato sdoganato. Ora la nostra selezione di locali, buon appetito.

L’Elfo – Capracotta

Un locale che occupa le cantine di un palazzo signorile dove la tradizione è interpretata con una visione moderatamente creativa: pasticcio di patate con lardo fuso e lenticchie di Capracotta chitarra con broccoli, guanciale e mollica tostata; cosciotto di castrato brasato agli agrumi.

Osteria del Borgo – Larino

Si sta sempre bene nelle due salette con mattoni a vista di questo locale, in pieno centro storico. Piatti imperdibili: pallotte cac’e ova; cavatelli al ragù di ventricina del Vastese, panciotti di pampanella ossia carne di maiale speziata con aglio e peperoncino.

La Grotta da Concetta – Campobasso

Due sale e un cortile, Chiocciolina Slow Food. Tappa fondamentale per capire il valore dei prodotti e della cucina regionali: basta il trittico all’antipasto (ciambotta, parmigiana di melanzane, zucchine fritte) per entrare nel mood giusto.

Da Filomena – Bojano

Storica trattoria che da mezzo secolo rende di buon umore gli appassionati molisani (e non solo). Molta sostanza nei piatti: frittata con fegatini, tagliatelle ai porcini, torcinelli di agnello. I due patron – Teodoro e Filomena – sono veri personaggi.

Locanda Mammì – Agnone

La migliore “osteria moderna” della regione all’insegna della cucina popolare creativa, basata su una grande materia prima e la voglia di rivisitare intelligentemente. Consigliabili i due menu degustazione a 35 e 50 euro per scoprire i piatti migliori. Cantina di livello.

Da Nonna Rosa – Campomarino

Un’istituzione della cucina molisana, in un piccolo borgo. Il patron Giuseppe Labbate è il re della griglia, dove prepara benissimo grandi tagli di carne scelta, frollata il giusto. Ma c’è anche tanto altro, a partire dalle orecchiette di grano arso al ragù di agnello.

Osteria dentro le Mura – Termoli

Il dehor è fantastico, la piccola sala interna piacevole. Ma quello che conta è la passione nel trasformare la “spesa” al mercato in una sequenza di gustosi piatti ittici, a partire dagli spaghetti quadrati allo scoglio e dal brodetto alla termolese.

I Peccati di Bacco – Campobasso

Pochi (e ricercati) coperti nell’osteria di Stefano Baranello, patron che “racconta” bene il menu e la carta dei vini, all’insegna delle eccellenze molisane e abruzzesi. Si parte bene con un piatto di formaggi locali e si chiude con i tozzetti con cioccolato e uvetta.

Aciniello – Campobasso

Trattoria, con oltre 70 anni di attività, adatta per una rapida pausa pranzo come per una cena completa. Menu scritto a mano che varia spesso, ma non perde mai il filo e offre la tradizione regionale, dalla pizza e minestra sino al fegato di maiale con la rezza.

Morielllo 2.0 – Termoli

Cucina adriatica, di grandissima materia prima, che l’oste Leonardo Moriello sceglie con grande cura. Dai carpacci del giorno al San Pietro in guazzetto c’è una mano felice nelle preparazioni. Menu degustazione da 15 euro a pranzo e da 35 a cena.

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