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Quanto tempo si può restare seduti al bar? E al ristorante?

La Cucina Italiana

Quanto tempo si può restare seduti al bar? Le stesse regole valgono per i ristoranti? È consentito indugiare a tavola dopo aver fatto colazione o aver pranzato e cenato? Spesso è un rito, particolarmente piacevole quando si è in vacanza o nei weekend, ma ci sono delle regole da rispettare? Ce lo siamo chiesti e ne abbiamo parlato con un esperto: l’avvocato Alessandro Presicce, presidente provinciale della sezione di Lecce di Adoc (Associazione per la Difesa e l’Orientamento dei Consumatori).

Quanto tempo si può restare seduti al bar? E al ristorante?

«Sono molti i consumatori che si fanno domande di questo tipo – dice l’avvocato Presicce – ma non c’è una specifica risposta, perché non esiste una regola scritta sul tema. Il Testo Unico di Pubblica Sicurezza, che resta il riferimento per il regolamento del rapporto tra proprietari e clienti, non menziona affatto le tempistiche di permanenza». D’altronde, e non è un gioco di parole, quelli erano anche altri tempi: il Testo Unico di Pubblica Sicurezza risale al 1940, quando non esistevano problemi di folla nei locali pubblici, che erano appannaggio di pochi. Né, come sempre più spesso succede oggi, c’era la necessità di rimanere seduti per più tempo al bar anche solo per mandare una mail, o concludere una riunione di lavoro. Questo cambia qualcosa? 

Il tempo «congruo» a bar e al ristorante

«Non essendoci una regola specifica, è uno di quei casi in cui prevale il buon senso: la consumazione al tavolo deve essere effettuata in tempo congruo. Anche perché, per quanto offra un servizio al pubblico, il bar o il ristorante resta uno spazio privato», fa notare l’avvocato Presicce. Il punto allora è anche capire cosa si intenda per «congruo», perché in questo caso rientrano valutazioni culturali che hanno il loro peso. «Pensiamo alla pizza, per esempio: quando ha cominciato ad essere servita nelle pizzerie, e non più solo per strada, a portafogli, consumarla velocemente per fare in modo da ottimizzare la resa dei tavoli e non alzarne il prezzo è diventata subito una regola condivisa per quanto non scritta. Altro esempio: in Italia il caffè al bar si beve spesso in piedi e al volo, mentre all’estero si prende seduti, indugiando anche per molto tempo», fa notare l’avvocato.

Cosa fare se il cameriere ci chiede di alzarci

Appunto, cosa significa tempo congruo? Se, per esempio dopo una cena tra amici, si ha voglia di restare a tavola per chiacchierare,  ma il cameriere ci chiede di andare via, come dobbiamo comportarci? «Dipende dal buon senso anche questo, ma soprattutto dipende dal cameriere. Ovvio che se l’approccio è gentile, se la situazione è visibilmente caotica per cui ha bisogno del posto, ci si alza senza fare storie. Se poi il cameriere arriva a muso duro, dato che non esiste un’arma giuridica per opporsi, resta la libera scelta: si può decidere se tornare o meno in certi posti». 

Le regole, secondo i ristoranti

Capita anche che però certe regole siano chiare. Specie nelle grandi città, alcuni locali hanno dei cartelli in cui specificano le regole del posto: per esempio che è consentito prolungare la permanenza consumando il pranzo o altro. Si può fare? «Se la regola è scritta e ben visibile, nel momento in cui il cliente si siede la accetta tacitamente. Ma è anche giusto che sia così, a tutela del ristoratori», prosegue Alessandro Presicce. «È altrettanto vero che se si considera che il modo di vivere sta cambiando, e che il lavoro sta diventando sempre più agile, si moltiplicano i casi limite. Non mi sorprenderei se in questo senso si pensasse a un intervento legislativo che possa colmare lacune come questa», conclude l’esperto.

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La sostenibilità passa (anche) da un risotto. Lo sa bene Federico Zanasi, chef di Condividere, ristorante stellato di Torino che fa capo alla famiglia Lavazza. Il piatto in questione è il Risotto alle foglie di fico, zahatar ed eucalipto, una portata del menù estivo Festival servito nel locale aperto nel 2018 all’interno della Nuvola Lavazza. «Le foglie vengono fatte andare con il burro che, sciogliendosi, acquisisce sapore» spiega lo chef. «Da lì lo estraiamo e andiamo a farlo amalgamare mantecando il risotto. In chiusura» prosegue, «aggiungiamo parmigiano, succo di limone e lo zahatar (spezia con diverse componenti aromatiche) per poi concludere con una grattugiata di pigna di eucalipto che in bocca è una ventata di aria fresca». Come dire, un piatto preparato con foglie e pigne: «Se questa non è sostenibilità» aggiunge Zanasi. Del resto i gusti puliti piacciono allo chef modenese (già chef del ristorante dell’Hotel Principe delle Nevi di Cervinia e in cucina per nove anni con Moreno Cedroni a Senigallia), soprattutto nella preparazione dei risotti che ama realizzare in bianco e senza fondi, come diceva Gualtiero Marchesi. Celebri sono, nei menù passati di Condividere, la versione total white del risotto lavorato con acqua di pomodori verdi ed eucalipto e quello con foglie di fico e il formaggio molisano Manteca: in questo caso il burro è passato alla griglia con questi due elementi.

E proprio il Risotto alle foglie di fico e Manteca è stato uno degli assaggi della festa voluta da Michelin Italia per celebrare il 60° compleanno dello stabilimento di Cuneo. La scelta è ricaduta su Torino, città che nel 1906 ha visto nascere la prima sede estera del Gruppo e che ancora oggi ospita la sede legale, attività produttive e logistiche della Michelin italiana. Del resto Michelin Italia è il più grande produttore di pneumatici made in Italy e il solo stabilimento di Cuneo ne realizza 13 milioni all’anno. Sostenibilità sociale, ambientale ed economica sono punti salienti dello sviluppo del gruppo ed è partendo da questo spunto che abbiamo deciso di intervistare Federico Zanasi sulla connessione di questi temi con il mondo della ristorazione.

Intervista a chef Federico Zanasi

La vostra cucina e i ristoranti di oggi sono sostenibili?
«La sostenibilità, rispetto a una ventina di anni fa, è insita nelle cucine dove oggi si parla di educazione. Se avanzano verdure, le mettiamo alla griglia, le passiamo a pressione per fare un fondo, vengono sempre pensate per altre preparazioni. Dal gambero al piccione di Miroglio (siamo a Baldichieri di Asti, ndr) noi utilizziamo tutto, come nelle carote, non viene buttato nulla e questo si fa regolarmente. Siamo attenti a dove e a cosa compriamo: perché non usare più l’anguilla? La acquistiamo da un produttore cuneese che fa un lavoro maniacale per il suo allevamento e sono strepitose. La direzione che stiamo prendendo è quella di servirci sempre meno delle grandi aziende cercando di approvvigionarci di materie prime che siano il più vicine possibile come gamberi liguri, verdure e funghi della val di Susa. Il ricircolo oggi è interno al ristorante: sostenibile vuol dire avere attenzioni, essere educati nei confronti di questo significa essere sostenibili. Ma la nuova frontiera della sostenibilità è un’altra, intendo quella economica e lavorativa».

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