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A New York il ristorante che non produce rifiuti

A New York il ristorante che non produce rifiuti

È un wine bar a Brooklyn basato su riuso, riciclo e compostaggio. Serve ostriche, formaggi e pesce in scatola e non c’è niente che va in discarica

Pensate a quanti rifiuti produciamo ogni giorno nelle nostre cucine e poi pensate a quanti ne produce, in proporzione, la cucina di un ristorante. Scarti di preparazione, confezioni e imballaggi degli alimenti, avanzi di cibo della clientela. Fortunatamente però, così come tanti di noi in questi ultimi tempi si stanno sforzando di condurre uno stile di vita più ecosostenibile, anche alcuni ristoranti stanno adottando pratiche virtuose per la riduzione dei rifiuti.

Rhodora, il wine bar newyorkese a spreco zero

Un esempio, come ha raccontato il New York Times, è il wine bar Rhodora di Brooklyn, a New York, che sta provando a lavorare a rifiuti zero per ridurre l’impatto ambientale della sua attività e per soddisfare le esigenze dei clienti più ecologisti. Un recente rapporto di ReFED, un’organizzazione no profit focalizzata sulla riduzione degli sprechi alimentari, ha scoperto che i ristoranti negli Stati Uniti generano circa 11,4 milioni di tonnellate di rifiuti alimentari ogni anno: «Non ha senso prendersi cura di qualcuno per una cena e poi riversare la produzione di rifiuti e di CO2 di quella serata su quella stessa persona», ha detto Henry Rich, proprietario del locale.

Progettualità green

Ma come riesce il wine bar a non produrre rifiuti? I proprietari hanno impiegato dieci mesi e 50mila dollari per progettare e attuare la loro rivoluzione green cambiando il modo di pensare e gestire il ristorante. La filosofia ruota tutto intorno alle azioni di riutilizzo-riciclo-compostaggio. Per prima cosa hanno bandito la plastica monouso e ricercato produttori locali che utilizzassero imballaggi sostenibili e compostabili, quindi hanno acquistato un trituratore di cartone che riduce le scatole di vino in materiale da compostaggio, poi hanno installato una lavastoviglie che trasforma il sale in sapone e utilizzano una pellicola alimentare in cera d’api invece di quella di plastica. Tutto lo staff è impegnato a pensare menu con i prodotti dei fornitori di zona che sposano la loro filosofia per esempio effettuando le consegne in bici in contenitori di plastica riutilizzabili. I menu sono di carta e quando cambiano o si usurano vengono trasformati in compost. Non ci sono cestini tradizionali per la raccolta di rifiuti, ma due contenitori per la raccolta di rifiuti difficili da riciclare, come gomme e plastiche, che si possono utilizzare per creare nuovi oggetti. Le bottiglie di vetro vengono recuperate da un servizio che si occupa di riciclo, i tappi di sughero vengono donati a chi li trasforma in suole di scarpe e in blocchi per praticare lo yoga.

Menu sostenibile

Nel menu, che si ispira ai tapas bar spagnoli, non mancano mai formaggi, scelti a pasta dura e che si conservano a lungo, verdure in salamoia e pesce in scatola (l’alluminio è facilmente riciclabile). Gli scarti di cibo diventano anch’essi compost da utilizzare come fertilizzante nei mini giardini del locale. Uno studio ha stimato che i ristoranti risparmiano in media 7 dollari per ogni dollaro investito in pratiche di riduzione dei rifiuti alimentari in cucina. Il sistema di Rhodora non è ancora perfetto ma i proprietari sperano di ispirare tante persone a non produrre rifiuti «perché è così meravigliosamente semplice non avere spazzatura da portare in discarica».

Un ristorante di Chongqing apre a Milano

Un ristorante di Chongqing apre a Milano

Il primo ristorante cinese che serve cucina della regione del Chongqing apre a Milano: per scoprire piatti che vanno oltre il piccante ed esplorano tutte le declinazioni di un sapore a noi sconosciuto, il “mala”. Per veri intenditori

Che sapore ha la nebbia? È piccante, ma di un piccante mai sentito. Il Gusto della Nebbia è quello dell’unico ristorante cinese specializzato in cucina del Chongqing a Milano. Chongqing (si legge “cioncing”), anche detta la città della nebbia, è chiamata così per gli oltre cento giorni all’anno in cui l’umidità del suo clima semitropicale si condensa e immerge l’intera città in una coltre di scighera che ricorda quelle della Milano di una volta. Chongqing è però soprattutto la metropoli più grande del mondo con 33 milioni di abitanti e un’economia in crescita: ne sentiremo parlare, e non solo per la sua cucina. Ora indipendente, il Chongqing ha fatto parte dello Sichuan e la sua cucina è ugualmente, proverbialmente piccante. Ma non come lo pensiamo noi italiani.

Il piccante che non conosciamo

Per noi il piccante è quella sensazione di bruciore che si prova in bocca, non un sapore. Il peperoncino è piccante, e per noi il peperoncino è solo quello rosso. In realtà di peperoncini ne esistono centinaia di varietà, più o meno piccanti secondo la scala Scoville che ne misura la potenza, ma hanno soprattutto sapori diversi. E poi ci sono quelli tostati, dal gusto leggermente affumicato, quelli freschi, in salamoia, essiccati, in olio… c’è un universo di sapori che noi derubrichiamo con un unico termine e tendenzialmente riducendo il tutto al solo peperoncino. A provocare la sensazione di calore sono però diverse sostanze, con effetti diversi sul nostro palato: la capsaicina contenuta nei peperoncini e la piperina nel pepe, che “prendono” alla bocca, oppure l’isosolfocianato e l’isotiocianato di wasabi, rafano, senape o l’allicina contenuta nell’aglio e nella cipolla, che “salgono” nel naso. Ci sono poi il pepe di Sichuan, o il pepe di Chongqing, di cui si usano solo i gusci e non le bacche, che oltre alla sensazione di piccante intorpidiscono la bocca, lasciandola letteralmente anestetizzata.

La “mala” cucina del Chongqing

La cucina del Chongqing è una derivazione regionale della cucina del Sichuan, che è una delle otto tradizioni di cucina cinesi codificate. È piccante, speziata e aromatica ed è la perfetta definizione di “mala”, che in cinese significa letteralmente “intorpidente e piccante”. Ricca di peperoncino, pepe di Sichuan, zenzero e aglio, la cucina del Sichuan è tutt’altro che solo piccante. Ha un sapore complesso, confortante, dato l’uso limitato di aceto e gusti agri, e dolce al tempo stesso. Fagioli di soia fermentati e sesamo ricorrono nei piatti, aggiungendo una ulteriore sfumatura alle pietanze. Che in Italia è molto difficile assaggiare (per non dire mai).

Il Gusto della Nebbia: il ristorante di chef Lampo

Wu Jun Xin è arrivato in Italia nel 2014 e decisamente non per fare il cuoco. Nella vita fotografa, dipinge e oggi cucina nel suo ristorante fra corso Como e Chinatown, il Gusto della Nebbia. Il nome ha diverse valenze perché in cinese si scriverebbe “Wu Wèi” e racchiude nel nome tre elementi: il gusto di Chongqing, il gusto di Wu (il nome cinese di Lampo) e il piacere di “sentire” il piatto, percepirlo interiormente senza accontentarsi dell’apparenza, del primo assaggio. Ha scelto come nome italiano Lampo, ha chiesto a sua madre le ricette di famiglia e si è organizzato per importare alcuni ingredienti introvabili in Italia, come il pregiato pepe di Chongqing e la Ya cai, verdura in salamoia fatta dai gambi superiori di una varietà di senape verde, con cui viene preparata la tipica salsa Yibinese.

Menu e prezzi

La cucina è verace, di sapori intensi, dove il piccante varia di intensità e sapore. Se il Mapo Tofu è una ricetta tipica del Chongqing, il Vulcano è la versione di Lampo, servito mentre ancora bolle e preparato con tofu, ragù di manzo, peperoncino, dieci tipi di pepe, brodo di carne e spezie e una salsa molto tipica, ma realizzata in maniera nuova, un piatto che al palato sprigiona sei diversi sapori: MA (intorpidimento), LA (piccante), XIAN (fresco, saporito,), XIANG (profumato), SU (croccante fuori tenero dentro), TANG (bollente).
Di antipasto serve piccoli piatti di aperitivo come l’uovo di quaglia sodo in salsa chongqingese, il filetto di pollo saltato e servito freddo a bocconcini, la coppa di suino fritta, zampe di gallina che nella cottura a pressione acquisiscono una consistenza morbidissima. C’è il coniglio (servito freddo, in varie ricette) e la trippa di vitello che viene lessata con salsa di sesamo, olio di sesamo, aromi e peperoncino di Chongqing. Per i vegetariani, la proposta del tofu secco, essiccato a cubetti agropiccanti e dell’insalata con foglie di lattuga e sedano, accompagnate da salsa di sesamo. Per gli amanti del riso cantonese, indimenticabile la ricetta servita al tavolo in una pentola rovente e mantecata al momento con bocconcini di pollo, molto piccante, o secondo una personalissima interpretazione di Lampo, con ragù di manzo australiano, cipolle, coriandolo. Si spendono massimo 14€ per un piatto principale, 5€ per un antipasto.

Non sono ramen, sono xiaomian

Dopo una sequenza di ottimi assaggi da condividere con tutto il tavolo, il piatto forte: noodles cinesi tipici del Chongqing. Si chiamano xiaomian e se sembrano dei ramen è solo perché i ramen giapponesi arrivano dall’epoca della dominazione cinese. La pasta è fatta in casa da un laboratorio artigianale con farina di frumento e senza uova, e sono proposti in tante versioni: fredde o calde, in brodo o asciutte. I noodles più caratteristici sono in brodo – realizzato con pollo, manzo e ben sedici spezie – alla Chongqing, serviti caldi o freddi. Ci sono quelli in salsa Ybinese, senza brodo, o con i caratteristici piselli gialli e ragù di pancetta di suino, o con gambero e maiale, con una salsa dolce e piccante. Gustosi e tradizionali sono i noodles con manzo alla Chongqing, immersi in un brodo fatto con una coscia di manzo cotta per quattro ore. Il pollo è protagonista sia in versione fredda e sfilacciato con salsa Shiraki sia asciutta e piccante, con le uova strapazzate, e ancora con i crauti cinesi e il particolare gusto agropiccante. Infine, due ricette assolutamente originali: in brodo con il tendine di manzo, dove i bocconcini assumono una consistenza elastica, e con il fegato di pollo in una zuppa per la quale si usano peperoncini marinati in acqua e sale per molto tempo. È il piatto più piccante, di culto, solo per gli appassionati di vera cucina tipica cinese.

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Il celebre ristorante Noma potrebbe diventare vegetariano

Il celebre ristorante Noma potrebbe diventare vegetariano

La tecnica della fermentazione alla base della possibile svolta vegetariana e vegana del celebre ristorante stellato Noma

Il Noma di Copenaghen, ristorante stellato quattro volte eletto il migliore del mondo, da anni fa molto parlare di sé, attirando l’attenzione della stampa internazionale. Al centro dell’interesse mediatico la sua cucina nordica reinventata, le sue sperimentazioni d’autore, le liste d’attesa di mesi, ma anche i suoi continui cambiamenti, tra cui un periodo di chiusura nel 2016 e la rinascita nel 2018 in una nuova sede con il nome Noma 2.0 e un originale calendario culinario annuale distinto in tre stagioni.
Chi conosce il Noma, quindi, sa che le sorprese sono sempre dietro l’angolo.
In occasione del recente tour promozionale per il libro-ricettario Foundations of Flavor: The Noma Guide to Fermentation sull’arte della fermentazione, lo chef René Redzepi ha infatti dichiarato che, in virtù degli eccellenti risultati che ha ottenuto con piatti a base vegetale utilizzando questa tecnica, non esclude che un domani il ristorante possa diventare vegetariano.

Meno proteine animali, più verdure fermentate

Da oltre un anno al Noma si è assistito a una notevole riduzione delle proteine animali servite. A influire su questa scelta la volontà da parte dello chef di dare più spazio alle proposte vegetali, proponendo ad esempio un menu interamente vegetariano nella stagione che è andata da maggio a settembre 2018. L’altro fattore determinante è la crescente importanza che la tecnica della fermentazione sta assumendo nella cucina del ristorante, tanto che quasi ogni portata delle circa venti che compongono i menu stagionali, presenta qualcosa di fermentato. Recentemente Redzepi ha appunto dichiarato che questa preparazione è ora l’elemento più importante nella cucina di Noma e che gli chef amano visitare le foreste danesi in cerca di cibo selvatico e in particolare di funghi, bacche e verdure stagionali da fermentare nel loro laboratorio. Come ribadito dallo chef nella sua recente pubblicazione, generalmente si associa questo processo alla semplice produzione di sottaceti in salamoia o di yogurt, mentre andrebbe considerato come «una pentola di coccio della natura», che utilizza i batteri al posto del calore; un processo antico di conservazione che migliora le caratteristiche nutrizionali degli alimenti e che merita di essere conosciuto o riscoperto.

Un possibile futuro vegetariano per il Noma

Redzepi, nel corso di un’intervista per il “Washington Post”, ha raccontato che la sua migliore ricetta a base di verdure fermentate, un tempo presente nel menu del Noma, consisteva in una foglia di cavolo grigliata appena spalmata con una salsa a base di piselli gialli spezzati (miso) e condita con olio al prezzemolo; un piatto apparentemente semplice, ma dal gusto sorprendente. Secondo lo chef la fermentazione delle verdure può essere la chiave per conferire loro un sapore speciale, quella caratterizzazione e quel gusto “carnoso” che spesso manca alla cucina vegetariana.
Redzepi vede infine la fermentazione come una possibile strada verso un cambiamento climatico, verso un tipo di alimentazione più naturale e sostenibile che possa indurre le persone a mangiare più verdure e ridurre gli impatti ambientali del consumo di carne.

Non resta che vedere cosa riserverà il futuro del Noma e se davvero vedrà la luce questa prospettiva di far virare il famoso ristorante verso un menu esclusivamente vegetariano e vegano.

Piatto di verdure con salsa fermentata al Noma.

 

Foto: Piatto vegetariano (Noma Studio Sarah Lou)
Foto: Piatto di verdure con salsa fermentata al Noma (Lou Stejskal Flikr)

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