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Alain Ducasse, l’intervista: «La cucina italiana è di tutti»

La Cucina Italiana

Ama tanto l’Italia…
«Ho sempre guardato all’Italia con molto affetto, non a caso il mio primo libro s’intitola La Riviera di Alain Ducasse. È il mio secondo Paese, il più vicino al cuore e al gusto. La trovo sempre interessante, da sud a nord, ogni regione con la sua identità, il cibo, la cultura».

Non a caso in dicembre arriva a Roma dove ha aperto i suoi ristoranti all’interno dell’hotel Romeo. Teme la capitale?
«Sono già stato dieci anni in Italia, all’Andana, con la famiglia Moretti, ma Roma è Roma. Faremo una cucina che si iscrive in quella locale senza toccare i piatti tipici della città, altrimenti sarebbe come competere con la pasta preparata dalla mamma o con il sushi a Tokyo. Saranno piuttosto sapori della tradizione mediterranea, come ho già fatto a Montecarlo al Louis XV, il ristorante dell’hotel de Paris (tre stelle della guida Michelin nel 1990, il primo ristorante d’albergo a ottenere il riconoscimento massimo della “Rossa”, ndr). E di certo non sarà cucina francese».

Quanto la cucina francese influenza quella italiana e viceversa?
«La Francia ha influenzato la cucina italiana nella tecnica, non certo nel gusto. Abbiamo il cosiddetto professionismo. Pensi che nella mia scuola a Meudon (vicino a Parigi), ho persone di 74 nazionalità diverse e tutte imparano le basi; è come il solfeggio per la musica, poi ognuno suona la sua. Abbiamo codificato certi passaggi secoli fa, anche se poi va detto che uno dei primi libri di cucina della storia con ricette è italiano (si riferisce allOpera di Bartolomeo Scappi, mi dirà poi, ndr)».

E l’italiana?
«La vostra è una cucina matriarcale, che proviene dalla mamma…».

Vero, però le cucine stellate sono più che altro piene di uomini…
«Ah, les machos! In Francia sono ancora molto maschilisti, l’Italia segue, la Spagna è pure peggio! Ma gli ultimi sono i catalani!».

Trova che la cucina di casa sia protagonista nella cosiddetta «alta cucina»?
«Sì, solo che devi eseguire tutto perfettamente, sublimarlo. Ricordo una pasta con il lievito di birra e il burro di Riccardo Camanini. Rigore, perfezione… ero sedotto dalla semplicità e dalla bontà allo stesso tempo. Amo la semplicità quando diventa assoluta e si trasforma in perfezione. O, ancora, penso ai “ragazzi” come Davide Oldani che da un piccolo ristorante in un paesino ha creato una destinazione con una professionalità fuori del comune. Fa un buonissimo lavoro, buonissimo! E non parliamo di Massimò (Bottura), straordinario! Sono stati tutti con me a Monaco, anche Gennarino (Esposito di Vico Equense)».

Ciambella di pandoro – Ricetta di Misya

Ciambella di pandoro

Innanzitutto preparate il frosting al formaggio semplicemente lavorando il mascarpone con lo zucchero a velo.

Eliminate il fondo dal pandoro, poi tagliatelo per il lungo a fette sottili.

Sovrapponendole leggermente tra di loro, usate le fette di pandoro per foderare lo stampo (se non avete uno stampo a cerniera vi consiglio di foderarlo prima con pellicola per alimenti, in modo che sia più agevole sformare il dolce alla fine).

Usate il latte per bagnare leggermente il pandoro, quindi aggiungete metà della crema nel guscio di pandoro.
Aggiungete anche uno strato di Nutella e completate con la crema restante.

Coprite la farcia con altre fette di pandoro per chiudere la ciambella, bagnate anche queste fette con il latte e lasciate riposare in frigo per almeno 2 ore prima di sformare la ciambella e rovesciarla su di un piatto da portata.

Preparate le 2 ganache: tritate, separatamente, i due tipi di cioccolato; a parte, scaldate la panna quasi fino all’ebollizione, quindi versatene metà sul cioccolato fondente e metà sul cioccolato bianco.
Mescolate (sempre separatamente) fino a far sciogliere completamente il cioccolato e ottenere 2 creme lisce.


Decorate la ciambella facendoci colare sopra prima il cioccolato fondente e poi quello bianco.

La ciambella di pandoro è pronta, non vi resta che decorarla a piacere con il ribes e servirla.


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La Cucina Italiana

Anche i cereali meno conosciuti e nutrienti, come il miglio e il sorgo, o le alternative simili ai cereali e ugualmente prive di glutine, come la quinoa e l’amaranto, sono in aumento. Colture minori e sottoutilizzate come queste sono ora in prima linea nelle tendenze alimentari, non solo dal punto di vista nutrizionale, ma anche perché molte sono benefiche per l’ambiente.

I Paesi stanno diventando sempre più interdipendenti sulle varietà di colture

Con la crisi climatica che ha colpito i modelli di precipitazione e le temperature globali, alcune varietà di colture non crescono più bene nei luoghi in cui un tempo prosperavano. Per esempio, solo pochi anni fa forse non molti avrebbero previsto che il mais sarebbe diventato difficile da coltivare in alcune zone dell’Africa. Eppure, gli agricoltori di queste zone stanno cercando altre colture, come il miglio, più adatte alla riduzione delle precipitazioni. Il cambiamento dei modelli climatici significa che i Paesi avranno sempre più bisogno di ottenere varietà vegetali da altre parti del mondo per continuare o migliorare la propria produzione.

I cambiamenti climatici non fanno che accrescere l’interdipendenza, ma da sempre i Paesi dipendono l’uno dall’altro per le colture che hanno origine altrove. Ad esempio, le varietà di caffè provenienti dall’Africa hanno fatto il giro del mondo. Mentre, per quanto riguarda le patate, il Sudamerica ha ancora più varietà da offrire di qualsiasi altra regione.
In questi contesti, l’approccio multilaterale del trattato internazionale per la collaborazione tra Paesi è sempre più importante.

Anche i gusti e le mode stanno cambiando la domanda di colture

L’evoluzione dei gusti e delle tendenze sta stimolando la domanda di nuove varietà di colture da parte degli agricoltori che cercano di migliorare i propri mezzi di sostentamento, sia che si tratti di coltivare quinoa o piselli. Ma le nuove richieste provengono anche da altri settori, come gli chef, desiderosi di esplorare i sapori e le consistenze dei cereali tradizionali, spesso più sostenibili. Per esempio, la chef della Sierra Leone, Fatmata Binta, si è imposta di valorizzare nella sua cucina il miglio fonio, che richiede meno acqua ed è molto nutriente. Queste voci non facevano parte delle discussioni quando il trattato internazionale è stato negoziato per la prima volta, ma ora si stanno facendo sentire sempre di più.

Essendo l’unico accordo internazionale vincolante dedicato alla salvaguardia, alla conservazione e allo scambio della diversità genetica delle piante che coltiviamo e mangiamo in tutto il mondo, il trattato internazionale ha un ruolo sempre più importante nel nostro mondo interdipendente e in continua evoluzione.

Il nuovo rapporto, che raccoglie i dati relativi a 355 colture, svolgerà un ruolo fondamentale nell’informare le discussioni politiche, compreso l’aggiornamento del paniere di colture dell’Allegato I del trattato internazionale. Grazie all’enorme quantità di dati pubblicamente disponibili alla base dello studio, esso costituirà inoltre una risorsa fondamentale per i ricercatori e i responsabili delle decisioni a livello globale. Il rapporto getta le basi per consentire all’umanità di esplorare il potenziale di migliaia di altre piante per soddisfare il nostro fabbisogno alimentare in futuro.

Fonte Fao

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