Tag: Cotto e Mangiato Ricette

Ricetta Faraona 1983, la ricetta

Ricetta Faraona 1983, la ricetta

La Faraona 1983 è un piatto storico del ristorante Il Gabbiano 1983 di Corte de’ Cortesi (Cr): presente nel menù fin dall’apertura della trattoria, è sempre servita con il purè e una strepitosa mostarda fatta in casa.

Questo ristorante che ha appena festeggiato quarant’anni, fu aperto da Gianni Fontana e Giusi Tigoli e oggi è condotto dai figli Stefania e Andrea, con la moglie Elena ai fornelli.
La cucina è quella tipica della pianura lombarda, con una grande presenza di pietanze a base di animali da cortile come la faraona, appunto, ma anche l’oca

Scoprite anche queste ricette per cucinare la faraona: Faraona al limone di Lidia Bastianich, Faraona all’alloro, Faraona alla creta, Faraona con zucchine, arancia e zafferano, Faraona in umido.

Ricetta Passatelli del Dottor Balanzone, la ricetta

Ricetta Passatelli del Dottor Balanzone, la ricetta

Ma che buoni i passatelli, che evocano subito l’Emilia Romagna e lo strumento bucato attraverso il quale «passano», prendendo forma e nome. La ricetta che vi suggeriamo oggi per prepararli è quella che Delia Pavoni Notari, fondatrice de La Cucina Italiana nel 1929, propone tra le minestre classiche del primo numero della rivista.

Sono fatti con tutto l’amore che ci mettevano le azdore, le energiche donne di casa romagnole, e garantiti dal goloso (e verboso) dottor Balanzone, la maschera più dotta della commedia dell’arte, diventata simbolo di Bologna.

Scoprite anche queste ricette: Passatelli di nonna Ancella dello chef Massimo Bottura, Passatelli ai frutti di mare, Minestra di passatelli in brodo di pesce, Passatelli di ceci in brodo di vongole e dragoncello, Passatelli in zuppetta di primavera.

Cacio e pepe alla brace: la ricetta di chef Errico Recanati

La Cucina Italiana

Mai provata la cacio e pepe alla brace? La cacio e pepe è un classico della cucina italiana, e la sua difficoltà è tutta nel mantecare alla perfezione il formaggio con la pasta a fine cottura. Non nella cucina di Andreina, il ristorante 1 stella Michelin di Errico Recanati, a Loreto. Nelle Marche, all’ombra della cupola del celebre santuario infatti, la cacio e pepe viene (letteralmente) cotta sulla brace viva. E il risultato è da manuale di alta cucina.

Gli ingredienti sono i soliti, pasta, cacio, pepe, più quello preferito dallo chef: il fumo. La Cacio e 7 pepi del ristorante Andreina – come viene chiamata nel menù – infatti è la perfetta sintesi fra grande tradizione italiana, tecniche arcaiche, ricerca gastronomica e ingredienti esotici. Se il formaggio è quello di fossa o il parmigiano reggiano, la pasta una localissima Benedetto Cavalieri di grano Senatore Cappelli, i pepi solo frutto di una selezione meticolosa fra Cina, Malesia, Indonesia, Nepal e Vietnam. Sarebbe una grande cacio e pepe, con la brace diventa unica.

Se il gusto affumicato e la tendenza al “ritorno al fuoco” attraversa la cucina internazionale in lungo e in largo, qui è nel Dna da più di 60 anni, da quando Andreina arrostiva maialino nello stesso camino che ora usa il nipote. L’affumicatura non arriva dalla salsa, dall’uso di pancetta o guanciale, da un’affumicatura scenografica sotto una cloche al momento del servizio o da qualche escamotage creativo. Qui sulla brace ci cuociono tutto.  Pure la pasta.

Cacio e pepe alla brace: cottura in 4 fasi

La cottura avviene in quattro fasi: classica, in acqua salata, alla brace e in padella. «La pasta è uno spaghettone Benedetto Cavalieri che cuoce 18 minuti, l’unica pasta che tiene questa cottura», mi dice. «Bolle 4 minuti in acqua, poi viene immersa per 6 minuti in acqua a 60°: se usassimo acqua fredda perderebbe tutto l’amido. Dopo la freddiamo ancora per bloccare definitivamente la cottura. Quindi la asciughiamo sui canovacci. Servono 200 o 210 grammi a porzione per servirne 150 o 120 a fine procedimento». Con la triplice cottura molti spaghetti si spezzano o risultano troppo grigliati e quindi vengono messi da parte.

«Se vi state chiedendo come sia possibile realizzare una pasta alla brace, sappiate che Errico Recanati utilizza delle piccole grigliettine di vari spessori da porre sopra la griglia classica, su cui è possibile cuocere anche le erbe di campo: data la fitta maglia della rete della grigliettina tutto cuoce in maniera omogenea senza mai cadere, cosa che sarebbe impossibile cuocendo direttamente sulla griglia classica», scrive Allan Bay nella prefazione del libro Cuocere alla brace di Errico Recanati (Italian Gourmet edizioni).

Il cappello che convoglia i fumi

La pasta viene fatta cuocere per 9 minuti sulla brace viva, sotto a un cappello: uno speciale arnese inventato da Errico Recanati e autocostruito con delle teglie da cucina e dei manici di coperchio. Il cappello trattiene il fumo dolce della sua carbonella speciale composta di sette legni dell’Appennino, aromatici, ma non invasivi. A quel momento mantecato sul fornello con acqua di cottura, formaggio, burro e sette pepi. «Un solo pepe bloccherebbe il gusto della brace, invece questi pepi sono aromatici, allungano il gusto della brace senza coprirlo». E il risultato è esattamente quello. Una pasta ancora perfettamente callosa, al dente, croccante in alcuni punti, che profuma di fumo e che ha il sapore del fumo, non del bruciato, che perdura in bocca grazie all’azione aromatica e non piccante del pepe. «Abbiamo mangiato pasta scotta per mesi», mi racconta, e dal 2017 non è mai uscita dal menù.

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