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Morgex: lo zafferano più alto di Italia

Morgex: lo zafferano più alto di Italia

L’azienda agricola familiare La Branche lancia la sua tisana con i pistilli di zafferano della Valle del Monte Bianco e rilancia la spezia italiana sempre più in alto, partendo dai 1000 metri del Villair di Morgex

Pistilli che sembrano coriandoli nelle mani grandi, dalle unghie cortissime, di chi la terra la lavora e chi da quelle piccole polveriere rosse ha creato una sfida. Ovviamente vinta.
Diego Bovard è un nome molto conosciuto in Valle d’Aosta, uno dalla testa dura, un vero valgresein, che della sua terra, la Valgrisenche, quella della diga di Beauregard, ha portato con sé l’autoironia un po’ acida e soprattutto l’inconfondibile patois.
A Morgex Diego è arrivato per amore, per raggiungere la sua Elena, che lo ha fatto diventare un vero veulle-en, ossia un abitante della frazione del Villair: un dedalo di case di legno e pietra, dai perfetti tetti di lose valdostane, e di stradine e viuzze che sfociano su meravigliosi prati verde smeraldo, quando il sole caldo del tramonto estivo li bagna di luce. Il Villair è uno di quei villaggi che, se guardati da fuori, sembra sia impossibile che ci stiano, tra i tetti e i muri, tutti quei prati e invece, se ci si addentra, tutto scompare, per lasciare posto come per magia solo a quello che conta: la natura antropizzata con gentilezza e savoir faire tutto valdostano.

L’idea dello zafferano

Agrotecnico e consulente agroalimentare, Diego per arrotondare mangia. O, almeno, questo è ciò che gli piace dire, ma in realtà si dedica anima e cuore alle piante e alla terra: nel 2013, ad azienda agricola familiare già avviata, una nuova idea gli rapisce il sonno e in poco tempo decide di dedicarsi alla coltivazione dello zafferano. Nessuno prima di lui ci aveva tentato in Valle d’Aosta, terra dalla grande tradizione agricola fatta di fatica e terreni impervi, in un contesto con un’altitudine media di 2000 metri. L’avventura di La Branche inizia con un piccolo appezzamento di 2 metri quadrati, «una prova per testare la resistenza della pianta e il suo adattamento alle altitudini valdostane». Pianta 150 bulbi circa e riesce a fare 1 grammo di prodotto. Al momento, e dopo 5 anni di prove, tentativi ed equilibri, i metri quadrati coltivati sono 500, per 150 grammi di prodotto e Diego, con il figlio Nicolas, punta ad arrivare a 1000 metri quadrati di coltivazioni per 200 grammi di pistilli.

Lo zafferano nel mondo e in Italia

«Ho sempre pensato che lo zafferano fosse una pianta orientale, adatta ai luoghi caldi, al mare», spiega Bovard. «E invece sono rimasto stupito quando ho realizzato che i produttori principali sono nazioni dai luoghi montuosi, con altipiani e anche climi freddi, come l’Iran, l’Afghanistan e il Marocco».
Lo zafferano, oro puro tra le spezie, è però anche molto coltivato e pregiato nello stivale: «In Italia non siamo da meno. Addirittura la zona di Sondrio e della Lombardia in generale era molto famosa in passato, mentre ora lo zafferano di L’Aquila (DOP dal 2005 ndr) e quello della Sardegna (San Gavino Monreale sopra tutti, ndr) sono i più quotati».
Il prezzo della spezia prodotta in Italia si aggira intorno ai 18 euro, ma quello di Diego arriva anche a 27: nasce e cresce ai piedi del Monte Bianco, a 1000 metri di altezza, su terreni che l’uomo strappa alla montagna e con temperature che spesso scendono di molto al di sotto dello zero termico, un’agricoltura eroica che poche regioni possono vantare.
Il ciclo delle piante di zafferano è particolare poiché sono piante inverse: vanno in fiore quando le altre sono a riposo e viceversa, questo comporta che vengano piantate ad agosto, fioriscano fra ottobre e novembre (resistendo fino a -20°), vengano raccolte poco dopo e diano di nuovo il via a tutto con bulbi che possono produrre per 3-4 anni di fila, fiorendo e seccando a seconda dei mesi. I fiori, viola, ma spesso anche bianchi albini, sono delicati e non si conservano, vanno lavorati velocemente e i pistilli devono essere estratti con enorme cura, mentre la pianta non ha problemi di clima o temperatura, ma ha bisogno di un luogo decisamente esposto al sole.

L’abbraccio del Monte Bianco

La produzione di La Branche è ovviamente piccola e si rivolge a diversi ristoranti e locali valdostani che cercano la qualità anche nel dettaglio, ma il fatto di produrre piccole quantità ha fatto accendere una lampadina più splendente che mai nella testa di Nicolas, mosso dalla stessa passione del padre per la terra e l’agricoltura e laureato a Padova in Scienze e Cultura della gastronomia e della ristorazione. «Chiaramente commercializzare la materia prima, se non parliamo di grandi quantità, diventa un problema a livello di costi, ma cercare di creare dei prodotti lavorati può aiutare». Nasce così L’abbraccio del Monte Bianco, una tisana che racchiude 4 erbe (menta, verbena, melissa e il celebre genepy), e lo zafferano di La Branche. Gli infusi con lo zafferano sono rari, ma questo è pronto a candidarsi come uno dei migliori: tolto il genepy che viene comprato a km 0, le altre piante sono tutte dell’azienda agricola e la scelta di creare una tisana sfusa evitando i filtri la rende già meno accessibile al grande pubblico, puntando a chi ama il rito dell’infusione lenta e ponderata. Inoltre, il gusto morbido e “grasso” dello zafferano riempie il palato e si contrappone molto bene alla freschezza delle piante che invece scivolano come nelle migliori tisane alle erbe di montagna.

L’ultimo arrivato in casa La Branche ha portato più che scompiglio obbligando Diego e Nicolas a ingrandirsi a livello di campi da coltivare e a livello di macchine, perché tutto il ciclo, tranne il confezionamento, viene fatto in loco, a Morgex, compresa l’essiccazione delle piante per la tisana, che i Bovard fanno a freddo, con l’estrazione dell’acqua, per far sì che le proprietà di queste possano conservarsi nel migliore dei modi.
L’azienda dei Bovard, ereditata dal padre di Elena, un Pascal di Morgex, resta una micro impresa familiare, come ci tiene a ribadire il capofamiglia: «Certo, potrebbe avere un’evoluzione importante, ma il passo da fare è grande e per ora la nostra forza è produrre quello che ci garantisce di poter essere su un mercato di nicchia con prodotti di qualità. Se crescita ci sarà dovrà essere sempre proporzionata allo sforzo e a quello che il nucleo centrale, ossia la famiglia, potrà fare».

Non solo zafferano

Oltre allo zafferano La Branche coltiva erbe officinali (menta in quantità impressionanti, melissa, limonina), cereali (da poco stanno sperimentando la coltivazione del mais, elemento chiave per la tradizionale polenta valdostana) e macina la farina; inoltre Diego confluisce l’uva dei suoi vitigni nella cooperativa Cave Mont Blanc, una delle più grandi a livello valdostano e di sicuro la più alta (le sue vigne di Prié Blanc, vitigno bianco autoctono, sono coltivate fino a 1200 metri di altezza), e ha una consistente produzione di frutti di bosco, tra i quali spunta una pianta di bacche di goji.
Un nuovo business? «No», assicura Diego, «ci sono piante di cui ti innamori e altre con cui non scatta la scintilla. Direi che queste bacche sono state una sfida, ma non sono state amore».

Marco Sacco, come reiventare un due stelle Michelin (grazie al lockdown)

Marco Sacco, come reiventare un due stelle Michelin (grazie al lockdown)

Un bistrot dove si facevano i matrimoni, una barca per il pic nic, un menu diverso per il gourmet. Il Piccolo Lago a Mergozzo è un valido esempio di come i bravi chef e patron stanno reagendo ai problemi del dopo Covid-19

Il Piccolo Lago di Mergozzo (VB) non è il solo ristorante (bi)stellato che si è presentato alla riapertura in una veste diversa. Dalle Alpi alla Sicilia, è un fiorire di temporary per l’estate o di locali dove si sono spostati i cuochi di città. Però, la trasformazione del ristorante di Marco Sacco ci ha colpito particolarmente, partendo dalla storia dello chef-patron, cresciuto tra il ristorante di famiglia e le importanti esperienze in Francia. Grande viaggiatore (e ottimo windsurfista in gioventù), ma ferocemente attaccato al proprio territorio, e forse per questo sottovalutato dalla critica. Il paradosso vuole che nel momento in cui Sacco iniziava a uscire di casa – con la gestione di Piano 35  nel grattacielo Intesa Sanpaolo a Torino e l’apertura di Castellana Restaurant a Hong Kong – è arrivata la botta del Covid-19. Che vale per tutti i suoi colleghi, ma in un posto di frontiera culinaria quale Mergozzo (più vicino alla Svizzera che a Milano o Torino) la ripresa è più difficile. Ci vogliono passione, coraggio e la voglia di reinventarsi. Tornando all’antico, per vedere il futuro.

Un piccolo lido sul lago

«Senza retorica, il riposo mi ha portato a pensare che questo splendido lavoro bisogna farlo sempre e comunque sapendosi divertire, attraverso una tranquillità nel prendere gli impegni e le fatiche del lavoro quotidiano», dice Sacco. Ed ecco la trasformazione del giardino sottostante la struttura sospesa del bistellato: praticamente un piccolo lido, aperto sin dalle 10 del mattina dove ci si può rilassare in giardino, pranzare in mezzo alla natura, prendere il sole, gustare una merenda gourmet e un gelato freschissimo o scegliere il momento dell’aperitivo o di un after-dinner, visto che – salvo la domenica – è aperto anche un lounge-bar dalle 19.30 alle 22.00.  Il tutto davanti alle acque del lago prealpino più pulito d’Europa, dove si può navigare solo a vela, pagaiando o utilizzando uno scafo a propulsione elettrica. A proposito di lago, è nato anche un originale pic nic in barca, che consente in tre ore di esplorare lo specchio d’acqua e la cucina di Marco Sacco. Perché insieme a un box con tutto l’occorrente per il pranzo o la cena (acqua e vino compresi), c’è la mappa del lago con l’itinerario da seguire e cosa mangiare, tappa dopo tappa. Più distanziamento di così!

Cinque box al bistrot

E poi c’è la cucina. Il Piccolo Lago gourmet è vivo (e lotta insieme a noi), ma solo a cena, dal mercoledì alla domenica: due degustazione, innovativo e storico, a 150 euro più un pairing da 70 euro. Una sicurezza tra presente e passato, dove la tecnica è al servizio della materia prima che spesso è cercata direttamente dallo chef. Al bistrot ci si diverte. «Noi in cucina per primi: se ne sono resi conto i ragazzi quando ho proibito sottovuoto e dintorni per il menu», racconta lo chef . «Ho puntato sull’italianità e sulla semplicità, pensando all’ambiente e a cosa possono cercare i clienti in uno spazio del genere, soprattutto nel fine settimana». Attenzione al concetto di semplicità: è apparente proprio perché la mano è di un cuoco esperto, bistellato, aperto di mentalità. È così che piatti come  la  Caprese, lo Spaghettone al pomodoro, il Vitello tonnato, il Fritto misto di lago, la Grissinopoli (una cotoletta impanata nei grissini) fanno godere. Si sceglie da cinque box dove le singole portate costano 6, 10, 14, 22 e 26 euro. «La parola d’ordine non è stravolgere, rinnegare, ripensare la propria idea di cucina e il proprio stile, ma aprirsi a nuovi clienti o offrire a quelli fedeli altri momenti per cui sedersi a tavola: questo è il tempo per farlo, con passione e serietà», dice Sacco.

Appuntamento con la ricetta che celebra la dieta mediterranea

Appuntamento con la ricetta che celebra la dieta mediterranea

Barilla e Future Food Institute ci invitano a partecipare alla masterclass del 2 luglio dove la dieta mediterranea è protagonista, insieme a uno sguardo consapevole al futuro

Il modo migliore per celebrare 10 anni di nomina della dieta mediterranea a patrimonio UNESCO? Esplorarne la grandezza! Per farlo, Barilla ci aspetta il 2 luglio alle 18.30 con la masterclass “Dieta mediterranea: La ricetta del benessere” moderata da Sara Roversi e con la partecipazione di Mariangela Rondanelli, Professore Associato in Scienze e Tecniche Dietetiche presso la Facoltà di Medicina dell’Università di Pavia, Marcello Zaccaria, Executive Chef di Academia Barilla e José de la Rosa, Gastronomy Scientist di Future Food Institute.

Durante l’appuntamento, al quale potremo partecipare attraverso i canali di Future Food Institute,  lo chef Marcello Zaccaria ci guiderà nella preparazione delle sue Mezze Maniche su crema di ceci al rosmarino, con coda di rospo. Un piatto dal quale partire per riflettere sull’importanza della dieta mediterranea nella nostra vita.

“Abbiamo deciso di creare questa ricetta per celebrare i 10 anni della Dieta Mediterranea, perché ci ha dato l’opportunità di applicare in modo efficace e soprattutto tangibile i principi fondamentali di questa dieta” spiega Marcello Zaccaria, chef del Gruppo Barilla. “In questa ricetta, infatti, possiamo trovare la pasta, la base della piramide alimentare della dieta; ceci, quindi legumi che dovrebbero essere mangiati almeno due o tre volte alla settimana; il rosmarino, che sottolinea l’importanza delle erbe aromatiche essiccate; e il pesce, che rappresenta per noi una fonte di salute molto importante”.

“La Dieta Mediterranea è spesso sinonimo di cereali, un ingrediente che negli ultimi mesi di lockdown ha assunto un ruolo ancora più importante”, dice Mariangela Rondanelli, Nutrizionista e Professore Associato in Scienze e Tecniche Alimentari presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Pavia. “Le preparazioni fatte in casa di pasta, pizza e pane sono diventate rapidamente una sorprendente realtà quotidiana che ci ha permesso di riscoprire la socievolezza. Alla base della piramide alimentare della Dieta Mediterranea, oltre agli elementi puramente nutrizionali, c’è anche un aspetto che riguarda i rapporti umani. Ha infatti sottolineato come la convivialità, quindi il piacere di condividere il buon cibo con i nostri cari,
rappresenta un importante momento di benessere, nel senso più ampio del termine”.

 

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