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gli indirizzi da provare | La Cucina Italiana

gli indirizzi da provare
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Milano è fatale. Non appena il mio vicino di tavolo, a un cocktail, a un invito, a un evento, viene a sapere di cosa mi occupo, arriva la domanda: cosa c’è di nuovo a Milano per mangiar bene? Ora, anche per una critica gastronomica attenta e volenterosa, rispondere a tono è un’impresa ciclopica in una città costellata di eventi internazionali, che già si prepara ai Giochi Olimpici del 2026 e, che oggi, secondo i dati 2022 della Camera di Commercio, conta 4.600 ristoranti in continua evoluzione. E poi che cosa si intende per nuovo? Nuovi indirizzi? Nuovi cuochi emergenti? Nuovi stili di cucina? Tutte queste cose insieme? Perché ognuna di queste domande ha una propria risposta.

Luoghi d’emozione

Milano è una città di cortili segreti. Perciò è così eccitante che abbia aperto a tutti quello straordinario dell’antico Seminario arcivescovile rimasto nascosto per oltre vent’anni tra le vie del Quadrilatero della Moda. Adesso è uno spazio in cui passeggiare, fare acquisti e sedersi all’hotel Portrait, della famiglia Ferragamo, dove viaggiatori internazionali, milanesi e curiosi confluiscono per un cocktail e per assaggiare una cucina di ispirazione meneghina interpretata da Alberto Quadrio. Trippa in bianco, con parmigiano e aceto balsamico, Pollo arrosto della domenica alla senape, Involtini di verza, ceci e uvetta. Intanto, dal lato opposto del cortile, al Beefbar, nuovo tempio per carnivori di alta gamma, va in scena un altro tipo di spettacolo. Qui, in vetrine illuminate dove sono esposti tagli dei migliori wagyu, le speciali razze di manzo giapponese, i cuochi preparano street food di lusso: mini burger di Kobe e baby kebab, carni su hibachi al carbone e, per i tradizionalisti, filetti Cordon Bleu.

Mi voglio divertire

Ma nell’epoca della gastronomia dello stato d’animo ci sono giorni in cui si vogliono sperimentare emozioni inedite. Per esempio, se si è con amici, l’omakase mediterraneo di Verso, nascosto al secondo piano di un palazzo in piazza del Duomo, dove i due fratelli lucani Capitaneo, formati da Cracco, Berton, Perbellini, su dieci metri di pass assemblano l’Agnello delle Dolomiti lucane col peperone di Senise e i cardoncelli, gli Spaghetti al granchio, uno strepitoso Soufflé allo zafferano.
Se invece si cerca un luogo intimo per festeggiare, come a casa, ma meglio, c’è Langosteria Cucina, nuova apertura del regno milanese del pesce, e unico ristorante in città in cui il caviale è l’ingrediente portante. È clamorosa la svolta del venerabile Sant Ambroeus, dal 1936 riferimento chic per il tea time delle cinque, ora ristorante con veranda aperto dal mattino fino a tarda sera agli appetiti di un pubblico cosmopolita con un piccolo menù a base di croque monsieur, arancini, lobster roll, da abbinare a un Palm Beach o un Martini 2.1. Certo, in questo salotto buono un toscano irriverente ci voleva. «Sono qui per far divertire e rilassare i milanesi», dichiara, a due passi da piazza San Babila, Cristiano Tomei, lo chef di L’Imbuto di Lucca. Quindi il menù del suo Corteccia si apre con Una triglia a Milano, in realtà un ossobuco farcito di triglia. Seguono provocazioni varie votate ai sapori tosti, dalla citazione anni Ottanta dei Pennoni panna e prosciutto, alla versione provocatoria dell’Anatra all’arancia.

Nella vecchia latteria

Questa la Milano del nuovo millennio, sberluccicante, internazionale, all’avanguardia. Ma c’è anche un pezzo di storia della cucina meneghina rimasto immutato. È dietro alla sede storica del Corriere della Sera, in zona Brera, dove Maria Maggi nel 1965 aveva rilevato una latteria per chi voleva un piatto di minestra, due uova al burro, le polpette. Poi è stato l’indirizzo segreto dei milanesi bene che snobbavano i ristoranti alla moda e amavano la cucina di casa su quei dieci tavoli in pochi metri di spazio. Poi sono arrivati gli articoli del New York Times sul «best kept secret» in città. Costernati, gli habitué cercano di dissuadere Maria dal concedere interviste. Intanto niente è cambiato: l’insegna La Latteria è restata quella di allora; lei, gonna nera, grembiule bianco, gli amati fili di perle; i figli Marco e Roberto portano i piatti; il marito Arturo cucina. Niente sito e niente prenotazioni. Ci sono le pennette con le patate al guanciale, il vitello tonnato, la paillard e, d’inverno, le castagne col latte. Ma le uova al burro sono cotte nel padellino d’argento. Si apre la porta, si sbircia, se è tutto occupato si fa un giro e si prova a tornare.

Tre aperitivi in città

Alle sette di sera Milano si rilassa. Ed è esigente. Per la qualità dei mixologist, per la novità delle proposte, per la personalità dei locali. Opzioni? Un trip da Tripstillery con vista sulla Milano dei grattacieli include una micro distilleria di gin e amari, la possibilità di farsene creare uno esclusivo e i cocktail d’alto profilo di Luca Vezzali. Se l’aperitivo serve invece a completare le emozioni di uno degli eventi d’arte alla Fondazione Prada, allora bisogna prendere l’ascensore della Torre e, ammirando la città dall’alto tra le ceramiche di Lucio Fontana, concedersi un cocktail Kokumi, il nuovo sapore ultra-umami giapponese. La fondazione dà anche il nome al nuovo quartiere emergente intorno, il SouPra (South of Prada), e c’è già chi alla domanda: «Dove abiti?», risponde: «In Fondazione Prada». E a pochi passi di distanza, si può approfittare dell’inedito effetto paese nella piazzetta della chiesa di San Luigi, oggi pedonale, per una sosta da Canaglia, piccolo ma ambizioso «cocktail bar con cucina» aperto dove fino a ieri c’era un negozio di piastrelle.

Meglio il chilometro etico

Nella diatriba tra chilometro zero e chilometro libero, Milano ha inserito il suo personale contributo con il «chilometro etico»: prodotti selezionati nell’area raggiungibile in un’ora d’auto dal centro città. È in fondo quello che sosteneva Veronelli per il quale la cucina di Milano «aveva le sue basi nel verzée: i campi, gli stagni, i boschi lombardi». Lo ha proposto Norbert Niederkofler, paladino del chilometro zero, approdando in città a Horto, il nuovo ristorante con vista dall’alto sulla Galleria. E allora solo pesce d’acque dolci: la Tartara di trota e finocchio, lo Storione con fondo di salmerino; le carni dai famosi mercati bresciani e una sorpresa: un pubblico giovanissimo attento ai nuovi valori. Valori che spesso hanno sfumature e nomi intriganti. Come «cucina circolare», che vuol dire trasformare ogni scarto in un grande piatto, dal cavolo alla lepre. Un concetto che sei anni fa, quando Marco Ambrosino ha aperto il suo 28 Posti vicino alla stazione di porta Genova («Un ristorante piccolo, ma non un piccolo ristorante»), era del tutto all’avanguardia. Oggi il duetto che ha appena preso in mano le redini del locale persegue la stessa filosofia. E sui tavoli nudi, la faraona, volatile apparentemente lussuoso, arriva in tre portate antispreco: la coscia, il petto e le interiora.

I nuovi classici

In una città sempre avanti, anche gli chef la cui cucina è costruita su una base di formazione italiana classica sentono la spinta a innovare. Claudio Sadler, decano dei cuochi milanesi, trasferendosi nel piccolo hotel Casa Baglioni all’angolo della blasonata via dei Giardini, ha introdotto nella sua carta un capitolo composto per intero di piatti creati quest’anno. Dal Carciofo alla giudia con scampo scottato al Raviolo arrotolato alle erbe di campo. Del tutto ripensato il percorso di Eugenio Boer, olandese «nato per sbaglio in Italia», che fa un giro della storia gastronomica dello Stivale passando dalla Coda alla vaccinara tra Roma e Milano alla Cotoletta petroniana, fino al Canederlo di spinaci. Ma per completare un tour dei nuovi gusti non può mancare un assaggio del Risotto patrio di Carlo Emilio Gadda, quel risotto alla milanese banco di prova di ogni chef in città da Gualtiero Marchesi in poi. (Utile guida, in tal senso, la monografia Risotto alla milanese, Gruppo Editoriale.) Ne suggerisco due versioni: quello di Matteo Fronduti al Manna, nel quartiere NoLo, che sostituisce la foglia d’oro con una foglia di midollo, e quello di Giancarlo Perbellini al Ristorante Trussardi in piazza della Scala che nel «Menù per Milano» lo presenta con una trionfale crema allo zafferano sifonata e frammenti di ossobuco. Ammirare, mescolare, degustare.

Gli indirizzi da provare

Portrait Milano, lungarnocollection.com
Horto, hortorestaurant.com
Trussardi by Giancarlo Perbellini, trussardi.com
Bu:r, restaurantboer.com
Ð Langosteria Cucina, langosteria.com
Manna, mannamilano.it
Distreat, distreat.it
La Latteria, tel. 026597653
Ristorante Torre, fondazioneprada.org
28 Posti, 28posti.org
Canaglia, canagliamilano.it
Corteccia, cortecciamilano.it
Tripstillery, @tripstillery
Ristorante Sadler, ristorantesadler.it
Sant Ambroeus, santambroeus.com
Verso, ristoranteverso.com

Zabaione, ricetta della crema dessert amata da Giuseppe Verdi

La Cucina Italiana

Dal menù, la sua offerta gastronomica è comprensibile, legata alla tradizione con tocchi di creatività: percepisce un ritorno alla cucina italiana come tale rispetto agli esercizi di stile?

«Il pubblico è sempre più alla ricerca di un’esperienza autentica, genuina, brama il ritorno alle radici enogastronomiche del nostro Paese e alla semplicità dei piatti. Oggi vince quella cucina che sa ricordare i tempi passati, che sa valorizzare le risorse del territorio e creare percorsi di degustazione che oscillano tra comfort, momenti amarcord e incredibili scoperte al palato. Al Nabucco ad ogni cambio menù cerchiamo di portare al pubblico i grandi piatti italiani, da Nord a Sud: i nostri clienti cercano questa autenticità a scapito del fenomeno fusion o alle cucine più costruite».

Chef Vetrei, dalla sua esperienza anche all’estero, come vede la candidatura della cucina italiana come patrimonio Unesco?

«La cucina italiana deve essere riconosciuta per i suoi valori, è apprezzata in tutto il mondo per le sue radici solide e per le sue qualità. Il piatto più conosciuto a livello globale è lo spaghetto con le polpette, anche un bimbo che nasce in Giappone sa cos’è! È un riconoscimento che non può mancare alla nostra cucina».

Intervista al bartender Fabrizio Bergamini

Quali sono gli aspetti principali nell’abbinamento tra cocktail e piatti?

«Il punto di arrivo in una degustazione enogastronomica è trovare il corretto abbinamento che sappia valorizzare ed esaltare le caratteristiche di bevanda e cibo, trovando la giusta armonia. Anche nel mondo del cocktail succede lo stesso: la parte più divertente è che per la creazione dei nostri drink possiamo attingere da un’ampia “tavolozza” di profumi, sapori e colori, un po’ come dei pittori. Per costruire un cocktail che sappia valorizzare un determinato piatto, e viceversa, ci sono diversi metodi e tecniche, ciascuno dei quali capace di valorizzare una o l’altra nota in base alla resa finale che si desidera. Nel caso de “I Promessi Sposi” ho creato un twist dell’Espresso Martini (cocktail ufficiale IBA) richiamando l’amaretto presente nello zabaione e aggiungendo le note delicate e avvolgenti della vaniglia».

Quale cocktail abbineresti allo zabaione e quali caratteristiche principali deve avere?

«È nato un matrimonio tra il drink e lo zabaione ed è per questo che abbiamo deciso di dare un nome unico all’abbinamento: “Promessi Sposi”. Il drink che ho creato è un after dinner al caffè con sentori di amaretto e delicate note di vaniglia».

Cocktail Promessi Sposi, ricetta del bartender Fabrizio Bergamini

Ingredienti:

  • ¾ tazzina di caffè moka
  • 4cl di vodka Ketel One alla vaniglia home made
  • 1cl Disaronno
  • 2cl zucchero di canna liquido

Albert Adrià arriva da Nobu per una cena fusion a 4 mani

La Cucina Italiana

Si chiama Armani Restaurants Insieme il ciclo di incontri che porterà il 13 e 14 giugno a una cena a 4 mani unica. Lo chef Albert Adrià, infatti, sarà ospite di Antonio D’Angelo, Corporate Chef Armani, nella cucina di Nobu. 

Un incontro unico di esperienze, tecniche e gusti che porta la contaminazione e la sperimentazione culinaria a un livello superiore, in cui gioco di squadra e scambio di opinioni fanno da fil rouge. L’Executive Chef di Nobu Milano proporrà alcune delle sue più famose creazioni, coniugate perfettamente alla filosofia culinaria dello Chef Adrià in un menu degustazione unico.

Un incontro, questo, tappa di un tour già passato per i ristoranti di Tokyo e New York, che si concluderà il 26-27 settembre nell’Armani Ristorante di New York sempre con chef Albert Adrià.

Chi è Albert Adrià

In oltre 35 anni di carriera, Albert Adrià ha creato nuovi format di ristorazione e pasticceria, aperto il ristorante nikkei Pakta, gli stellati Hoja Santa ed Enigma, ultimo suo successo inaugurato nel 2017, e ricevuto numerosi riconoscimenti. È stato nominato tra le persone più influenti nel panorama gastronomico dalla rivista Time. È il fratello di Ferran Adrià, padre fondatore della cucina molecolare, e con lui ha lavorato a El Bulli come responsabile della linea dessert.

Chi è Antonio D’Angelo

D’Angelo, Corporate Chef Armani ed Executive Chef di Nobu Milano, ha condotto un percorso professionale eclettico che gli ha permesso di guadagnare una comprensione completa del mondo della cucina e delle sue logiche. Chef personale di Giorgio Armani per anni, dal 2009 guida la cucina di Nobu Milano e affianca a questo ruolo quello di Corporate Chef, occupandosi in prima persona di tutti i progetti di ristorazione del gruppo – dalle nuove aperture al catering, dal delivery alle collaborazioni, come Armani Restaurants Insieme. Ha creato l’Orto di Mimì, orto kilometro zero con agricoltura sostenibile che fornisce Nobu Milano di verdure, wasabi e molto altro.

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