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Calamarata: la ricetta classica e gli errori da evitare

La Cucina Italiana

Si chiama calamarata uno dei primi a base di pesce di orgine campana più amati e famosi nel nostro paese e nel mondo. La ricetta è talmente facile che dovrebbe essere impossibile commettere errori, eppure qualcuno ogni tanto scappa.

Questo primo prende il nome dai due ingredienti che lo compongono: i calamari e la pasta che proprio per il suo particolare formato che ricorda gli anelli di calamaro si chiama “calamarata”. Si tratta di una ricetta partenopea ormai esportata in tutta Italia e anche all’estero, perfetta in estate, ma anche per tutto il resto dell’anno.

Calamarata classica, la ricetta

Ingredienti per 4 persone

400 g pasta tipo calamarata (o mezzi paccheri) 
600g calamari 
350 g pomodorini freschi 
1 cucchiaio di concentrato di pomodoro 
1/2 bicchiere di vino bianco 
1 spicchio d’aglio 
peperoncino fresco 
1 ciuffo di prezzemolo 
sale – pepe – olio evo q.b.

Procedimento

Per prima cosa bisogna pulire i calamari staccando la testa e i tentacoli e togliendo la cartillagine intera e le interiora. Con le mani poi eliminate la pelle esterna e lavate bene tutto. Se non siete capaci di pulire i calamari o non avete tempo, lasciatelo fare al vostro pescivendolo di fiducia.

Tagliate i calamari ad anelli grandi quanto la pasta e tritate al coltello la testa e i tentacoli. Intanto in una padella soffriggete uno spicchio di aglio tritato (o intero), unite anche il peperoncino fresco e poi i calamari e lasciate cuocere per qualche minuto sfumando con del vino bianco

Aggiungete poi i pomodorini tagliati a spicchi e il concentrato di pomodoro e proseguite la cottura per altri 10 minuti a fuoco lento. 

Raccolta differenziata: regole ed errori

Raccolta differenziata: regole ed errori

Indifferenziato o plastica? Carta o organico? Se vi è capitato di non sapere dove buttare un rifiuto o volete mettervi alla prova sulla raccolta differenziata, ecco regole da rispettare e errori da evitare

La raccolta differenziata è il primo passo verso il riciclo dei materiali, un circolo virtuoso più che mai necessario in termini di sostenibilità ambientale, ma anche economica. Secondo l’ultimo Rapporto Rifiuti Urbani dell’Ispra, in Italia la raccolta differenziata fortunatamente continua a crescere: nel 2019 è stato differenziato il 61,3% dei rifiuti urbani che equivalgono a 18,5 milioni di tonnellate, 913mila in più rispetto al 2018.

Regole ed errori della raccolta differenziata

Siamo abbastanza bravi dunque, ma spesso nel nostro piccolo, tra regole che cambiano da Comune a Comune e difficoltà a identificare il materiale di un oggetto che dobbiamo buttare, commettiamo errori che si traducono in uno smaltimento scorretto dei rifiuti. E, considerato, che produciamo ognuno circa 500 chili di rifiuti l’anno, dobbiamo tutti stare più attenti. Vediamo quali sono, allora, le regole della raccolta differenziata per non sbagliare più.

Gli scontrini non vanno nella carta

Essendo fatti per la maggior parte in carta termica, gli scontrini non vanno buttati nella carta, ma nell’indifferenziato, poiché questo tipo di carta ha delle componenti che non la rendono riciclabile.

I cartoni della pizza vanno nella carta solo se sono puliti

Sabato sera uguale pizza d’asporto, sì ma poi il cartone dove si butta? Se è perfettamente pulito si può gettare nella carta, se è unto o presenta residui di cibo va buttato nell’indifferenziato.

La carta da forno va nel secco (indifferenziato)

Si chiama carta, ma non lasciatevi ingannare. Dopo che avete cotto le vostre prelibatezze, la carta da forno va buttata nell‘indifferenziato.

Non è tutto vetro quello che luccica

Nel vetro va buttato, appunto, solo il vetro, come quello delle bottiglie o dei vasetti delle conserve. Non vi vanno gettati, invece, piatti di ceramica e porcellana, bicchieri di cristallo, lampadine che vanno conferiti all’isola ecologica.

Tetrapak e polistirolo

Qui le regole possono cambiare da Comune a Comune, dunque verificate bene dove poter buttare il Tetrapak (quello delle confezioni di latte o di succo di frutta per intenderci): in alcuni casi va conferito con la carta, in altri con il multipak. Per quanto riguarda il polistirolo, generalmente, in piccole quantità, può essere gettato con la plastica.

Plastica, indifferenziato o isola ecologica?

Facciamo qualche esempio: carta stagnola, grucce di plastica o metallo, piatti e bicchieri di plastica, vaschette di alluminio, tubetto del dentifricio vuoto si buttano nella raccolta di plastica e/o alluminio.

Accendini, bancomat, bottoni, giocattoli, spazzolini, penne vanno nell’indifferenziato.

Toner delle stampanti, bilance da cucina, scope si portano all’isola ecologica.

Mascherine e guanti usa e getta

Purtroppo sono entrati a far parte dei nostri rifiuti quotidiani: mascherine e guanti usa e getta vanno buttati nell’indifferenziato.

Pulizia dei rifiuti

Prima di buttare un vasetto di yogurt o una bottiglia di passata (vuoti naturalmente), sarebbe buona norma sciacquarli per eliminare i residui di cibo.

Occhio ai contenitori

Gettate nel bidone apposito il vetro sfuso, non all’interno di un sacchetto di plastica; lo stesso vale per la raccolta di carta e cartone: utilizzate solo sacchetti di carta o scatoloni per differenziarli.

“Dove lo butto?”: come risolvere i dubbi

Come abbiamo detto in precedenza, alcune regole possono essere diverse a seconda del Comune di residenza. Generalmente sui siti web dei gestori della raccolta dei rifiuti si possono risolvere i propri dubbi sulla raccolta differenziata nel proprio territorio. Per Milano, ad esempio, si può far riferimento al sito dell’Amsa, per Roma a quello dell’Ama. Senza dimenticare che non di rado nelle confezioni stesse ci sono le istruzioni per il corretto smaltimento.

 

 

 

 

5 errori + 1 che commetti di sicuro preparando i falafel

5 errori + 1 che commetti di sicuro preparando i falafel

Ci siamo fatti spiegare dal ristorante Nùn – Taste of Middle East a Milano come fare i falafel. È più facile di quanto sembri, ma facciamo sempre un errore gigantesco. Tutta colpa dei ceci

I falafel sono deliziose polpette fritte, di ceci o fave, molto popolari in tutto il Medio Oriente e ormai anche da noi. Le fanno un po’ ovunque e la voglia di provarci anche a casa è tanta. Ma i risultati…. Ci siamo fatti quindi rivelare da Alberto Paolini, di Nùn – Taste of Middle East a Milano, quali sono gli errori più comuni che commettiamo preparandoli in casa.

Abbiamo scoperto che sono ancora più semplici da cucinare di quanto immaginassimo e che sbagliamo tutto in partenza. Provate a farli in con queste accortezze e otterrete dei falafel dalla crosticina croccante e con un interno umido e aromatico, come fossero delle crocchette. Deliziosi.

1 – Lessare i ceci

Potrà sorprendere qualcuno (compreso chi scrive), ma i ceci per i falafel non vanno lessati. Affinché l’amido contenuto naturalmente nei ceci non si disperda e ne pregiudichi la compattezza i ceci non vanno cotti prima di essere tritati; anche il sapore e la consistenza ne risentono. Questo è sicuramente l’errore più comune, ma in realtà farli bene è ancora più semplice: è sufficiente lasciare reidratare i ceci per almeno dodici ore, poi scolarli, lavarli e passare alla fase successiva.

2 – Aggiungere farina, amido o pangrattato

Se lessiamo i ceci, dato che sarà difficile tenere insieme le nostre polpette, saremo tentati di aggiungere un addensante, tipo amido, farina o pangrattato. Assolutamente no. Tritando in un robot da cucina i ceci ammollati non andrà aggiunto nulla di tutto ciò. Il primo motivo è che saranno ingredienti inutili perché i ceci mantengono il proprio amido naturale che gli permette di stare compatti, di conseguenza aggiungendo farina e affini andremo a diluire i sapori che invece vogliamo netti e decisi.

3 – Tritare troppo finemente i ceci

I ceci vanno tritati, questo è sicuro, ma non al punto che diventino una pasta finissima, come fosse hummus. È importante che il composto, una volta passato nel robot da cucina sia ancora abbastanza granuloso, questo ci aiuterà quando formeremo le polpette e permetterà di ottenere durante la frittura una buona crosticina superficiale senza doverli impanare.

4 – Lesinare con il condimenti

Spesso capita di essere troppo parchi con il condimento dei falafel. Un po’ perché, se abbiamo commesso tutti gli errori precedenti, sarà difficile aggiungere altri ingredienti al composto e lasciarlo coeso, un po’ per timore di ottenere poi dei falafel sbilanciati e troppo forti. Il consiglio di Alberto è di non lesinare: cipolla, aglio, pepe, un po’ di cumino, sale, ma soprattutto abbondante prezzemolo. Infatti per un chilo di ceci al Nùn usano attorno ai 90 grammi di prezzemolo. I condimenti vanno tritati assieme ai ceci. Noterete subito la differenza: non solo i falafel si presenteranno molto più verdi, ma saranno più freschi e briosi, da divorare uno dietro l’altro.

5 – Non far riposare il composto prima della cottura

Il composto tritato va fatto riposare almeno due ore in frigorifero, anche di più se potete. Al freddo l’impasto di ceci si compatterà, stabilizzandosi e insaporendosi omogeneamente. Successivamente potete anche formare le polpette e congelarle per friggerle quando ne avrete bisogno. Una volta tolti dal frigo, i falafel saranno pronti per essere fritti: al ristorante, per facilità e per la gran quantità, li si cuoce in friggitrice, ma a casa si possono fare in padella, magari formando delle polpette più piccole e curandosi di girarle. Per la frittura Alberto raccomanda un buon olio di arachide oppure un olio di girasole alto oleico, che non cederanno aromi non graditi ai nostri falafel.

Errore bonus: Usare i ceci in scatola

Sappiamo che qualcuno avrà la tentazione di usare i ceci in scatola. Così facili, così tentatori. Tuttavia con essi, come avrete capito dai primi due errori, non potranno venire buoni falafel. Innanzitutto i ceci in scatola sono già cotti e stracotti, quindi hanno perso gran parte del loro gusto e per poter fare le polpette saremo costretti ad aggiungere farina o pangrattato. Il risultato sarà spento e triste, con quell’aroma tipico della scatola che non raccomandiamo.

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Testo a cura di Jacopo Giavara

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