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Stella verde Michelin, cos’è e come ottenerla

La Cucina Italiana

Uno dei riconoscimenti per il quale i ristoranti gourmet fanno a gara è la stella verde Michelin. Perché se anche nel campo della ristorazione le mode vanno e vengono una sicurezza esiste ed è che in tema di consumi cresce la domanda di informazioni chiare in merito alla sostenibilità dei prodotti che acquistiamo. Moda, beauty e cibo oggi si scelgono anche in base al loro impatto ambientale e le aziende che forniscono dichiarazioni di sostenibilità chiare, responsabili e trasparenti, otterranno un sempre maggior vantaggio competitivo nei confronti della concorrenza. Nella ristorazione vale la stessa regola e sempre più ristoranti si stanno adeguando, per marketing o per convinzione. Come riconoscere un’insegna realmente impegnata nella sostenibilità, oltre le apparenze? Ci ha pensato la Guida Michelin.

La stella per la sostenibilità

Nel 2020 è stata introdotta per la prima volta una nuova categoria tra le stelle Michelin: la stella verde, che si propone di premiare i ristoranti che seguono alcuni comportamenti virtuosi in tema di sostenibilità. Nell’assegnazione della stella, non è solo la cucina a fare da protagonista, ma vengono considerati altri parametri come: lo stile green, l’autoproduzione delle materie prime, l’azzeramento della plastica e altri materiali non riciclabili, l’impatto energetico, lo smaltimento dei rifiuti, l’attenzione verso la vita del personale e creazione di progetti sociali a livello locale, nazionale e globale. A oggi in Italia sono 49 i ristoranti con la stella verde, dai tre stelle Michelin di fama internazionale alle trattorie. 

Gli chef che stanno ispirando una generazione

Esistono chef che oltre al lavoro in cucina in senso stretto hanno dato vita a veri e propri movimenti, segnando un percorso e dato l’esempio intraprendendo percorsi oramai decennali di impegno nei confronti della sostenibilità. I primi a ricevere la stella verde sono stati loro. L’Osteria Francescana ha ricevuto la stella verde per merito del progetto Food for Soul (creato da Massimo Bottura con la moglie Lara Gilmore) il cui scopo è quello di «combattere lo spreco alimentare e favorire l’inclusione sociale con refettori aperti oramai in tutto il mondo». Norbert Niederkofler con il ristorante St.Hubertus in Alto Adige ha dato vita al movimento Cook The Mountain che ha rivoluzionato la cucina di montagna valorizzando le produzioni locali di alta quota. Davide Oldani con il suo bistellato D’O ha fatto della formazione dei ragazzi un elemento di sostenibilità. Precursore in assoluto anche il ristorante Joia di Pietro Leemann, il primo ad aver ricevuto in Europa la stella Michelin e ad aver promosso la cucina vegetariana. 

Oltre l’orto, le aziende agricole con cucina stellata

L’orto dello chef che andava di moda un decennio fa non è più sufficiente per ammantarsi di filosofia green e l’impegno dei singoli ristoranti va ben oltre l’autoproduzione di frutta e verdura. Da più di trent’anni, l’azienda biologica della famiglia Iaccarino a Punta Campanella vanta una produzione di frutta e verdura nel rispetto delle tipicità locali necessaria alla cucina del DonAlfonso 1890, tre stelle Michelin. Grazie al programma Zero Waste la raccolta differenziata raggiunge il 95% e lavorano per la riduzione di rifiuti e scarti nelle strutture ricettive. Il ristorante La Preséf in Valtellina si trova in un agriturismo che alleva le vacche nel segno del benessere animale e ha attivato sul tetto della propria stalla un impianto che supporta la produzione di energia elettrica per il 36% circa del fabbisogno. Al ristorante SanBrite, una malga a 1800 metri di altitudine, lo chef Riccardo Gaspari porta avanti una cucina che ama definire rigenerativa, ovvero una cucina in cui ogni elemento della filiera si muove in modo circolare e costante: nel piatto finiscono carne, formaggi e verdure di propria produzione. La famiglia Ceraudo del ristornate Dattilo in Calabria ha un’azienda agricola 100% indipendente a livello energetico, grazie a un impianto fotovoltaico. La Cru appena fuori Verona invece prende alla lettera il concetto di sostenibilità e stile green. «La materia prima viene utilizzata nella propria interezza ed eventuali scarti vengono poi utilizzati quale compost per l’orto di proprietà. Al bando qualsiasi additivo chimico! Le piante “cooperano” tra loro in sinergia e inoltre: raccolta di acqua piovana, impianto fotovoltaico, biopiscina con filtraggio di H2O attraverso gli alberi, foraging…», spiega lo chef Giacomo Sacchetto (nella foto di apertura insieme alla brigata del ristorante, a Liliana e Kaleb che si occupano dell’orto).

L’approccio alla materia prima

Nel mezzo della laguna veneta, Venissa sull’isola di Mazzorbo ha un laboratorio di fermentazione che provvede al recupero di sovrapproduzione agricola e scarto del pesce. Martina Caruso al ristorante Signum sull’isola di Salina lavora pescato non propriamente diffuso come murena e pesce azzurro, mentre al Gardenia di Caluso le erbe selvatiche sono il fulcro della cucina. Al ristorante Terra, due stelle Michelin a Sarentino in Alto Adige, il valore del plastic free si aggira attorno al 90%. Terra si sposa inoltre con l’acqua, sostenendo il “World Ocean Day”: programma – in collaborazione con le Nazioni Unite – atto a sensibilizzare l’opinione pubblica sulle problematiche degli oceani, nonché dei mari, afflitti da vari problemi come l’inquinamento e la presenza di plastica.

Non solo stelle: le trattorie green

Non solo i ristoranti stellati possono ottenere la stella verde: esistono anche alcune trattorie che l’hanno ottenuta. Due storie interessanti sono quelle di Caffè La Crepa a Isola Dovarese, già Bib Gourmand che oltre all’orto e al vigneto km zero offre il service point per biciclette che Favorisce un turismo sostenibile d’eccellenza e permette alla clientela di raggiungere il nostro ristorante senza emissioni di CO2, offrendo inoltre un servizio gratuito di riparazione e manutenzione». Anche Casa Format a Orbassano ha ottenuto la stella verde grazie all’autosufficienza dal punto di vista energetico, la struttura infatti «è una costruzione a impatto zero cui fa eco un orto naturale di ben 2000 mq».

Come candidarsi?

Nonostante la Guida Michelin abbia da sempre ispettori in incognito e le sue votazioni sono quindi ammantate di mistero, il modo per sottoporre la propria candidatura è piuttosto semplice: mandare una mail. Alla domanda posta direttamente all’ufficio della guida la risposta è stata la seguente: «I ristoranti possono auto segnalarsi. Possono scrivere alla mail a laguidamiochelin-italia@michelin.com, oppure al servizio clienti del sito facendo una auto segnalazione a questo link. Dopodiché avvengono i controlli degli ispettori».

5 ricette estive facili dello chef che ha rinunciato alla stella Michelin | La Cucina Italiana

5 ricette estive facili dello chef che ha rinunciato alla stella Michelin
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Volete fare delle ricette estive facili e d’effetto? Ecco l’articolo che fa per voi.

Le ricette di Yoji Tokuyoshi cambiano di continuo, al ritmo serrato degli alimenti di stagione, andando dritte al punto e senza fronzoli. Perché oggi è questa la sua idea di fine dining, a cui è approdato dopo un lungo percorso: fresco di studi in Giappone, si trovò a far pratica in un ristorante italiano turistico, scoprendo presto che per affrontare il tema sul serio avrebbe dovuto mettersi in viaggio. Fino a bussare alla tristellata Osteria Francescana di Massimo Bottura, a Modena, e diventarne sous chef per nove anni. Finché nel febbraio 2015 ha aperto a Milano il suo Ristorante Tokuyoshi, mixando ingredienti italiani e filosofia giapponese, che dopo pochi mesi ha conquistato una stella Michelin. Quattro anni dopo è stata la volta dell’ Alter Ego, a Tokyo (cucina italiana con ingredienti giapponesi). Poi, lo stop imposto dalla pandemia, con la necessità di ripensare tutto al volo. Yoji Tokuyoshi ha scelto di trasformare il blasonato ristorante in Bentoteca, ovviamente più adatta al delivery, per capire presto che in realtà era quella la sua idea di cucina: niente complicazioni inutili, ma materie prime eccellenti, rigorosamente locali e di stagione, da trattare con estrema semplicità. Tanto che, quando è finalmente è arrivato il momento di riaprire, non è tornato sui suoi passi. Gli esperti della Guida Michelin continuavano a chiamarlo, per essere certi di aver capito bene: «Ha davvero deciso di rinunciare alla stella?». Proprio così.

Chef Yoji Tokuyoshi (fonte FB)

Poiché alla Bentoteca, in Via San Calocero al 3, andava fortissimo il katsu sando, celebre street food giapponese a base di soffice pane shokupan e maiale fritto, lo chef ha poi deciso di dedicargli un intero ristorante, la Katsusanderia di Via Bonvesin de la Riva, ancora al 3. E siccome lì il pane è fantastico, Yoji Tokuyoshi ha pensato che fosse una buona idea farlo diventare protagonista di un terzo locale milanese: si tratta di Pan, bakery giapponese con cucina aperto pochi mesi fa in via Leopoldo Cicognara 19, zona Città Studi, aperto dalla colazione al pranzo, dalla merenda all’aperitivo. Dove intorno ai capolavori (giapponesi, italiani, francesi) del maestro della lievitazione Ken Nishikata ruotano le ricette semplici dello chef. Come le quattro che seguono, in esclusiva per La Cucina Italiana, più una: si tratta del Kushikatsu di baccalà e maionese di n’duja – anch’esso facilissimo da realizzare – che Tokuyoshi propone alla famosa Stazione Vucciria – ristorante pop up sulla spiaggia di Torre Conca, in Sicilia – di cui è resident chef dell’estate 2023.

Ecco le ricette estive facili di Yoji Tokuyoshi:

Cannavacciuolo e Bartolini, i veri protagonisti Stelle Michelin 2023

La Cucina Italiana

Così uguali, così diversi: Antonino Cannavacciuolo, nuovo Tre Stelle per la Guida Michelin Italia, ed Enrico Bartolini, che si può veramente definire l’«uomo delle Stelle» visto che con l’edizione 2023 è arrivato a 12 complessive e nel mondo è sopravanzato solo da Alain Ducasse (con 14), mentre ha raggiunto Pierre Gagnaire e Martín Berasategui. Ne hanno fatto di strada, in una decina di anni: ce li ricordiamo, insieme proprio come ieri, nelle cucine del San Raffaele a Milano per la cena di presentazione della Guida Italia Bmw: nel novembre 2009, Villa Crespi era il «ristorante dell’anno», già in possesso della doppia Stella e Bartolini il «cuoco emergente» aveva una Stella a Le Robinie, nell’Oltrepò Pavese. Vederli protagonisti del nuovo decennio era scontato. In realtà, per quanto opposti per origini (napoletano Antonino, toscano di terra Enrico), carattere personale (estroverso il primo, introverso il secondo: almeno in pubblico), visione culinaria e persino aspetto fisico, si ritrovano insieme in copertina e segnano un momento di passaggio importante nella cucina italiana, ben più della rituale soddisfazione per il numero di giovani talenti neo-stellati.

Senza un vero maestro

In comune hanno una storia di provincia, inizi sotto casa, favoriti nel caso di Cannavacciuolo, classe 1975, da un padre cuoco e professore all’Alberghiero di Vico Equense nonchè di un culto familiare estremo per il cibo; per Bartolini, nato nel 1979, da una zia, sempre citata, e dei lavoretti in trattoria. Poi stage all’estero e il ritorno in patria, spostandosi al Nord. Nel 1999, per Antonino iniziava l’avventura di Villa Crespi, supportato dalla moglie Cinzia (cresciuta nell’hotellerie, niente è casuale) mentre Enrico faceva un passaggio decisivo a Le Calandre, alla corte degli Alajmo. Da lì la prima avventura da executive chef a Le Robinie, poi il Devero a Cavenago con la seconda Stella (clamorosa, pensando al luogo, nel 2012) e infine lo sbarco a Milano, nel Mudec, dove è partita l’impressionante scalata verso al cielo.

Un primo aspetto salta all’occhio: sono post-marchesiani sia per storia personale sia per non sentirsi eredi di qualcosa e di qualcuno. Forse quel tempo glorioso è finito? Delle 12 Tre Stelle attuali, solo Piazza Duomo è guidato da un allievo di Gualtiero Marchesi, ossia Enrico Crippa. E sono più numerosi gli autodidatti o ‘stagisti’ (Romito è il caso più eclatante, ma anche Alajmo è sbocciato in casa) che i seguaci dei maestri. Sarà un caso ma gli allievi più illustri – Cracco, Berton, Camanini – sono bloccati da tempo a una Stella e il solo Oldani è salito a due, contornato dalla Stella Verde.

Italiani e non complicati

Il secondo aspetto: la cucina. E anche su questo, indiscutibilmente, arriva un messaggio forte dalla Rossa: apparentemente distinto fra i due, ma non lo è. Cannavacciuolo ha avuto la grande intuzione nel momento della massima popolarità di non cedere all’esercizio di stile, alla creatività imposta ai clienti, alla voglia di far vedere quanto sia bravo. Quindi l’opposto del fenomeno per pochi gourmet, semmai è l’ideatore piatti di leggibilissimi, adatti ai ragazzini come ai nonni. Con materie prime al top, soprattutto golosi, vivaci, colorati. Sempre più spostati verso Sud, perchè alla fine il suo gusto arriva da lì e piace a tutti.

Anche Bartolini ha puntato (e continua a puntare) su una cucina italianissima, attenta alle regionalità ma senza esserne (giustamente) bloccata, esteticamente valida ma non stilosa come quella di tanti colleghi. E ha un’arma in più che se per molti rappresenta un limite, in realtà risponde perfettamente a uno dei canoni richiesti dalla Michelin: la costanza nel menù, antitesi di quanti amano (o magari devono) presentare ogni anno un mare di nuove idee per tenere la posizione o scalarla. Questione di carattere, ma anche di grande lucidità nell’arrivare al risultato e di mantenerlo: le 12 Stelle sono lì a mostrarlo.

Famiglia e gruppo

Terzo aspetto: la capacità imprenditoriale e di mentore, cosa diversa dal lavorare per il solo guadagno e fare i maestri. In un periodo in cui la Michelin sembra avere definitivamente abbandonato i pregiudizi verso chi gestisce più locali e «va in televisione» (Bartolini molto meno di Cannavacciuolo ma ha appena iniziato), la coppia d’oro ha creato un piccolo impero: Antonino, senza quasi farsi notare, può unire alle Tre Stelle, quattro Stelle singole grazie ai due bistrot (Torino e Novara) e a due ristoranti interni su quattro della sua collezione Laqua (Vineyard a Terricciola e Countryside a Ticciano). Siamo a 7 con una caratteristica: i perni delle brigate sono praticamente ‘figli suoi’, quasi tutti passati a Villa Crespi.

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