Tag: piatti tipici

Massimo Troisi: gli spaghetti ai carciofi di “Il postino”

Massimo Troisi: gli spaghetti ai carciofi di "Il postino"

Il postino, di e con Massimo Troisi, è uno dei film fra i più apprezzati della storia del cinema italiano e fra i più amati della filmografia di Massimo Troisi. Anche perché, a pochi giorni dalla fine delle riprese, nel 1994, Troisi morì per un attacco cardiaco. A 71 anni dalla sua nascita (19 febbraio del 1953), vogliamo celebrarlo con il piatto da lui preparato sul set del film Il postino: sono gli spaghetti ai carciofi di Mario Ruoppolo, nome del personaggio da lui interpretato nel film.

Il postino di Neruda

La pellicola, diretta da Michael Radford e dallo stesso Troisi, è tratta dal romanzo Il postino di Neruda, scritto dall’autore cileno Antonio Skármeta. La trasposizione cinematografica del romanzo fu fortemente voluta dall’artista napoletano (invero, nato a San Giorgio a Cremano, alle porte della città), che ne acquistò ben presto i diritti e chiese a Michael Radford di dirigerlo. Per questo film rinunciò anche all’intervento al cuore, pur di non perdere la presenza di Philippe Noiret, con lui protagonista del film.

Dalla spiaggia di Pollara…

Tra i tanti luoghi suggestivi e indelebili nella memoria di chi ha visto Il postino, c’è sicuramente la spiaggia dorata di Pollara a Salina, incassata tra un’alta parete rocciosa e un mare da favola, dove Troisi e il poeta Neruda, interpretato da Philippe Noiret, scagliano i ciottoli verso il mare. Proprio nel comune di Malfa, con vista su Pollara, sorge la Locanda del Postino, una piccola struttura ricettiva di 10 camere arredate in stile eoliano, all’interno dell’ex dimora del parroco del paese. Qui Mauro e Amelia, assieme ai figli Francesco e Mariachiara, gestiscono anche un piccolo ristorante. «Era il 1985 quando mia moglie e io ci siamo innamorati e, dopo gli studi a Messina, nel febbraio del 1994 abbiamo deciso di trasferirci a Salina», racconta Mauro. In quel periodo Troisi stava girando Il postino, da qui il nome della struttura. In attività dal 2000, i piatti proposti dalla signora Amelia sono a base degli ingredienti locali. «A Pollara sono famosi i capperi, ma anche il pomodoro siccagno, che si essicca sulla pianta, e poi pesce a volontà, solo il pescato del giorno». Come la tartare di alalunga con sedano croccante e capperi o come la pasta con pomodori siccagni e pesto di capperi, fino ai dolci della tradizione affidati alle sapienti mani della figlia Mariachiara.

… all’isola di Procida

C’è anche un altro luogo che porta lo stesso nome, ma che si trova su un’altra isola, dove è stata girata la maggior parte delle scene del film di Troisi. Peccato, però, che la Locanda del postino a Procida abbia invece chiuso i battenti lo scorso novembre. Proprio qui, sul porto, di fronte alle reti ammassate dei pescatori, nacque l’amore fra Mario Ruopolo (Massimo Troisi) e Beatrice, interpretata da una giovanissima Maria Grazia Cucinotta. Alla Locanda del Postino era possibile cenare o sostare per un caffè fra il cigolìo delle barche dei pescatori e le atmosfere del borgo. All’interno dell’osteria, un’intera parete era stata dedicata alla celebrazione del film con immagini, citazioni e anche la borsa marrone, la stessa utilizzata nelle riprese. Ecco allora la ricetta che Mario Ruoppolo preparò per Beatrice. Un piatto semplice, fatto con amore, nel ricordo della grande figura di Massimo Troisi.

Spaghetti ai carciofi alla Mario Ruoppolo

Ingredienti

  • 500 g di spaghetti
  • 6 carciofi
  • 400 g di pomodori maturi o pelati
  • 1 spicchio di aglio
  • 4 cucchiai di olio extravergine d’oliva
  • basilico fresco
  • prezzemolo fresco
  • sale q.b.
  • pepe q.b.

Procedimento

  1. Pulite i carciofi togliendo le foglie esterne più dure, tagliateli a fettine e metteteli in una padella con l’olio e l’aglio. Fateli stufare per qualche minuto e aggiungete i pomodori tagliati a cubetti.
  2. Cuocete per una mezz’oretta, aggiustate di sale e pepe, profumate con qualche foglia di basilico e prezzemolo (o anche senza nulla).
  3. A cottura dei carciofi condite gli spaghetti cotti al dente in abbondante acqua salata.

Dolci di Natale napoletani: 10 delizie irresistibili

La Cucina Italiana

Il Natale è sempre un trionfo di sapori, a Napoli ancora di più. Perché i dolci di Natale napoletani sono i veri protagonisti della tavola delle Feste. La città partenopea, infatti, in quanto a dolci natalizi ha una tradizione tutta sua, talmente vasta e inimitabile da permeare lo spirito stesso dei napoletani.

I dolci di Natale napoletani

Divino amore

Si tratta di piccoli dolcetti prodotti con un impasto di uova, zucchero, acqua e mandorle, arricchiti con canditi, vaniglia e scorze di limone. E quindi ricoperti di ostie, marmellata di albicocche e ghiaccia rosata. Il nome deriva dal Convento del Divino Amore, presso Spaccanapoli. Le sue origine sono antichissime: pare che a inventarlo furono, nel XIII secolo, le suore del convento, in onore di Beatrice di Provenza, madre del re di Napoli Carlo II d’Angiò.

Mustacciuoli

Questi biscotti sono diversi dagli altri mostaccioli che si trovano in giro per l’Italia. A Napoli vengono preparati con un impasto a base di farina, acqua, zucchero semolato, miele, mandorle, bicarbonato di ammonio, cacao amaro, scorza d’arancia grattugiata, cannella, noce moscata, chiodi di garofano e cannella, il tutto ricoperto da cioccolato fondente. Come si vede, il mosto non c’entra nulla: si chiamano così perché richiamano i mustacchi, i folti e vistosi baffi di moda nell’Ottocento. Tuttavia, pare che la ricetta più antica prevedesse effettivamente l’utilizzo del mosto da parte delle famiglie contadine. L’abbondante uso di spezie e ingredienti “ricchi” indica, però, la loro origine aristocratica e di corte: li cita ripetutamente, come ingrediente, anche Bartolomeo Scappi nel suo Cuoco secreto di Papa Pio quinto (XVI secolo), distinguendoli dai mostaccioli romani e milanesi.

Mustacciuoli

only_fabrizio

Pasta reale

La pasta reale, o paste di mandorle, sono i tipici dolci diffusi anche in Sicilia, preparati con mandorle, succo di limone, cannella, ostie, uova e bicarbonato. La leggenda racconta che un giorno Ferdinando IV di Napoli, il “re lazzarone” (che amava mescolarsi al popolo per serate assai meno “pie” di questa), un giorno si recò nel Convento di San Gregorio Armeno. Qui le monache gli prepararono un ricco buffet di aragoste, pesci e polli arrosto. Ma il sovrano – che era una grande forchetta – declinò perché aveva già mangiato. Ma le suorine insistettero fino a quando il re, assaggiata la prima pietanza, si accorse che tutto quel ben di Dio erano in realtà dei dolci!

Roccocò

Questi dolci a forma di ciambella, adatti a chi ha denti buoni, vengono preparati con farina, acqua, zucchero, bicarbonato di ammonio, mandorle tostate, uovo, bucce d’arancia e pisto, il tipico mix di cannella, noce moscata, chiodi di garofano, coriandolo e anice. La sua origine risale al 1320 per merito delle monache del Real Convento della Maddalena: il nome deriva dal francese “rocaille”, elemento decorativo a forma di roccia o conchiglia da cui, nel Settecento, trarrà origine anche il termine “rococò”.

Caponata la ricetta, anzi le ricette dello chef Emanuele Russo

Caponata la ricetta, anzi le ricette dello chef Emanuele Russo

La caponata non è una ricetta, al singolare: in Sicilia infatti si parla di caponate, al plurale. E non soltanto d’estate. Le caponate nascono non come contorno estivo, ma come antipasto da conservare e da mangiare tutto l’anno, a base di quello che offre la terra o il mare. A spiegarmelo è lo chef Emanuele Russo del ristorante Le Lumie di Marsala, che di caponate in carta ne ha diverse versioni, che cambiano più o meno stagionalmente. «La caponata nasce per essere conservata, infatti zucchero e aceto servono proprio come conservanti. È sempre più buona almeno il giorno dopo, non si mangia né fredda né calda e, da sempre, nelle case si fa con quello che c’è: pesce se sei pescatore, verdure se hai l’orto. E si mette in vaso» mi spiega Emanuele che a fine estate si accinge a conservare la caponata classica di melanzane, perché questa è la stagione migliore per farla, quando i pomodori sono dolci, il sedano sa meno di foglie e le melanzane del suo orto sono grandi e con la giusta consistenza.

Ricette a sentimento, in tutta la Sicilia

La caponata è una ricetta che si cucina “a sentimento”, senza dosi, e in modo diverso da casa a casa, ma anche da zona a zona della Sicilia. In un libro del 1759 viene definita come un «piatto composto da varie cose», mentre in un vocabolario siciliano-italiano dell’Ottocento è descritta come «un manicaretto ov’entra del pesce, petronciani (una tipologia di melanzane) o carciofi ed altri condimenti, e si mangia per lo più in freddo». La ricetta codificata non esiste e basta fare un giro in Sicilia per scoprirlo: a Palermo si fa quella che possiamo definire classica, con quadrotti di melanzane fritte e olive; a Trapani ci aggiungono sopra la mandorla a pezzetti; a Menfi si fa con i carciofi: a Pantelleria con i capperi; ad Agrigento aggiungono anche pinoli e uvette. Difficile tracciare una geografia univoca delle espressioni del territorio: essendo una ricetta popolare non è stata tramandata attraverso i libri, ma nelle case. In comune però hanno tutte un ricco soffritto, la base, su cui andare a modulare gli altri ingredienti: cipolla, sedano, pomodoro, capperi, olive, aceto, zucchero.

Le Lumie, il ristorante che venera le caponate

A Marsala c’è un ristorante che venera la ricetta della caponata, tanto da servirla in sette versioni diverse, di verdure e di pesce, adatte a tutte le stagioni. Si chiama Le Lumie come la novella di Pirandello, che in siciliano significa limoni. Si trova alle porte della città, nella casa di famiglia dello chef Emanuele Russo, costruita in collina dal padre per stare più al fresco, invitare gli amici, coltivare l’orto. Da lì si vede il mare, Favignana, le saline, e quando Emanuele ha deciso di tornare a casa ha aperto qui il ristorante. Dalla terrazza il tramonto è incredibile, l’aria calda del mare si fonde al profumo del bosco e si cena all’aperto, anche in due romantici balconcini che un tempo furono quelli del soggiorno. Papà Salvatore e mamma Antonella si occupano del servizio, insieme alla giovane maître Sabrina Giordano e ad Alin Ovidiu che fa cominciare la cena cena con un cocktail a base di Marsala dolce o uno Sicilian spritz, calamaretti a spillo da mangiare con le mani e panelle fatte in casa. Il menù si basa su due pilastri: caponate e AranCousCous, oramai un classico moderno della cucina siciliana, interpretato in modo creativo con ingredienti del territorio. Carta dei vini con ampia selezione di spumanti siciliani: da provare i Grillo e gli Zibibbo di Marco de Bartoli e i Cararratto di Nino Barraco. E poi i perpetuo (gli antichi Marsala). Prezzi da osteria, ma con la mano di uno chef. A Le Lumie le caponate sono otto in carta, cambiano in ogni stagione, e ce ne sono sempre diverse in menù da assaggiare. Classica, con le melanzane, ma anche di pesce, in diverse versioni. A cambiare non sono solo gli ingredienti (tonno, polpo, calamari), ma le diverse gradazioni e declinazioni di agrodolce. Si può chiedere una degustazione delle tipologie disponibili, divertentissima, e con cui scoprire che la caponata sembra una quando la mangi da sola, ma è quando ne assaggi quattro in contemporanea che ne capisci davvero la complessità e scopri che, forse, non ne avevi mai incontrata una così buona.

La base agrodolce: le dosi per 1kg di soffritto

La base di agrodolce è per Emanuele «il sapore della Sicilia» e lo prepara con un soffritto in abbondante olio d’oliva: cipolla, alloro, sedano preventivamente sbollentato in acqua e aceto, pomodoro fresco a cubetti. Appena il pomodoro è cotto e si sfalda, si aggiungono aceto e zucchero. «Per 1 kg di agrodolce tradizionalmente servono 100 g di zucchero e 200 g di aceto di vino bianco, ma io preferisco il rosso» mi spiega. Si cuoce in 25 minuti, lentamente, e si aggiungono alla fine olive a pezzettini e capperi dissalati. «Noi usiamo le olive nocellara in salamoia, carnose». Preparato il soffritto, si cuociono gli altri ingredienti della caponata, si lascia insaporire tutto insieme per 5 minuti e poi si mette in barattolo, ancora calda, si chiude e si fa bollire per 25 minuti, come per le marmellate o la passata di pomodoro.

La ricetta della caponata, stagione per stagione

  • Caponata di melanzane.
    Si fa da giugno a settembre. Le melanzane vengono salate, lasciate scolare, poi fritte a cubetti grossi in olio. Poi mescolate all’agrodolce.
  • Caponata di pesce.
    Si usa il pesce capone (o lampuga), ma c’è chi usa il tonno. Si fa a pezzettoni, si salta in padella con poco olio, poi si aggiunge nella base di soffritto di agrodolce.
  • Caponata di tonno.
    «Un omaggio a maggio, alle mandorle, ai primi fichi che vengono messi a essiccare». Tonno sbollentato, cipolle arrosto e fichi semisecchi, da finire con pezzetti di mandorle. Senza capperi, senza olive, senza pomodoro.
  • Caponata di polpo.
    Il polpo viene surgelato per intenerirlo, poi cotto a vapore intero, fatto a pezzetti e infine mescolato con l’agrodolce. «In onore della ricetta della caponata di una parte della Sicilia orientale aggiungiamo il cioccolato amaro di Modica, un cioccolato crudo, grattugiato sopra prima di servire».
  • Caponata di carciofi.
    Una caponata tipica ad aprile/maggio, periodo dei carciofi. Più leggera di quella di melanzane perché i carciofi non vengono fritti, ma sbollentati in acqua e e poi cotti con l’agrodolce.
  • Caponata di seppie e menta.
    La seppia viene cotta a vapore, poi aggiunta a pezzi all’agrodolce, con mandorle e foglie di menta spezzettate.
  • Caponata di coniglio.
    «Volevo mettere in menù una caponata di carne e sono andato a riprendere la ricetta del coniglio alla stimpirata, che viene fatto anch’esso con aceto, zucchero, olive e origano. Io l’ho reso caponata». Viene fatto a pezzetti, saltato in padella, con uvetta, pinoli, origano, aceto e zucchero e alla fine pomodoro secco tagliuzzato.

Proudly powered by WordPress