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Il Piemonte da scoprire – La Cucina Italiana

Il Piemonte da scoprire - La Cucina Italiana

Dalle famose Langhe al timido Gavi, l’evoluzione della regione parte dalle aziende agricole a gestione familiare

«La famiglia di mio marito Andrea possiede una casa in campagna accanto a Cuneo da più di cinquecento anni, da sempre usata come residenza estiva. Ventisette anni fa abbiamo deciso di trasferirci da Torino e vivere lì tutto l’anno, per gestire l’azienda agricola e far crescere i nostri figli a contatto con le loro radici», racconta Francesca Galleani d’Agliano della Tenuta il Palazzasso. E ora che i ragazzi studiano fuori ha deciso di rivitalizzare saloni e stanze aprendo all’ospitalità. «Abbiamo creato un b&b con due camere, sempre aperto, tranne luglio e agosto, quando arrivano tutti i parenti. L’idea è di un viaggio nel tempo attraverso gli oggetti, i libri, i muri che raccontano il passato da ogni angolo». Francesca si occupa degli ospiti dall’arrivo alla partenza, li accompagna a visitare il parco, l’azienda, apparecchia la tavola con servizi antichi e organizza workshop di cucina e fotografia con Mimi e Oddur Thorisson, food blogger lei e fotografo lui, che da un paio di anni si sono trasferiti con i loro otto figli dal Médoc a Torino, innamorati pazzi della regione. Di storie di famiglie che trasformano e modernizzano le imprese agricole, il Piemonte ne ha quante si vuole. Come i Ceretto, nati come vinificatori negli anni Trenta ed evoluti in un’azienda vinicola esemplare. Vignaioli è certamente una definizione stretta per loro: la produzione di Barolo e Barbaresco scaturisce da una cultura del rispetto di una terra particolarmente generosa come le Langhe Roero. Nel vino si sommano un’infinità di fattori: la scelta del biologico, il rigore del metodo, la bravura dell’enologo di famiglia (Alessandro Ceretto), l’investimento continuo, il mecenatismo nell’arte e nella formazione, la capacità di guardare oltre il proprio giardino. Estremizzando, il vino risulta più buono e il ristorante Piazza Duomo, ad Alba, ha raggiunto le tre stelle Michelin, perché i Ceretto partecipano ai grandi temi di attualità, collaborano con l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, invitano artisti internazionali come David Tremlett e Sol LeWitt per creare la Cappella del Barolo, e architetti di fama per disegnare una cantina interrata, che culmina in un osservatorio avveniristico sulle vigne (l’Acino).

La famiglia Rossi Cairo ha invece convertito i suoi Tenimenti all’agricoltura biodinamica. Parliamo di centottanta ettari tra Gavi e Novi Ligure, che comprendono i vigneti di cortese e barbera, la cantina, i campi di grani antichi e due laghi naturali. È un’azienda agricola in piena attività dove vivono i contadini, pascolano cavalli e vacche di razza fassona e c’è perfino un piccolo asilo steineriano. Ma il progetto è in evoluzione. Nel 2017 sono stati inaugurati l’agriturismo e la locanda La Raia, nello stile campagnolo e autentico che piace oggi: poche camere, interni di design misti a pezzi storici, chef stellato (Tommaso Arrigoni) al ristorante. Concepito come un mini resort, ha anche una spa con la piscina allungata sul prato tra spighe e fiori di campo. I Rossi Cairo sono persuasi che un contesto bucolico procuri benessere agli ospiti, e le opere d’arte sparse nella tenuta invitano a soffermarsi nei luoghi, per invogliare alla riflessione e alla scoperta di un Piemonte poco conosciuto: a sud, verso i sentieri delle Alpi Marittime, e a nord, verso l’Alessandrino in bici, per arrivare al cinquecentesco complesso di Santa Croce a Bosco Marengo, che, pochi lo sanno, custodisce una pala del Vasari.

 

Piemonte: alla tavola dei Savoia

Piemonte: alla tavola dei Savoia

Dal primo re d’Italia al Risorgimento, tra castelli e regge, un percorso di gusto nei luoghi della storia

Amanti della bella vita, i Savoia si dividevano tra i palazzi di città e le residenze di campagna dove trascorrevano lunghe villeggiature tra battute di caccia e passeggiate in magnifici giardini. Molte di queste ville sono state restaurate e aperte per raccontare lo stile dei reali d’Italia ma anche per deliziare gli ospiti con ristoranti prestigiosi. Alla Reggia di Venaria, una sorta di piccola Versailles piemontese, si prenota al Dolce stil novo, dove da quasi trent’anni lo chef Alfredo Russo porta avanti uno studio sulla semplificazione i cui esiti si possono assaggiare nella raffinatissima Pasta in bianco all’olio e parmigiano.

Instagram @russo_alfredo

Spostandosi verso sud, si incontrano altri luoghi cari a Casa Savoia. A Govone, nel Roero, al ristorante Scuderie del castello si osserva la tradizione, che il cuoco Fabio Poppa sviluppa in piatti esemplari come i Plin con topinambur e acciuga. Sempre nel Roero, a Guarene, il ristorante La madernassa è invece un agriturismo, dove il giovane e pluridecorato Michelangelo Mammoliti elabora la sua cucina che ama definire «naturale, della memoria e minimale».

Instagram @lamadernassa

Il viaggio prosegue nelle limitrofe Langhe, nella tenuta di Fontanafredda, scenario dell’amore tra re Vittorio Emanuele II e la sua «bela Rosin». Nella Villa Reale, si pranza al Guidoristorante, dove lo chef Ugo Alciati, insieme al fratello Piero, esalta i piatti storici piemontesi, come il Vitello tonnato e gli Agnolotti di Lidia serviti nel tovagliolo.

Instagram @guidoristorante

Molti altri ristoranti si trovano in luoghi che hanno fatto la storia d’Italia e del suo buon gusto. A Ivrea, città di Arduino, il primo re del Regno, si mangia a La mugnaia, dove Marco Rossi propone una cucina creativa, che trae ispirazione dai boschi della zona e dalle rare erbe aromatiche del suo orto. Mentre nella lussuosa sala del ristorante Del Cambio (in copertina) a Torino, il conte di Cavour lavorava al Risorgimento senza però rinunciare alle delizie del palato, interpretate oggi dallo chef Matteo Baronetto. Storia e tradizione si trovano anche al ristorante Da Francesco, a Cherasco, che propone un’attenta combinazione di piatti piemontesi rivisitati e preparazioni contemporanee più creative. Ultima tappa a Villa Crespi, sul lago d’Orta: la dimora in stile moresco che ha accolto nobili e regnanti oggi ospita il ristorante di Antonino Cannavacciuolo.

Instagram @villacrespi

Dal Piemonte, il semolino dolce fritto

Dal Piemonte, il semolino dolce fritto

Il semolino dolce fritto è un dolce tipico piemontese che si prepara in occasione del Carnevale, ma la ricetta è perfetta per servire merende e dessert tutto l’anno!

Il semolino dolce fritto è una preparazione ideale per un dessert di fine pasto, per la merenda a metà pomeriggio e, perché no, per una colazione sostanziosa e genuina.

Si tratta di una ricetta tipica del Piemonte ed è un’ottima alternativa alle classiche frittelle. Si prepara sopratutto a Carnevale, ma, una volta provata, non esisterà periodo dell’anno per farlo a casa. La ricetta del semolino dolce fritto è semplice da realizzare con pochi passaggi e degli ingredienti facili da reperire. Il semolino si conferma quindi, ancora una volta, un ingrediente versatile e adatto a tutte le età, provare per credere!

Come fare il semolino dolce fritto: la ricetta

Ingredienti

Per preparare questo dolce tipico piemontese vi serviranno: 200 g di semolino, 1 l di latte fresco, 100 g di zucchero, 2 uova, 1 limone, pangrattato, olio di semi di girasole per friggere.

Procedimento

Per preparare il semolino dolce la prima cosa da fare è mettere a bollire il latte con lo zucchero e versare il semolino a poco a poco, con la fiamma non troppo alta e mescolando bene gli ingredienti. Mentre il preparato è sul fuoco occorre grattugiare con cura la scorza del limone e aggiungerla in cottura.

Il semolino dolce deve continuare a cuocere a fiamma bassissima per circa 15 minuti. A cottura ultimata il composto va riposto su un piano, lasciato raffreddare un po’ e poi tagliato a pezzi abbastanza grossi (rettangoli, quadrati, rombi: la forma può essere scelta in base ai gusti).

Dopo aver preparato le forme di semolino si può mettere sul fuoco l’olio di girasole per la frittura. Mentre l’olio di scalda bisogna sbattere le uova e immergervi il semolino prima di passarlo nel pan grattato e friggerlo.

Il semolino sarà pronto quando sarà ben colorato e dorato da entrambi i lati. Prima di servirlo il consiglio è quello di asciugarlo con carta assorbente e spolverare con lo zucchero a velo.

Il semolino dolce fritto va gustato ancora caldo, accompagnato (per i più grandi) con un vino liquoroso tipo passito.

Sfogliate la gallery per scoprire altre curiosità e consigli sul semolino dolce fritto

Ricerche frequenti:

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