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Tartufo bianco d’Alba: storia e curiosità

La Cucina Italiana

È il turno del tartufo bianco d’Alba. Non c’è Paese al mondo con tanta ricchezza e varietà di prodotti, naturali come li regala il territorio o lavorati da mani esperte in modi semplici, che sono antichi e insieme i più contemporanei. Prosegue il viaggio alla scoperta delle nostre bontà, da quelle più conosciute a quelle meno note lontane dalla zona di produzione. Con il tartufo bianco di Alba la nostra cultura del cibo e del vino rimane imbattuta sul podio mondiale del gusto.

Tartufo bianco di Alba

Tartufo bianco, inglesi e francesi hanno fatto alleanza. Tempo sprecato: ventitré anni di ricerche sotto il cappello dell’istituto pubblico parigino Inrae per scoprire come coltivarlo e individuare i terreni calcarei e umidi più adatti nei due Paesi. Niente da fare, non esistono tecniche di coltivazione. Il Tuber magnatum Pico è solo italiano, più specificatamente del Piemonte, tra le Langhe, il Monferrato e l’Astigiano (senza sottovalutare quelli dell’Appennino tosco-emiliano e delle Marche intorno ad Acqualagna). Insomma, è un fungo ipogeo («Mozart dei funghi», secondo il musicista Rossini) che si trova solo in Italia, ai piedi di piante che danno nutrimenti e sali minerali. I circa 70mila cercatori – si chiamano cavatori o trifolari – custodiscono il segreto dei luoghi dove trovare i più profumati (oltre 120 le molecole volatili) e grandi. È una pratica fondata su esperienza, indizi naturali ed eventi intangibili, come le fasi lunari; perché, come diceva Cesare Pavese, nato non lontano da Alba, «alla luna bisogna credere». Essenziale è il fiuto di un buon cane. Il costo esorbitante dipende dall’annata (3mila euro al chilo il record raggiunto nel 2019) e dalla maggiore dimensione. Nel 1951 al presidente americano Harry Truman fu regalato il più grande mai trovato ad Alba: pesava 2,250 kg.

Carta d’identità del tartufo bianco d’Alba

TERRITORIO – È un fungo che cresce spontaneo sotto terra in aree caratterizzate da un equilibrio ecologico estremamente delicato. Nel 1933 il Times di Londra incoronò quello di Alba come il re dei tartufi.

STAGIONE – In base al disciplinare può essere raccolto e venduto dal 21 settembre al 31 gennaio, tenendo conto che ogni anno, secondo il clima, i tempi della maturazione possono cambiare. La raccolta avviene con l’ausilio di cani addestrati.

CONSERVAZIONE – Resiste per 5-6 giorni avvolto in carta assorbente, chiuso in un barattolo in frigo. Avendo struttura spugnosa rischia di assorbire umidità e di marcire. Si pulisce con uno spazzolino sotto l’acqua; si asciuga e si lascia riposare.

USO – Mai cuocerlo. Va affettato a lamelle sottilissime direttamente sulle pietanze, il cui calore aiuta a sprigionarne l’aroma.

Dove mangiare a Milano: i nuovi ristoranti da provare

Dove mangiare a Milano: i nuovi ristoranti da provare

Dove mangiare a Milano? Cominciamo dalle novità, perché la lista a Milano è sempre fitta. In qualunque periodo dell’anno, in qualsiasi angolo della città, c’è qualche inaugurazione. Del resto, se andare a bere e mangiare fuori resta una delle grandi passioni dei milanesi, è proprio perché c’è sempre qualche novità che invoglia a uscire. Forse con meno frequenza, dato che l’inflazione si sente e i prezzi (già alti) sono lievitati anche nei locali pubblici, ma proprio per questo – secondo noi – con più attenzione di prima.

Dove mangiare a Milano: le nuove aperture

Perciò abbiamo pensato di creare una nostra lista, con i nuovi ristoranti di Milano che secondo noi vale la pena provare. Troverete un po’ di tutto, perché è bello variare: dai ristoranti eleganti e romantici alle paninoteche, qualche nuovo etnico, qualche indirizzo che resta tenacemente attaccato alla tradizione, bar e cocktail bar e, non da ultime, le pizzerie. Ecco la lista di indirizzi che aggiorneremo man mano con le aperture interessanti.

Semla svedesi – Ricetta di Misya

Semla svedesi

Innanzitutto sciogliete il lievito nell’acqua appena tiepida.

Mettete la farina in una ciotola e versate al centro zucchero, tuorlo e acqua con lievito.

Iniziate a impastare, quindi aggiungete il burro un po’ per volta, aspettando che venga assorbito per bene prima di aggiungerne dell’altro.

Una volta ottenuto un panetto morbido e omogeneo lasciate lievitare in una ciotola coperta per almeno 2 ore o fino al raddoppio.

Dividete l’impasto in 8 panetti da circa 70 gr l’uno, formate delle palline e lasciate lievitare ancora per almeno 30 minuti sulla teglia rivestita di carta forno.
Dopo il riposo spennellate con l’albume e cuocete per circa 15 minuti a 190°C, in forno statico già caldo, quindi sfornate e lasciate raffreddare.

Nel frattempo preparate la pasta di mandorle: mettete in un mixer le mandorle con zucchero, zucchero a velo, acqua e vaniglia.
Ottenuto un composto omogeneo ma appiccicoso, rivestitelo con pellicola per alimenti e lasciate riposare in frigo per almeno 15 minuti.

Quando le briochine saranno fredde procedete con la farcitura: montate la panna ben fredda di frigo.

Unite poi la pasta di mandorle alla panna montata, mescolando delicatamente, quindi trasferite la crema in una sac-à-poche dal beccuccio a stella non troppo stretto.

Riprendete le brioche, tagliate la calotta e scavate via un po’ di mollica dal centro per creare una piccola cavità.

Farcite le briochine e riposizionate la calotta, senza schiacciare troppo.

I semla svedesi sono pronti, non vi resta che decorarli con zucchero a velo e servirli.

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