Tag: ricette fagioli

Patè catanesi – Ricetta di Misya

Patè catanesi

Innanzitutto preparate l’impasto: mettete le farine e il sale in una ciotola e mescolate.

Sciogliete lievito e zucchero nell’acqua appena tiepida, quindi aggiungetelo alle farine e iniziate a impastare.

Aggiungete lo strutto in un paio di riprese, unendo il successivo solo dopo che il precedente è stato incorporato completamente.
Coprite la ciotola con pellicola per alimenti e lasciate lievitare per almeno 2 ore o fino al raddoppio.

Nel frattempo tagliate il burro in pezzi, disponetelo tra due fogli di carta forno e stendetelo con un matterello fino ad ottenere una sottile sfoglia rettangolare, quindi rimettetela in frigo per almeno 30 minuti.

Riprendete l’impasto e stendetelo in una sfoglia rettangolare, disponete al centro la sfoglia di burro e ripiegate i lembi dell’impasto sul burro.
Stendete con il matterello e lasciate riposare in frigo per 30 minuti.

Riprendete l’impasto e ripetete per altre 3 volte: piegate i lembi dal lato corto sul centro, stendete con il matterello e mettete in frigo per 30 minuti, poi di nuovo e di nuovo ancora.


Preparate il ripieno, tagliando il formaggio a dadini e il prosciutto a pezzetti.

Riprendete l’impasto, stendetelo su di un foglio di carta forno in uno strato alto massimo 1 cm e tagliatelo in 12 quadrati.

Aggiungete un po’ di ripieno al centro dei quadratini e richiudeteli a triangolino portando uno degli angoli su quello opposto, quindi sigillate bene i bordi.

Trasferite i fagottini sulla teglia del forno, aiutandovi con la loro carta forno, spennellate con l’uovo leggermente sbattuto e cuocete per circa 15-20 minuti a 180°C, in forno ventilato già caldo.

I patè catanesi sono pronti, lasciateli almeno intiepidire prima di servirli.

SCIM 2023. La cucina dell’anima, un articolo sul valore del cibo per gli emigrati italiani

La Cucina Italiana

In occasione della SCIM 2023 – Settimana della Cucina Italiana nel mondo, eccoci a un nuovo capitolo sulla storia della cucina dell’emigrazione, presentata nel progetto de La Cucina Italiana I Racconti delle Radici,in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.  Questa volta vi presentiamo l’articolo di Elisabetta Moro, professore ordinario di Antropologia culturale all’Università di Napoli Suor Orsola Benincasa, titolare presso l’Università di Napoli Federico II dell’insegnamento di Storia della gastronomia dei paesi del Mediterraneo, membro dell’Assemblea della Commissione Nazionale Italiana Unesco e direttore del Museo virtuale della Dieta Mediterranea. Moro esamina il legame profondo con la propria “cucina materna”, instaurando un efficace parallelismo con il linguaggio: come esiste una lingua materna, infatti, così anche una alimentazione, una cucina, una gastronomia che parla il linguaggio dell’anima. Ecco di seguito l’articolo e, poi, una ricetta tratta dal volume realizzato per la SCIM 2023, I Racconti delle Radici. 

I colori dell’Italianità – di Elisabetta Moro

«L’uomo è ciò che mangia» ha detto il filosofo Ludwig Feuerbach. Ma quando l’uomo emigra, allora il mangiare diventa la sua casa dell’anima. Le ricette le sue orazioni. I sapori la sua memoria. E la tavola domenicale la linfa che alimenta il suo albero genealogico, riportandolo nel profondo delle radici, ma anche proiettandolo con nuovi rami verso il futuro. Perché il rapporto che gli uomini hanno con l’alimentazione è analogo al rapporto che hanno con il linguaggio. Cibo e parola sono naturali e culturali insieme, e obbediscono a regole parzialmente inconsce apprese addirittura nel periodo prenatale. C’è chi parla in proposito di «alimentazione materna» proprio come si parla di «lingua materna». Perché le prime esperienze alimentari, proprio come quelle linguistiche, lasciano tracce indelebili. E diventano ancora più evidenti nei piatti degli italiani all’estero. Che hanno trasformato pomodoro, parmigiano, mozzarella e basilico in altrettanti colori d’italianità. Gli italiani, infatti, portano sempre con sé il bagaglio a mano della cultura gastronomica. Lo dimostra la fiorentissima storia della cucina italiana all’estero, che da qualche secolo sforna ricette nuove e antiche al tempo stesso. Come gli spaghetti with meatballs italoamericani, eredi degli spaghetti alla chitarra con i pallottini abruzzesi e dell’uso delle polpettine negli sformati di pasta del Regno delle Due Sicilie. O come la pizza con le vongole, che non è né una novità né un’assurdità, visto che a metà del Settecento nei vicoli di Napoli, dove la pizza è nata, sul disco lievitato condito con aglio e olio si mettevano alici e arselle. Di fatto, chi emigra conserva e contamina, ricorda e rinnova. Così la tavola tricolore della domenica è ancora oggi un rito, in cui la patria viene rievocata nei pentoloni di ragù e negli odori delle lasagne abbrustolite. Un tempo preparate dalle nonne, oggi acquistate già fatte. Perché se è difficile trovare il tempo per cucinare, in compenso è vitale ricordare, per rinnovare il senso di una identità. Ma in fondo che cos’è davvero l’identità? È proprio la casa dell’anima. E se pensiamo che la parola greca díaita – dalla quale derivano l’italiano dieta, l’inglese diet, lo spagnolo dieta – significa proprio dimora, allora diventa evidente che tutte le cucine italiane, nessuna esclusa, sono le fondamenta della nostra comunità nel mondo. 

La ricetta dal Belgio-Francia: Polenta con carote e piselli

Per tanti immigrati dal Nord Italia in Francia e Belgio, prima e dopo la Seconda guerra mondiale, il cibo quotidiano era la polenta, anche dopo il miglioramento del tenore di vita nei Paesi di arrivo. Il regista del film di animazione sull’immigrazione italiana in Francia Manodopera (2023), Alain Ughetto, ha ricordato che sua «nonna Cesira si metteva a cucinare fin dal mattino: polenta e latte a colazione, polenta e coniglio in umido a mezzogiorno e polenta gratinata al forno la sera». La ricercatrice Leen Beyers ha studiato le abitudini alimentari di tre generazioni di immigrati italiani arrivati in Belgio nell’ambito del protocollo italo-belga del 1946 che prevedeva lo scambio di carbone contro lavoratori da occupare nelle miniere del Paese. Gli immigrati, provenienti dalla Ciociaria, dal Veneto e dall’Emilia, vennero ospitati tutti insieme in una struttura sprezzantemente soprannominata Château des Italiens. Mentre nei giorni di festa gli immigrati del Nord preparavano le lasagne alla bolognese con la besciamella e quelli del Sud le lasagne con le polpette, le uova sode e il pecorino, nei giorni lavorativi tutti mangiavano per lo più polenta. Beyers notò come le donne immigrate più propense ad accogliere elementi della cucina belga come segno di integrazione, avessero inventato il piatto della polenta con le carote e i piselli, ideato a imitazione dello stoemp, un piatto molto diffuso in Belgio, in cui le verdure vengono mescolate con il purè di patate. Simone Cinotto (ph Davide Maestri)

Cuoco Emanuele Frigerio
Impegno Facile 
Tempo 1 ora
Vegetariana

Ingredienti per 10 persone

500 g farina di mais per polenta
150 g piselli lessati
150 g carote
30 g cipolla
olio extravergine di oliva
sale, pepe

Procedimento

Tritate la cipolla e fatela appassire in una padella con 2 cucchiai di olio.
Mondate le carote e tagliatele a rondelle, quindi unitele alla cipolla.
Salate e pepate e cuocete per 2-3 minuti. Unite quindi i piselli, bagnate con un po’ di acqua e fate cuocere per circa 15 minuti.
Preparate la polenta, versando la farina in 1,5 litri di acqua bollente salata. Cuocetela mescolando per circa 45 minuti. Alla fine dovrà risultare piuttosto morbida.
Servitela insieme con le verdure e completate con una macinata di pepe. 

Ricetta Babà analcolico | La Cucina Italiana

Ricetta Babà analcolico | La Cucina Italiana

Dolce di pasta lievitata soffice e bagnata di rum, il babà è una preparazione tradizionale napoletana caratterizzata dalla tipica forma a funghetto che si ottiene con stampini troncoconici.

Del babà esistono tante varianti –  alla crema, al cioccolato, con la frutta – e si può preparare anche come ciambellina o come torta, come nella ricetta che vi presentiamo oggi.

Rispetto all’impasto originale, nella nostra versione rivisitata di questo dolce abbiamo utilizzato solo un cucchiaino di zucchero. Inoltre, abbiamo preparato una bagna analcolica con il limone, in modo che anche i bambini possano assaggiare il babà.

Provate la ricetta e scoprite anche le migliori pasticcerie di Napoli dove gustare questo e altri dolci.

Proudly powered by WordPress